Erica Bana è al centro di un noir rurale che ha le carte per intrigare, ma si accontenta di giocare sul sicuro
Untamed è una serie thriller che cerca di fondere l’indagine poliziesca con la suggestione naturalistica, ambientato nel cuore (o nella simulazione) del Parco Nazionale di Yosemite. È un prodotto che aspira all’intensità di True Detective, alla spettacolarità di Yellowstone e alla cupezza esistenziale de Il caso Thomas Crawford o Chi è senza peccato, ma finisce spesso per perdersi nelle convenzioni narrative e stilistiche che cerca – senza troppa convinzione – di superare.
I 6 episodi si presentano con una promessa forte: un cadavere precipitato da El Capitan, un detective burbero e introverso, e un mistero che si insinua nei meandri di una natura apparentemente incontaminata. Kyle Turner, interpretato con carisma e misura da Eric Bana, è il tipico eroe ferito: taciturno, devastato da un passato familiare traumatico, affezionato più agli animali che agli esseri umani, e inevitabilmente migliore di tutti nel suo mestiere. Lo affianca Naya Vasquez, ex poliziotta di Los Angeles, madre single e giovane recluta destinata a diventare la spalla emotiva e morale di un uomo che ha costruito muri altissimi attorno a sé.
L’introduzione è potente: la caduta di un corpo da una vetta maestosa è insieme tragica, visivamente d’impatto e portatrice di domande. Ma già dal secondo episodio si comincia a intuire che Untamed non ha il coraggio di spingersi oltre i binari del procedurale più convenzionale. I suoi twist sono prevedibili, i personaggi troppo legati ai propri archetipi per sorprendere davvero. La sceneggiatura, scritta da Mark L. Smith (co-autore di The Revenant) insieme alla figlia Elle Smith, è spesso più interessata a mantenere la forma che a scolpire la sostanza.
Visivamente, Untamed non mantiene ciò che promette. Ambientata in uno Yosemite che è in realtà la Columbia Britannica canadese, la serie manca di respiro cinematografico. Le inquadrature si limitano a pochi paesaggi da cartolina ripetuti, e l’immersione nella wilderness risulta più evocata che vissuta. In questo senso, titoli come The Revenant o American Primeval (sempre firmata da Smith) si rivelano molto più incisivi e autentici nel trasmettere il potere brutale e spirituale della natura.
L’elemento umano – potenzialmente il più forte – oscilla tra la solidità delle performance e la debolezza della scrittura. Bana regge il ruolo con mestiere, ma il suo Turner non si evolve mai davvero. Il personaggio è definito da un dolore mai affrontato apertamente, e da una routine che sa di già visto: la bottiglia, la ex moglie ancora affezionata, il mentore anziano, la giovane collega che lo “ammorbidisce”. Lily Santiago nei panni di Vasquez è l’unico volto che riesce a infondere nuova energia, ma anche lei è trattenuta da uno script che le concede poco spazio autentico.
Il ritmo è un altro punto critico. Untamed si presenta come uno slowburn – e fin qui nulla di male – ma spesso scivola nella lentezza fine a sé stessa. Alcuni episodi sembrano allungare una narrazione già di per sé lineare, portando lo spettatore a intuire troppo presto sviluppi che dovrebbero sorprendere. Anche i colpi di scena più significativi – uno in particolare legato alla figura della vittima e al passato di Turner – mancano di reale impatto emotivo.
Dal punto di vista tematico, Untamed cerca di esplorare la dicotomia fra civiltà e natura, ordine e caos, memoria e oblio. Ma lo fa in modo timido, non rischia mai davvero. Non affronta né le tensioni sociali e politiche insite nella gestione dei parchi nazionali, né i nodi morali della giustizia personale. L’inclusione di un poliziotto indigeno, accennata senza sviluppi concreti, è l’emblema di questo approccio: un’idea valida lasciata a metà.
Nonostante tutto, la serie mantiene un certo fascino. Alcune dinamiche di coppia funzionano, le interpretazioni di contorno (Sam Neill, Rosemarie DeWitt) offrono un tocco umano e credibile, e l’ambientazione – per quanto poco sfruttata – regala comunque atmosfere suggestive. La struttura compatta in sei episodi evita l’effetto diluito di molti titoli Netflix, e nel complesso Untamed si lascia guardare con piacere, anche se raramente emoziona davvero.
In definitiva, quindi, Untamed è una serie che preferisce restare sul sentiero tracciato invece di avventurarsi nell’ignoto. Intrattiene ma non sorprende, seduce ma non cattura, evoca ma non incide. Un thriller che avrebbe potuto osare di più, vivere di più. Ironicamente, è tutto fuorché selvaggio.
Di seguito trovate il teaser trailer doppiato in italiano di Untamed, su Netflix dal 17 luglio: