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Voto: 8/10 Titolo originale: Jackie Brown , uscita: 25-12-1997. Budget: $12,000,000. Regista: Quentin Tarantino.

Dossier: Jackie Brown (1997), il terzo film di Quentin Tarantino

08/04/2023 recensione film di Francesco Chello

I sessant’anni del regista di Knoxville ci offrono l’occasione per approfondire una delle sue opere. La fascinosa Pam Grier guida un cast di pregio in una storia che si muove tra crime e noir e che profuma di blaxploitation senza appartenere realmente al filone. Un ottimo film, diverso dai predecessori e per questo sottovalutato da una parte del pubblico al tempo dell’uscita nel 1997, per poi ottenere la meritata considerazione nel corso del tempo

jackie brown film 1997 quentin e pam

Questa ve la devo raccontare. Ero in redazione insieme a uno stagista ed il direttore, quando decidiamo di fare colazione da Pat & Lorraine, un locale che sta qui vicino. Al momento del conto inizia una lite, una questione di mancia che non sto qui a dirvi chi fosse lo spilorcio del trio. Fatto sta che nel giro di poco ognuno di noi sfodera la propria pistola, in un mexican standoff redazionale.

Per ragioni di opportunità (di natura fiscale quelle del boss, di convenienza le mie) decidiamo di sacrificare lo stagista sparando entrambi su di lui. La cosa ci mette di nuovo fame, così decidiamo di farci un bel Royale con formaggio davanti al quale il direttore si illumina. ‘Sai che Quentin ha girato la boa dei 60? Che rapporto hai col cinema di Tarantino?’. Che domande, penso. ‘Quentin Tarantino chiaramente si ama’, la mia risposta. Da lì a scriverci un articolo il passo è stato breve, anche perché se avessi rifiutato mi avrebbe tagliato un orecchio.

Scrivere di Tarantino. Una cosa facile e difficile allo stesso tempo. Facile, perché la grandezza (e l’unicità) del suo cinema è lì, tangibile, palese, limpida, oggettiva. Difficile perché in oltre trent’anni di carriera è uno di quei personaggi su cui si è detto tutto ed il contrario di tutto. La cosa certa è che non credo sia necessario spiegare chi sia effettivamente Quentin Tarantino, tanto meno lanciarmi in un excursus che in poche righe finirebbe per essere troppo generico ed inevitabilmente non esaustivo.

JackieBrown.jpgPer cui l’idea è di parlare di un film, in maniera più specifica. Che tanto con quel curriculum puoi sceglierne uno ad occhi chiusi e cascare sempre bene. Inizialmente avevo valutato di scrivere de Le Iene, anche solo per il fatto che fosse il film d’esordio (e che esordio). Poi ho pensato che avrei creato aspettative in chi ci legge, voglio dire, partire dal primo potrebbe far presupporre una copertura totale e cronologica della sua filmografia e chi se la sente di fare promesse così a lungo termine?

In realtà è un modo per testare il vostro livello di attenzione e di fedeltà, insomma se vi dovesse far piacere vederci proseguire in questa serie di approfondimenti tarantiniani, fatecelo sapere nel modo in cui vi pare. Anzi, facciamo un test, se la cosa può interessarvi scrivete nei commenti (attraverso il social che preferite) BIG KAHUNA BURGER e noi capiremo.

Ma veniamo al sodo. Ho scelto di parlare di Jackie Brown del 1997. E non si tratta di una scelta casuale. Non perché stia al primo posto di una mia eventuale classifica dei lungometraggi del buon Quentin – probabilmente in Top 5, laddove anche l’ultimo è un signor film. Il punto è un altro.

Volevo iniziare da quello che per certi versi e per diverso tempo è stato una sorta di outsider nella sua filmografia. Magari oggi di meno, dopo più di un trentennio di senno di poi, in cui chi ama o comunque segue il cinema di Tarantino può godere di un quadro d’insieme più ampio e pertinente del suo percorso filmico.

