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Voto: 8/10 Titolo originale: Serpico , uscita: 18-12-1973. Budget: $3,000,000. Regista: Sidney Lumet.

Dossier: i 50 anni di Serpico, lo sbirro incorruttibile di Al Pacino

08/05/2023 recensione film di Francesco Chello

Cifra tonda per il film di Sidney Lumet, ispirato ad eventi realmente accaduti. Un solidissimo poliziesco di denuncia, che veicola il suo impegno sociale attraverso le gesta di un uomo che ha messo coraggio, ideali e valori, integrità ed onestà davanti alla sua stessa vita. Che trova una controparte cinematografica d’eccezione come l'attore di East Harlem e la sua interpretazione fenomenale.

serpico film al pacino

Tra i vari articoli (per la maggior parte celebrativi) spuntati in giro in occasione dell’83° compleanno di Al Pacino (lo scorso 25 aprile), a colpirmi è stato uno in negativo. Il titolo era “Paura per Al Pacino, l’attore si strozza il giorno del suo compleanno: il VIDEO”. Clickbait, ovviamente. Di quello becero, aggiungo. Sul tipo di testate che ti nascondono subdolamente anche il tasto per rifiutare i cookies.

Rimbalzato poi da una serie di ignobili pagine social che dei titoli acchiappaclick fanno uno stile di vita. In pratica si tratta di un brevissimo video pubblicato da Deep Roy sul suo canale TikTok, in cui il caro vecchio Al finge scherzosamente di strozzarsi con la torta, per poi congedarsi con una frase che suggella l’amore per la recitazione: ‘acting is first’. Insomma, era pure una cosa carina.

Che non so voi, ma io il clickbait lo detesto, la considero una piaga dell’editoria moderna. Motivo per cui stavo già preparando una spedizione punitiva nei confronti dei colpevoli, quando il mio direttore mi ha convinto a desistere, non fosse altro per non aggravare la mia fedina penale. A quel punto, per smaltire la rabbia ho pensato di provare a compensare quegli articoli di merda che intasano il web, festeggiando realmente un gigante come Al Pacino attraverso uno speciale su uno dei tanti film in cui ha saputo farci innamorare del suo contributo alla settima arte.

serpico film posterHo scelto Serpico del 1973, per rimanere in tema di compleanni. Una ricorrenza non da poco, considerando che il film di Sidney Lumet nel 2023 taglia il traguardo del 50ennale. Che poi sia anche una di quelle interpretazioni (tante, ripeto) in cui Pacino si dimostra mostro sacro, è un dettaglio che ammetto possa aver avuto il suo peso.

Un titolo che cita direttamente il nome del protagonista è chiaramente già di suo una presa di posizione esplicita, per un prodotto in cui l’importanza della storia va di pari passo proprio con quella del personaggio principale.

La vita di Francesco Vincent (detto Frank) Serpico è di quelle che meritano di essere raccontate. I suoi ideali, i suoi valori, le sue battaglie, il suo coraggio. Perché Serpico, appunto, è un film ispirato a fatti realmente accaduti (con molti nomi che vengono omessi dallo script per evitare beghe legali).

Che erano stati raccontati da Dick Maas nel libro Serpico: The Classic Story of the Cop who Couldn’t Be Bought pubblicato sempre nel 1973, aiutato nella stesura dallo stesso Frank Serpico.

Il merito di una trasposizione è del fiuto di Dino De Laurentiis, che nel 1972 aveva già portato sullo schermo il solidissimo The Valachi Papers (arrivato in Italia come Joe Valachi – I Segreti di Cosa Nostra) con Charles Bronson nei panni del protagonista, film tratto dall’omonimo libro di Maas del 1968.

L’esperienza positiva aveva spinto quella volpe di Dino ad acquisire i diritti del libro su Serpico (per 400mila dollari, non pochi a quel tempo) prima ancora che venisse pubblicato, portandolo ad insistere con una Paramount inizialmente molto restia a co-produrre (salirà poi a bordo per la distribuzione in patria) ufficialmente per il timore di un overbooking di polizieschi, ma De Laurentiis in seguito dichiarerà che nessun produttore americano aveva il coraggio di trattare un argomento delicato come la corruzione tra le forze dell’ordine.

E’ proprio di questo che parla la trama di Serpico, che per arrivare al cinema passa da una sceneggiatura sviluppata da Waldo Salt e Norman Wexler, lavoro per il quale verranno candidati all’Oscar che sarà poi vinto da William Peter Blatty per L’Esorcista.

Il vero Frank si arruola in polizia nel 1959, carico di ambizione e ideali. Le sue aspirazioni di carriera si scontrano fin troppo spesso contro un sistema di corruzione a cui non vuole sottostare. La sua diventa una vera e propria battaglia, di trasferimento in trasferimento (e distretto in distretto), sempre più malvisto da quei colleghi che amavano sporcarsi le mani, puntualmente boicottato nei molteplici tentativi di denunciare la situazione ad alte sfere che sembrava non volessero saperne.

Al punto da arrivare a rivolgersi al The New York Times, con lo scandalo giornalistico che inevitabilmente (e finalmente) smuove la commissione d’inchiesta. Peccato che di lì a poco, Serpico finisca per beccarsi una pallottola in faccia, lasciato solo da colleghi che probabilmente non aspettavano altro. Una pallottola che miracolosamente non sarà letale, ma fungerà da spinta finale per arrivare a testimoniare davanti alla Commissione Knapp, occasione in cui avrà modo di sviscerare nomi, situazioni, usi e costumi di una fogna di omertà, connivenza e corruzione. Un gesto che gli frutta il tanto agognato distintivo da detective (oltre ad una medaglia al valore) a cui rispondere con una presa di posizione tanto netta quanto coerente come quella delle dimissioni dalla polizia rassegnate nel 1972.

Che vi dicevo? Una storia che sembra fatta apposta per il cinema. Per un film che inizia proprio da quella pallottola, dalla fine. L’intenzione non è quella di un percorso lineare che trovi sfogo in un finale, ma piuttosto partire da quel finale portando lo spettatore (che magari non è già a conoscenza dei fatti di cronaca) a chiedersi per l’intera durata come si arrivi a quell’episodio e, soprattutto, cosa e chi ci possa essere dietro. Un prologo senza musica, un silenzio in cui echeggia la sirena dell’ambulanza che porta Serpico in ospedale.

serpico film al pacino (2)Da quel momento in poi, il film diventa di fatto un lungo flashback, stavolta costruito in ordine cronologico. A partire dalla cerimonia in accademia, in cui ascoltiamo uno stralcio di discorso per niente casuale. Parole che sottolineano come il coraggio, l’onestà, l’integrità, la compassione, la cortesia, la costanza, la pazienza siano caratteristiche indispensabili di chi sta per dedicare la propria vita alla lotta contro il crimine. Elementi che vengono a decadere nell’animo del poliziotto che si lascia corrompere.

Il film inizia quindi con questa serie di momenti che settano immediatamente il quadro d’insieme. Basta vedere il giovane Frank che accetta restio un panino gratis da un ristoratore a cui i poliziotti evitano di fare multe per divieto di sosta. E così via, con reati, favori e bustarelle di proporzioni sempre più grosse.

Non saremmo qui, se ad essere determinante per la riuscita di Serpico non fosse l’interpretazione sostanzialmente enorme di Al Pacino. Non per niente, lo stesso attore statunitense la considera come una delle migliori della sua intera carriera. Per la quale porta a casa un Golden Globe, un David di Donatello, un NBR award, oltre che una candidatura all’Oscar che finisce a Jack Lemmon per Save the Tiger.

Un Pacino che col vero Frank ci ha trascorso del tempo invitandolo a stare con lui in una casa che aveva affittato a Montauk (NY), in modo da prepararsi al ruolo in un’immersione pressoché totale, a cui contribuisce la condivisione sia delle origini italiane che l’essere nati a cresciuti a New York, per un accento newyorkese autentico a cui aggiungere anche qualche frase in italiano.

Quando Al chiese a Serpico il perché lo avesse fatto, quest’ultimo gli disse ‘non so, immagino che dovrei dire che se non lo avessi fatto non so che persona sarei stata anche nel semplice gesto di ascoltare una canzone’. Frank avrebbe anche voluto presenziare durante le riprese, cosa che il produttore Martin Bregman chiese di non fare per evitare che potesse essere una distrazione emotiva per gli attori.

