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Voto: 6/10 Titolo originale: The Terminal List: Dark Wolf , uscita: 27-08-2025. Stagioni: 1.

The Terminal List: Lupo Nero, la recensione dei 7 episodi con Pratt e Kitsch

17/09/2025 recensione serie tv di Marco Tedesco

Un prequel tra azione ad alto ritmo, fratellanza e dilemmi morali

Taylor Kitsch in The Terminal List Lupo nero (2025)

The Terminal List: Lupo Nero è il racconto delle origini che tenta di spiegare la caduta morale di Ben Edwards, dal comandante di squadra amato dai compagni al mercenario di frontiera al servizio della CIA. Il motore drammatico è dichiarato fin dall’incipit: il codice di fratellanza, e la sua violazione, come peccato originale che genera conseguenze devastanti. Su questo asse, la serie Amazon Prime Video costruisce un doppio movimento: da un lato l’epica operativa, fatta di trasferte frenetiche e assalti coordinati; dall’altro la lenta normalizzazione dell’illecito in nome di un bene superiore sempre evocato e mai davvero interrogato.

Il primo merito è di Taylor Kitsch. L’attore imprime a Edwards un’energia di superficie (boria, scatti d’ira, battute di corridoio) che nasconde un senso di colpa continuamente rimosso. Non è un mostro né un martire: è un uomo addestrato a proteggere i suoi, pronto a forzare le regole e poi a giustificarsi con gli stessi slogan che lo hanno formato. Quando la serie gli concede pause senza fucili in mano — gli sguardi su un compagno ferito, la voce che incrina nel ripetere “lunga vita alla fratellanza” – The Terminal List: Lupo Nero – trova un respiro umano che mancava spesso al filone principale con James Reece / Chris Pratt (qui presenza laterale).

Sul piano dell’azione, la confezione è sopra la media: inseguimenti puliti, coreografie fisiche con peso e impatto, uso degli spazi urbani che dà concretezza al rischio. È significativo che una delle sequenze più riuscite non sia una pioggia di esplosivi, ma uno scontro corpo a corpo girato con pazienza, dove l’intelligenza tattica sostituisce l’esibizione muscolare. Quando invece prevale la scorciatoia pirotecnica, riemerge il manuale del genere: antagonisti mascherati che sbagliano mira, dialoghi di acciaio temprato, musiche a tutto volume per coprire i vuoti.

the terminal list dark wolf serie posterLa ricostruzione geopolitica è l’innesto più ambizioso e, insieme, il limite più evidente. Il filo rosso delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e la corsa a ostacoli tra Mosul, Zurigo, Monaco, Teheran e Tel Aviv danno alla serie una patina di attualità. Ma spesso la sceneggiatura scivola nella favola di comodo: i “buoni sul campo” impediti dai “burocrati”, la necessità di “sporcarsi le mani” come formula assolutoria, i danni collaterali trattati come rumore di fondo. L’ambiguità morale viene invocata, non praticata. Quando appare un capo-ombra della CIA che arruola proprio per ciò che la legge proibisce, l’opera sceglie l’ammicco alla disobbedienza “giusta” invece di scavare nei suoi costi.

Il tema identitario è chiaro: uomini addestrati a “morire e uccidere insieme” si scoprono orfani di un senso, e colmano il vuoto con una fratellanza ripetuta come preghiera. È qui che la serie, pur intrattenendo, diventa interessante come specchio culturale: la retorica della squadra come famiglia e del nemico come “mostro alla porta” racconta un immaginario che non ha ancora metabolizzato il tramonto dell’eroe solitario salvatore del mondo. L’insistenza sul chiamarsi “fratello” a ogni scena finisce per produrre l’effetto contrario: svela l’insicurezza di una comunità che ha bisogno di ricordarsi di continuo che esiste.

Il confronto con il primo filone di The Terminal List aiuta a mettere a fuoco pregi e difetti. Lì la vendetta lineare dava un’ossatura ferrea: un obiettivo, una lista, una discesa agli inferi coerente. Qui l’intreccio a missioni – con l’artefatto tecnologico da recuperare, l’alleanza con agenti stranieri, il superamento dei vincoli legali – frammenta la tensione e invita la serie a giustificare se stessa sul terreno scivoloso della “necessità”. Quando Lupo Nero accenna alle crepe (il prezzo pagato in vite, la manipolazione dall’alto, la solitudine finale di Edwards), il quadro si fa più onesto. Ma troppo spesso, subito dopo, la storia rimette in marcia il congegno e chiede allo spettatore di applaudire il risultato, non di interrogarsi sul mezzo.

Il reparto attori secondari dà sostanza: la spia dal sorriso impenetrabile, il compagno nato in Africa con un passato che la scrittura evoca e non sviluppa, l’informatico dal fisico minuto che sorprende per determinazione, la figura femminile del servizio segreto israeliano che non è semplice spalla ma contrappunto emotivo e operativo. Proprio in questo gioco di specchi tra apparato e individui, The Terminal List: Lupo Nero avrebbe potuto osare di più: meno proclami, più conseguenze; meno spostamenti da cartolina, più conseguenze pubbliche degli scontri in pieno centro; meno invettive contro gli uffici, più domande sul potere che decide chi merita di vivere.

Insomma, The Terminal List: Lupo Nero è una serie d’azione solida, spesso spettacolare, che beneficia dell’intensità sfaccettata di Taylor Kitsch e di una messa in scena curata. Come analisi dell’etica operativa resta timida: suggerisce conflitti, ma li assolve con la scorciatoia del “fine che giustifica i mezzi”. Chi cerca adrenalina troverà un prodotto visivamente appagante; chi cerca una vera analisi della guerra segreta troverà più slogan che dubbi. Anche per questo, però, funziona come cartolina del nostro immaginario: un mondo che continua a credere nella fratellanza delle armi mentre fatica a guardare negli occhi il conto, personale e politico, di quella fede.

Di seguito trovate il full trailer internazionale di The Terminal List: Lupo Nero, nel catalogo di Prime Video dal 27 agosto:

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