Lo stesso filmmaker di Knoxville scherza sul fatto che oggi, in seguito ad un certo revisionismo di cui è stato oggetto, puoi trovare persone che per darsi un tono dicono di preferirlo persino a Pulp Fiction. Ma Jackie Brown è stato un film che alla sua uscita ha generato, come dire, una serie di equivoci in una parte del pubblico. Quando poi era il frutto di una scelta voluta, mirata e indubbiamente coraggiosa del suo autore.

Una parte del pubblico, dicevo, che al tempo rimase addirittura delusa da un prodotto che invece probabilmente non aveva compreso a pieno, non aveva inquadrato nel modo giusto. E questa, vi posso garantire, è una cosa che ho sentito per un bel po’ di tempo, non solo all’inizio. Il motivo è semplice.

Se nel 1992 Le Iene aveva dato un primo grande scossone al mondo del cinema, nel 1995 quel capolavoro di Pulp Fiction e il suo successo planetario avevano fatto saltare definitivamente il banco. La gente era impazzita – nel senso buono del termine. Motivo per cui la stragrande maggioranza delle aspettative riposte in Jackie Brown erano quelle di chi praticamente pretendeva un nuovo Pulp Fiction.

jackie brown film 1997 de niroEd è qui che Quentin Tarantino si dimostra una volta di più uno coi controcazzi. Anziché optare per la scelta in quel momento più facile come poteva essere quella di cavalcare un’onda da lui stesso creata, ecco che arriva la decisione di un cambio tanto netto quanto potenzialmente rischioso. In pratica, rompere quasi subito quegli schemi con i quali lui stesso aveva a sua volta rotto quelli altrui. Con quella che lui stesso definirà la prima vera esperienza registica professionale.

Jackie Brown è un film molto diverso dai precedenti. Per tono, per impostazione. Meno violento (nonostante quattro morti che però sostanzialmente non vengono quasi mai mostrati), per certi versi compassato, più lineare nel suo piano temporale cronologico. Costruito sui personaggi, sui dialoghi, sulle relazioni, sulle emozioni.

Una storia di una qualità che si potrebbe definire ‘autunnale’, quel tipo di racconto incentrato su protagonisti di mezza età ed apparentemente ordinari (alla ricerca della propria svolta nella vita) che magari ci si aspetterebbe da un regista cinquantenne ormai maturo e consolidato, quando invece arriva da un 34enne al terzo film.

Questa cosa mi ha sempre affascinato, è un modo di sovvertire le consuetudini, di fregarsene delle regole dello star system. Jackie Brown mescola elementi del crime e del noir, affronta situazioni criminose (e pericolose per chi le vive) con tono leggero, all’interno di un’atmosfera che profuma di blaxploitation senza però appartenere realmente a quel filone.

Perché è evidente che stai strizzando entrambi gli occhi e mettendo le cose in chiaro se il titolo del tuo film richiama quel Foxy Brown con cui condividi la protagonista che ‘incidentalmente’ di quel sottogenere era e sarà per sempre un’icona, piazzata al centro dei titoli di testa dal font inequivocabile, aperti sulle note di un pezzo come Across 110th Street di Bobby Womack, brano presente nella soundtrack del film omonimo del 1972 (arrivato in Italia col fantasiosissimo Rubare alla Mafia è un Suicidio) che alla blaxploitation ci appartiene di diritto.

Una delle peculiarità di Jackie Brown è di essere l’unico film di Quentin Tarantino a non essere basato su una sua sceneggiatura originale. Quentin, infatti, scrive lo script partendo dal romanzo Rum Punch di Elmore Leonard, di cui qualche anno prima aveva acquistato i diritti (con Roger Avery) in un accordo che includeva altre due opere dello scrittore come Freaky Deaky e Killshot; l’intenzione era di trarre dei lungometraggi proprio da questi ultimi due lasciando poi Rum Punch ad un altro regista, salvo cambiare idea dopo una rilettura che fa scattare l’innamoramento.

jackie brown film 1997 forsterSe le vicende del film seguono più o meno da vicino quelle del libro, Tarantino ha la libertà di apporre una serie di modifiche alla propria versione, cogliendo in pieno l’essenza del romanzo ma riuscendo allo stesso tempo a farlo suo. Inserire il suo ritmo, il suo umorismo, la sua velocità, un tono black. Imprimere la propria impronta. Ma anche, semplicemente, cambiare cognome (da Burke a Brown) e, soprattutto, etnia alla protagonista, che da bianca diventa afroamericana.