Al Pacino si cala anima e corpo nei panni di un personaggio particolare, scritto in maniera equilibrata evitando di cadere nel facile stereotipo, ci entra al punto da restare nello stato d’animo della specifica scena da girare anche fuori dal set, che fosse felice da scherzare con tutti o incazzato da prendersela con chiunque.

Per non parlare di quando andava in giro da poliziotto in quartieri pericolosi, arrivando a fermare un camionista minacciando di arrestarlo per inquinamento da gas di scarico. Serpico è uomo completamente diverso da quello che poteva essere il profilo privato del poliziotto medio dell’epoca; naïf, ingenuo e sognatore, anticonformista, curioso, affamato di confronto e di cultura, di grande apertura mentale, generoso nelle relazioni. Ama le proprie donne profondamente, frequenta persone diversissime da lui, ascolta la Tosca di Puccini, opera che tra l’altro parla anche di corruzione e abuso di potere.

serpico filmE questo restando nell’ambito della sfera personale, andando oltre quella professionale di cui abbiamo già parlato in termini di etica, ideali, valori, coraggio e tutto ciò che porta un poliziotto onesto a trasformarsi alla stregua di un martire che rischia di essere lasciato completamente solo in una crociata apparentemente più grande di lui. Immedesimazione che passa anche per una trasformazione fisica, nelle movenze, nell’atteggiamento.

E nel look, che oltre ad un abbigliamento hippieggiante (tra indumenti, orecchini, collanine e bracciali) vede Al Pacino farsi crescere capelli, baffi, barba, in pieno stile da ribellione anni ’60/70. Con una messa in scena che per essere certosina deve piegarsi necessariamente ad esigenze estetiche che portano a girare il film completamente al contrario.

In pratica, Al Pacino si presenta alle riprese con barba e capelli lunghi, inizia a girare le sue scene partendo dall’ultima e proseguendo a ritroso, in modo che gli hair stylist possano accorciare il necessario di quel tanto che basta man mano che la cronologia si riavvolge, per arrivare alle prime scene in cui Serpico è completamente sbarbato.

Nota per l’amore per gli animali, dal cane adottato per strada ad un topolino portato nel palmo di una mano, particolare che in Italia sarà ripreso dal Nico Giraldi di Tomas Milian che il proprio topolino lo chiama appunto Serpico in onore di un personaggio che compare anche sui poster di casa sua, oltre che omaggiato da un look che tenta in qualche modo di rifarsi a quello stile; Tomas Milian che, curiosamente, con Al Pacino condivide anche la voce di Ferruccio Amendola che nella versione italiana doppia Frank Serpico, Ferruccio era un asso (uno dei migliori doppiatori italiani di sempre), ma trovo quasi superfluo consigliarvi di guardare il film di Sidney Lumet in lingua originale per poter gustare in pieno la prova del suo protagonista.

Un ruolo, quello di Serpico, che inizialmente avrebbe potuto essere assegnato a Robert Redford con Paul Newman in quello di spalla (i due erano reduci dal successo di Butch Cassidy and the Sundance Kid del 1969).

Il risultato di Serpico passa ovviamente anche per le mani di Sidney Lumet, che sostituisce John G. Avildsen l quale abbandona il progetto a poche settimane dalle riprese per divergenze con la produzione rimanendo comunque in contatto con Frank Serpico, che nel frattempo era diventato suo amico, mentre Francis Ford Coppola aveva suggerito di assumere Martin Scorsese.

