Voto: 6/10 Titolo originale: Non ho sonno , uscita: 05-01-2001. Budget: $4,000,000. Regista: Dario Argento.
Non ho sonno, Dario Argento e un omaggio autocritico al giallo che fu
05/07/2025 recensione film Non ho sonno di Gioia Majuna
Nel 2001 il maestro del brivido tornava sulle scene con un thriller visivamente potente ma narrativamente debole, tra omaggi, sangue e contraddizioni

Con Non ho sonno, Dario Argento firmava nel 2001 un’opera ambiziosa, nostalgica e profondamente autocitazionista. Dopo l’accoglienza disastrosa di Il fantasma dell’opera (1998), il regista tornava qui al genere che ha definito la sua carriera: il giallo. Ma se da un lato Non ho sonno cerca disperatamente di riconnettersi con la potenza estetica e narrativa di Profondo Rosso o Tenebre, dall’altro mette in luce le fragilità creative della sua fase tarda. Il risultato è un prodotto che vive di contraddizioni: tecnicamente elegante, narrativamente zoppicante, ricco di omaggi ma povero di intuizioni autenticamente nuove.
Il film si apre con un prologo ambientato a Torino nel 1983: un bambino assiste impotente al brutale omicidio della madre. Diciassette anni dopo, un’ondata di omicidi simili risveglia vecchi traumi e sospetti. Il detective Ulisse Moretti (Max von Sydow), ormai in pensione, viene richiamato sul campo per investigare su quello che potrebbe essere un ritorno del famigerato “Assassino Nano”, creduto morto da anni. Al suo fianco, Giacomo (Stefano Dionisi), il bambino sopravvissuto del prologo, ora adulto e tormentato.
Argento struttura Non ho sonno come una compilation di greatest hits visivi ed emotivi. La scena del treno è un chiaro highlight: una sequenza di 18 minuti che alterna suspense, violenza e regia nervosa, con la colonna sonora dei Goblin a scandire l’incedere della morte. È puro Argento: ossessivo nei dettagli, lirico nel sangue, teatrale nel movimento della macchina da presa. Eppure, proprio questa scena emblematica rappresenta il vertice che il film non riesce più a superare.
La narrazione, benché fedele alla grammatica del giallo, soffre di accumulo. Troppi personaggi, troppi indizi fuorvianti, troppe piste che si perdono nel nulla. La trovata della filastrocca infantile che guida il modus operandi del killer è affascinante sulla carta ma applicata in modo incoerente: alcuni omicidi seguono la logica del testo, altri sembrano scollegati. Il simbolismo fiabesco (animali da fattoria, ritagli di carta, reminiscenze infantili) non riesce mai a generare una vera mitologia del male, restando più come decorazione che come motore narrativo.
Dal punto di vista estetico, il film beneficia della fotografia di Ronnie Taylor, che avvolge le scene in tinte livide, blu elettrici e rossi saturi, accentuando il tono onirico e disturbante. Il contrasto tra lo stile visivo sofisticato e le incongruenze logiche della trama è netto. Come spesso accade nei lavori di Argento, la coerenza narrativa viene sacrificata sull’altare dell’estetica: i personaggi si muovono come marionette di un destino crudele ma spesso ingiustificato. Alcuni omicidi sembrano gratuiti, funzionali solo a impressionare lo spettatore, senza un vero legame con lo sviluppo del mistero.
Max von Sydow è la colonna portante del film. Il suo Moretti, figura archetipica del “vecchio poliziotto dal passato ingombrante”, è reso credibile e intenso dall’interpretazione carismatica dell’attore svedese. Intorno a lui, però, ruotano figure sbiadite e inconsistenti. Giacomo manca di profondità emotiva, la sua relazione con Gloria è insipida, e la chimica tra i protagonisti è pressoché assente. Il doppiaggio, come in molti film italiani dell’epoca, peggiora la situazione, rendendo alcuni scambi grotteschi involontariamente.
La colonna sonora dei Goblin è forse il ritorno più gradito: ritmi martellanti, sintetizzatori paranoici, armonie stridenti. Ma anche qui, l’impressione è che Argento stia “giocando sul sicuro“, più preoccupato di rassicurare i fan storici che di esplorare nuovi territori.
Nel complesso, Non ho sonno è un film bifronte: da un lato una dichiarazione d’amore al giallo classico, dall’altro un’opera che fatica a giustificare la sua esistenza al di fuori del suo valore retrospettivo. Non è un classico, ma nemmeno un fallimento totale. È un esercizio di stile, un’autocitazione continua, una confessione implicita: Argento non vuole più sorprendere, vuole rassicurare. E lo fa con mestiere, ma senza quella scintilla che trasformava il suo cinema in un incubo ipnotico.
Per chi ama il giallo, Non ho sonno resta un’opera godibile, con momenti di autentico terrore visivo e omicidi coreografati con gusto malato. Per chi cerca invece un Argento innovatore, il film rischia di essere una delusione. È un ritorno, sì, ma a casa propria: una casa ormai piena di specchi.
Di seguito trovate il trailer di Non Ho Sonno:
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