E rido tantissimo se penso che uno swap del genere oggi scatenerebbe l’ira di chi crede che certe scelte siano dovute necessariamente all’esasperazione di concetti come ‘inclusione’ e ‘politically correct’. Lo stesso Leonard benedirà la sceneggiatura di Tarantino definendola il migliore dei ventisei adattamenti tratti da sue opere. Una narrazione così avvolgente da non farti rendere conto delle due ore e mezza di durata, per un film che migliora di visione in visione, permettendoti di cogliere lo spessore e le sfumature dei personaggi – non a caso prima parlavo di revisionismo, basterebbe vedere come è cambiato il parere medio del pubblico su Jackie Brown nei 15 anni successivi all’uscita.

Proprio Quentin lo paragonerà a Rio Bravo (Un Dollaro d’Onore, western del 1959), definendoli entrambi film di ritrovo per il modo in cui si prestano a rewatch plurimi da vivere come una reunion con determinati personaggi. Lo stile di Tarantino è palpabile, marcato, riconoscibile. Il fatto che sia un film differente non implica l’assenza della consueta mole di trovate tecniche, narrative, visive a cui il nostro ci ha piacevolmente abituato.

Potrei fare svariati esempi. E magari li faccio, che altrimenti qui che ci stiamo a fare. Penso alla già citata scena introduttiva in cui ci viene mostrata una protagonista che con una semplice camminata in sostanza ti seduce, ti entra in testa delineando la centralità del suo ruolo ed il suo territorio, per poi scomparire dalla scena e ripresentarsi forse dopo mezzora. In più di un’occasione i personaggi vengono inquadrati di spalle (se non proprio di nuca), su tutte la sequenza nel pulmino in cui sai che Ordell ha una pistola ma non sai cosa ci sta facendo.

Jackie che parla del suo piano con lo stacco strategico che ci impedisce puntualmente di saperne di più. Il modo in cui Quentin gioca con la tensione quando Max e Ordell sono in macchina da soli, una cadenza dal ritmo lento e regolare a dispetto di uno spettatore che a quel punto freme per arrivare al culmine, mentre quel prolungare alimenta proprio il meccanismo tensivo.

Il tenerissimo bacio finale, intenso e sincero, dall’emozione crescente, privo di sottofondo musicale, in contrapposizione agli standard hollywoodiani che difficilmente avrebbero visto due persone di mezza età in una situazione di questo tipo. Per non parlare di una delle scene clou, lo scambio delle buste al Del Amo (con 500mila dollari di denaro reale e non oggetto di scena!) che viene girato, montato e mostrato da tre prospettive differenti.

jackie brown film 1997 keatonE ancora, il piano sequenza dell’omicidio di Beaumont, che tra l’altro era stato anticipato dall’inquadratura dall’interno del portabagagli, uno dei trademark del regista come il primo piano dei piedi di Melanie che arriva dopo appena cinque minuti di visione, o il pov del moribondo che assiste impotente agli ultimi attimi della propria vita prima di schiattare. Il delirante Chicks Who Love Guns, finto video girato appositamente da Tarantino per l’occasione.

La generosa dose di omaggi e citazioni, che include gli spezzoni del nostro La Belva col Mitra del 1977 (con Ordell che scambia Helmut Berger per Rutger Hauer), di Dirty Mary, Crazy Larry del 1974 (in cui compare Peter Fonda, padre di Bridget che il film lo sta guardando dal divano) e Detroit 9000 del 1973 conosciuto in Italia come Criminale Asservito alla Polizia.

Quando Jackie esce dal camerino in cerca dei poliziotti si può sentire in sottofondo il tema presente in Coffy del 1973, nella scena in cui Pam Grier dalla polizia veniva inseguita. A casa di Ordell si può notare una foto di Samuel L. Jackson in vasca da bagno scattata in occasione di Quei Bravi Ragazzi del 1990. L’Honda Civic bianca del 1980 guidata da Jackie è la stessa che guidava Butch in Pulp Fiction nella scena in cui investe Marsellus Wallace.