Lumet si conferma regista a suo agio nel raccontare il degrado urbano, straordinariamente organizzato, in grado di motivare la crew a realizzare anche trentacinque allestimenti in un giorno, riuscendo comunque a lavorare in maniera semplice e veloce, girando qualche scena anche in un solo take.

serpico film (2)Il passaggio rapido da un set-up all’altro permetteva di mantenere una tensione costante anche negli attori, oltre che di individuare facilmente l’eventuale anello debole del proprio team in modo da poter rimediare per tempo. Negli anni mi è capitato di imbattermi in qualcuno che a proposito di Serpico farneticasse su prolissità, monotonia, ritmo compassato o mancanza d’azione, quando invece quella di Lumet è una direzione assolutamente centrata, focalizzata sugli eventi e sulla loro drammaticità, sull’uomo e sulla sua caratterizzazione, in grado di provocare empatia, trasporto, persino ansia e tensione nel momento in cui intorno a Serpico sembra stringersi un cappio di frustrazione e impotenza.

Il regista (e gli addetti al casting) hanno dovuto assegnare 107 speaking parts, scegliendo di ingaggiare nei tanti ruoli di supporto perlopiù attori non troppo conosciuti in modo da rafforzare il senso di realtà, lasciando a tutti la possibilità di improvvisare qualora lo si ritenesse opportuno – vedi la reazione esplosiva dello stesso Pacino nella scena in cui Frank risponde all’incontro fallito con l’ex capitano.

Sidney Lumet parlerà di Serpico come uno dei film più impegnativi da lui realizzati, sia fisicamente che logisticamente – arrivando ad utilizzare 104 luoghi diversi in ogni distretto di New York tranne Staten Island, tra cui una residenza al Greenwich Village a pochi isolati da quella del vero Frank e la location della festa fornita da Sidney Kingsley, che di Lumet era amico dal 1935, quando il regista, all’epoca 11enne, prese parte a Dead End, spettacolo di Broadway del drammaturgo.

Gestire al meglio il problema di mantenere un tono emotivo in prospettiva, ovvero portare lo spettatore non tanto a chiedersi dove si trovasse fisicamente ma piuttosto dove fosse emotivamente, oltre all’obbligo morale nei confronti del vero Frank Serpico di essere onesto riguardo la sua vita e non cercare di sfruttarla.

Il regista si dirà grato per il contributo del New York Police Department, soprattutto alla luce dell’argomento e della vicinanza temporale degli eventi (le riprese sono iniziate un anno dopo le dimissioni dalla polizia di Frank Serpico) che poteva far pensare ad una reazione opposta; in particolare, i due agenti assegnati al film, che nel momento in cui si sono resi conto di una produzione che tentava di denunciare una verità che non fosse artefatta dalla macchina hollywoodiana, hanno collaborato ancora più attivamente.

serpico film pacinoLe riprese del film iniziano a luglio del 1973, il clima estivo richiede la simulazione dei momenti invernali attraverso particolari come alberi spogli o respiro visibile. La release di Serpico era prevista per dicembre prima di Natale (in Italia invece esce a febbraio del 1974), ovvero quattro mesi a disposizione per girare, montare e mixare, un timing follemente breve per le stime di Lumet.

Per guadagnare tempo, il montaggio avveniva nello stesso periodo delle riprese, con la scena finita che veniva consegnata al montatore Dave Allen che in 48 ore doveva tagliarla prima di passare la palla al reparto audio. Realizzato con un budget da 2.5/3 milioni di dollari, Serpico ne incassa circa 30 a fine corsa. La Paramount cavalcherà l’onda realizzando anche una serie tv con David Birney nel ruolo di Serpico, un’unica stagione composta da un pilot ed altri 15 episodi (di cui uno mai trasmesso) andata in onda su NBC tra il 1976 ed il 1977.

Sidney Lumet ed Al Pacino lavoreranno di nuovo insieme in Quel Pomeriggio di un Giorno da Cani del 1975 (la recensione), nella cui prima scena si vede il transatlantico S.S. France che compariva anche nell’ultima scena di Serpico, quando Frank è seduto al molo con i suoi bagagli.

Serpico compie 50 anni, restando attualissimo nel suo messaggio di onestà, coraggio, integrità, ribellione, di cui diventa vero e proprio manifesto filmico. Un solidissimo poliziesco di denuncia, che veicola il suo impegno sociale attraverso le gesta di un uomo che ha messo quei valori davanti alla sua stessa vita. E che per raccontarle può contare su una controparte d’eccezione che risponde al nome di un monumento come Al Pacino e la sua interpretazione superlativa.

Di seguito il trailer di Serpico: