Voto: 6/10 Titolo originale: 10 x 10 , uscita: 16-03-2018. Regista: Suzi Ewing.
10×10: la recensione del film claustrofobico di Suzi Ewing
22/03/2018 recensione film 10x10 di Sabrina Crivelli
Kelly Reilly è l'ambigua vittima del rapimento operato da Luke Evans in un thriller claustrofobico, relativamente parco di violenza o azione, ma denso di dialoghi e di dramma
Thriller “da camera” molto drammatico, con qualche tocco di violenza, 10×10 (o Outfall) della regista esordiente Suzi Ewing, che ha anche rimaneggiato la sceneggiatura di Noel Clarke, declina in maniera differente e con inattesi colpi di scena lo schema ormai consolidato del torture porn con rapimento.
La storia è piuttosto minimale e facile è incorrere in SPOILER nel caso si cerchi di esplorarne troppo i dettagli. In apertura seguiamo Cathy (Kelly Reilly), la proprietaria di un negozio di fiori, che ha rapporti amichevoli con alcune persone del luogo, si diletta andando a lezioni, in generale conduce una vita tranquilla in una non ben definita cittadina di provincia americana.
Tuttavia, una nota inquietante s’insinua in questa tranquilla routine: scorgiamo uno sconosciuto che la spia da lontano, la osserva nelle sue mansioni quotidiane, la pedina quando va in palestra, infine, giunto il momento adatto, la bracca alle spalle, le tappa la bocca con del nastro adesivo e la carica di forza nel bagagliaio della sua macchina.
Il sequestratore, di nome Lewis (Luke Evans), conduce la sua preda in una villa isolata in mezzo ai boschi e la rinchiude in una stanza insonorizzata, costruita ad uopo. Tuttavia non è un desiderio carnale, o la pulsione di un serial killer sadico a determinare tale gesto, ma la vendetta e la brama di svelare la verità su un terribile evento del passato, che ha lasciato in Lewis una ferita ancora aperta e di cui Cathy è ritenuta colpevole …
Diverso dalla gran parte dei thriller con protagonista un rapitore dagli atteggiamenti ossessivi o psicotici, 10×10 può dirsi da un lato molto più stratificato nello sviluppo emotivo e psicologico dei due personaggi centrali, risultando apprezzabile per un pubblico in un certo senso più intellettuale. Infatti, quasi in un percorso d’agnizione di marca teatrale, il film segue in diverse, dolorose fasi – a livello interiore come fisico – l’evoluzione e la scoperta della vera natura di Cathy e Lewis, che inizialmente sono presentati come vittima e carnefice, ma che lungo la narrazione riveleranno una personalità e trascorsi ben differenti.
La continua e a tratti veemente richiesta di lui alla prigioniera di rivelargli il suo nome diviene un meccanismo narrativo nodale, da cui si dipana poi tutto il groviglio di bugie e false aspettative volontariamente create dalle premesse, assai differenti, nella caratterizzazione del duo. Tuttavia non si tratta di una svolta completamente inaspettata, Suzi Ewing (partendo dallo scrupoloso copione di Noel Clarke) presta moltissima attenzione ai particolari, inserendo sin da subito una serie di indizi, seppur i più appena percettibili, che fanno in parte dubitare chi guarda e che verranno pian pian confermati sempre più dalle successive confessioni, che gradualmente portano a un totale ribaltamento dei ruoli.
Ottima a rendere tale ambiguità di fondo è Kelly Reilly, che con uno sguardo, una smorfia, successivamente una reazione fin troppo audace per una donna terrorizzata, palesa non solo un’indole da combattiva final girl, ma anche qualcosa di più oscuro e sanguinario. Allo stesso modo, le molteplici incertezze nell’operato di Lewis, come la gamma di sentimenti alterni espressi da Luke Evans (che tuttavia è meno abile della Reilly a rendere le sfumature), riescono a comunicare ad uopo il travaglio interiore che connota il suo complesso personaggio. L’attore si è comunque rivelato in passato già all’altezza nel passare da ruoli decisamente meno impegnati come quello in Dracula Untold a parti ben più sfidanti come questa, in cui peraltro deve reggere pressoché da solo con la comprimaria l’intero sviluppo, impresa non facile.
Ingannano, dunque, l’incipit e alcuni elementi fondamentali della diegesi (le immagini presentate nel trailer fanno intuire però qualcosa), creano false attese volontariamente per poi smontarle lungo lo sviluppo in un gioco di epifanie ad incastro, che ogni volta smentiscono le precedenti certezze. Certo è, però, che chi si aspettasse uno psicopatico alla Maniac, un sadico alla Captivity, o perfino un folle “samaritano” masochista alla Pet (che in ogni caso è per capovolgimento dei ruoli quello più affine al presente caso), rimarrà in parte deluso dall’assenza di compiacimento nella tortura e nella perversione in 10×10.
Non siamo certamente davanti a titoli come Pigs (la recensione) o di un segmento di Guinea Pig, e non è nemmeno quello l’obiettivo di Suzi Ewing, che non indulge mai più di tanto sulle vessazioni corporali o morali. La violenza c’è di tanto in tanto, e non si tratta nemmeno di quel tipo di pellicola edulcorata da ‘film per tutti’ in cui pugni e calci sono più che altro una pirotecnica coreografia senza conseguenza alcuna. Si tratta comunque di parentesi secondarie, finalizzate strettamente alla coerenza del complesso. Il sangue è mostrato dove deve esserlo, ma non è voyeristicamente estetizzato, epurando della nota più truce l’impalcatura presunta da torture porn, sostituendo ad essa la componente dialettica ed emozionale.
Consapevoli altresì di cosa ci debba aspettare, 10×10 – al momento senza distribuzioni in Italia, ma confidiamo in Netflix – presenta numerosi pregi, costituendo un ottimo debutto per la regista britannica, che si rivela in grado di mettere in scena un thriller dai tratti classicamente tragici, dirigendo in maniera tutt’altro che dilettantesca i due protagonisti, su cui grava l’intera narrazione.
Di seguito trovare il trailer ufficiale:
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