I riferimenti al fascino del vinile e degli LP di chi non sente la necessità di fare upgrade col CD, ma semmai di infilarci anche qualche musicassetta. Che mi offre il gancio per parlare dell’abituale e ricercato apporto musicale, Tarantino sceglie molta musica black ma non necessariamente per il suo essere ‘black’, quanto per essere buona musica che deve aver accompagnato gli anni della sua formazione.

Di Across 110th Street abbiamo in parte detto, utilizzata per aprire e chiudere il film in modo tale che la stessa canzone possa raccontare due stati d’animo diversi. La ricorrente Didn’t Blow Your Mind This Time dei Delfonics, che contraddistingue la relazione che va istaurandosi tra Jackie e Max. (Holy Matrimony) Letter to the Firm presa di peso da quel Foxy Brown di cui avevamo parlato qualche riga più su. Street Life dei Crusaders, The Lions and the Cucumber dei The Vampire Sound Inc., Midnight Confessions dei Grass Roots, Natural High dei Bloodstone, per fare qualche altro esempio.

Meritano un discorso a parte cast e casting, che rappresentano uno dei tanti fiori all’occhiello di Jackie Brown. E confermano una delle qualità di Quentin Tarantino, ovvero saper scegliere i propri attori (dai protagonisti ai comprimari) mettendoli sistematicamente in condizione di rendere al meglio.

jackie brown film 1997 tuckerNon si può non iniziare da colei che dà il titolo al film. Pam Grier è Jackie Brown. Pam Grier è bellissima. Stunning, direbbe qualcuno e lo dico pure io. Partiamo da questo presupposto. Una bellezza sensuale, elegante, avvolgente, ipnotica. E soprattutto non fine a sé stessa, visto che all’estetica abbina una performance di spessore, cool, di carattere. Intensa in almeno in un paio di circostanze in cui scorgi le lacrime nei suoi occhi.

Con un fare in apparenza tranquillo riesce a convincerti di quanto sia cazzuta, di essere una donna risoluta, con la scorza di tante esperienze passate. Inutile suggerirvi di ascoltarla nella versione originale qualora non l’aveste già fatto. Tarantino la utilizza con assoluto rispetto e stima, quella stessa bellezza non viene sottolineata da chissà quale abbigliamento provocante come poteva essere quello del periodo seventies in cui la Grier era diventata simbolo (e sex symbol) della blaxploitation, ma da un look volutamente sobrio, sempre fine, ma forse anche più efficace – il completo nero alla fine è eloquente in questo senso, indossato con fascino incredibile.

Jackie fuma spesso, espediente visivo che torna utile per inquadrarle le labbra o le dita affusolate con tanto di unghie smaltate rosso fuoco. Una dichiarazione d’amore esplicitata da una doppia entrata in scena (ad effetto) del personaggio, cosa che non mi pare si veda spesso; se dei titoli di testa abbiamo detto, bisogna per forza menzionare l’uscita di Jackie dal carcere quando la sua figura in penombra in combo all’espressione di Max che la vede per la prima volta (sulle note della sopracitata Natural High) rendono speciale questo passaggio proprio come se quell’entrata trionfale fosse una seconda presentazione.

Icona, quindi, per lo stesso Tarantino, che della Grier aveva i poster nel proprio ufficio, pallino di una collaborazione che avrebbe potuto concretizzarsi già in Pulp Fiction, quando Pam aveva sostenuto il provino per il ruolo poi finito a Rosanna Arquette; provino che era andato anche bene, ma Quentin sosteneva che una donna come la Grier non sarebbe stata credibile nei panni di una moglie che subisce passiva le urla del marito, riservandosi di richiamarla per un’occasione più grossa che per fortuna di tutti non tarderà ad arrivare.

Quella di Pam Grier è chiaramente un’altra delle scelte coraggiose di Quentin Tarantino, ricollegandoci anche al discorso dell’andare contro le regole imposte dallo star system. Dare il ruolo da protagonista in una produzione mainstream ad un’attrice che ha costruito il proprio nome nel cinema di genere, in un momento della sua carriera ormai distante dal picco del proprio stardom. Questa sua felice predisposizione per rispolverare attori in qualche modo (ed ingiustamente) dimenticati o messi da parte da Hollywood, e di certo non perché non fossero più capaci di fare il proprio mestiere.

A dispetto di direttori di casting che continuavano a proporgli liste sempre piene degli stessi nomi, lui aveva scelto buona parte dei suoi volti già in fase di scrittura. Che se ci pensate è una cosa grandiosa, provate solo ad immaginare l’attesa che poteva esserci per il film che veniva dopo Pulp Fiction, il tam tam di nomi (e di agenti) potenzialmente interessati a lavorare con Tarantino. E lui che se ne esce affidando i due ruoli principali a due attori in qualche modo dimenticati dal Dio del cinema.

jackie brown film 1997 quentinGià, perché se Pam Grier ricopre la parte da protagonista, quello del primo co-protagonista va a Robert Forster che al tempo non aveva neanche più un agente. E che per quanto compaia regolarmente sulla locandina e nel trailer (narrato dalla voce di Hal Douglas), viene escluso (immagino senza l’approvazione del regista) da molte delle foto promozionali, perché la Miramax era pur sempre di uno stronzo come Harvey Weinstein.

Anche Forster era da tempo nei pensieri di Quentin, che aveva fatto il suo nome alla consegna dello script di Una Vita al Massimo per il ruolo che poi Tony Scott assegnerà a Christopher Walker, e che gli aveva fatto sostenere un provino per Le Iene per la parte poi andata a Lawrence Tierney. In pre-produzione pare fossero girati nomi del calibro di Gene Hackman o Paul Newman, ovviamente apprezzatissimi da Tarantino che però (dopo aver pensato anche a John Saxon) in mente aveva solo Robert Forster che dal canto suo era motivatissimo da un’occasione effettivamente grossa, che poteva farlo rientrare nel giro che conta.

Cosa che puntualmente è successa (molto più che a Pam Grier), considerando che per il suo Max Cherry riceverà una nomination agli Oscar che da lì in avanti contribuirà ad aprirgli una serie di porte che sembravano chiuse per sempre. Forster ripaga tanta fiducia con un’interpretazione all’altezza, il suo Max è un uomo sveglio, flemmatico, pignolo, concreto, risoluto. Di grande magnetismo. Calmo, malinconico. Ma ancora capace di sognare e di innamorarsi.

Robert è talmente in focus da utilizzare cimeli di suo padre (tra cui poster di Ringling Bros e Barnum & Bailey Circus per i quali Robert Forster Sr. era stato addestratore di elefanti) per arredare l’ufficio del suo personaggio, propone di inserire una battuta sul trapianto di capelli (a cui si era realmente sottoposto non molto tempo prima) che sembra quasi un richiamo a quell’Alligator (apprezzato da Quentin Tarantino ma anche da noi, la recensione) in cui il suo poliziotto faceva autoironia sulle proprie calvizie.

L’unico reduce da Pulp Fiction è Samuel L. Jackson, che con Tarantino vanta un sodalizio di ferro, l’attore probabilmente più portato a dare voce ai dialoghi scritti del regista/sceneggiatore americano. Il suo Ordell è il villain, anche se in maniera un po’ paradossale considerando che di fatto lui il torto (e la rapina) lo sta subendo; Jackson gira nei weekend perché già impegnato con le riprese di Sphere (in uscita nel 1998), propone i capelli lunghi e stirati ed il particolare pizzetto, si veste da pimp ma senza ricorrere al monocolore, parla tanto (manco a dirlo, a suon di motherfucker, pronunciato la bellezza di 37 volte), spesso utilizzando un tono leggero che porta quasi a farti dimenticare la sua facile inclinazione all’omicidio come soluzione dei fastidi.

La presenza di lusso è quello di Robert De Niro, presentato sui credits con un significativo ‘and’, il suo Louis Gara (per il cui casting era girato il nome di Sylvester Stallone) è un personaggio latente, quasi come se apparisse slegato dalla trama, che viene fuori alla distanza quando nel giro di un paio di scene trova il proprio personalissimo climax. De Niro è fenomenale nel recitare per sottrazione, ricorrendo tantissimo alla mimica facciale, al linguaggio del corpo, al modo di stare in piedi o di fumare, spesso taciturno, borbotta, bofonchia, tossisce.

jackie brown film 1997 qtSe come me amate i particolari solo apparentemente inutili, avrete notato una serie di piccoli gesti caratterizzanti, come quando gli viene chiesto da quanti giorni fosse uscito di prigione e lui indica con la mano il numero cinque per poi correggersi e dire quattro giorni.

Piccole sfumature a cui ricorre chi in un personaggio ci entra sul serio, per quanto il ruolo possa sembrare di contorno al punto che QT aveva quasi imbarazzo ad offrirlo a De Niro (inizialmente interessato a quello di Max Cherry) che da parte sua, invece, con quella lungimirante umiltà tipica dei grandi era voglioso di lavorare col regista accettando con entusiasmo l’ingaggio – sebbene qualche voce (da confermare) sostenga che poi sul set non si siano presi granché, il che cozzerebbe col feeling all’apparenza sincero mostrato dai due in fase promozionale.

Louis e Ordell comparivano già in un altro romanzo di Elmore Leonard, quel The Switch che un Tarantino quindicenne aveva provato a rubare per poi essere beccato e arrestato a conferma di quanto lo scrittore fosse una delle sue ispirazioni giovanili. Dopo aver pensato a Christina Applegate (sotto contratto con la sit-com Married… with Children), Bridget Fonda viene scelta per intrepretare Melanie Ralston (ispirata all’attrice Candice Rialson), bionda da spiaggia che poltrisce in bikini sul divano tra tv, droga e qualche sveltina di contrabbando (con De Niro che in Stanley and Iris del 1990 aveva già avuto una sex scene con la zia, Jane Fonda); Bridget che lo stesso anno recita in Touch di Paul Schrader, altro film tratto da un romanzo di Elmore Leonard.

Michael Keaton era restio ad accettare il ruolo di Ray Nicolette (per il quale era stato valutato anche John Travolta), non tanto perché non desiderasse lavorare con Tarantino ma perché riteneva di non essere adatto, poi convinto dallo stesso regista che apprezzava come fosse un favore il fatto che l’attore avesse accettato una parte così piccola a cui saprà dare il giusto charme.

Il personaggio di Nicolette darà vita ad una di quelle sfizioserie del cinema che mi fanno impazzire, visto che di lì a poco compare in un altro film tratto da un romanzo di Leonard come Out of Sight, uscito a giugno del 1998. Steven Soderbergh si mette in contatto con Tarantino (che imporrà alla Miramax di dare il via libera senza chiedere un solo dollaro) nel corso delle rispettive pre-produzioni, per sapere chi scritturerà per la parte (in modo da fare lo stesso) e per cogliere qualche particolare in più sul personaggio.

Due produzioni diverse per due film non collegati, in cui compare un personaggio che in pratica serve a ricordare che Jackie Brown non è ambientato nell’universo di Quentin Tarantino ma in quello di Elmore Leonard al pari di Out of Sight. Nel cast anche Chris Tucker, che in una sola scena riesce a improvvisare ironia per il suo Beaumont, Tommy Lister wrestler prestato al cinema che dona volto e stazza a Winston l’assistente di Max (dopo il rifiuto di Shaquille O’Neal, malconsigliato dal suo agente) e un cameo per Sid Haig, che viene ripescato dall’oblio (prima ancora che Rob Zombie gli donasse una seconda mini carriera) in onore dei suoi trascorsi nel cinema di genere e nella blaxpolitation in cui aveva lavorato proprio con Pam Grier, con cui condivide la scena nell’aula di tribunale (durante l’accusa si sente Long Time Woman, cantata dalla stessa Grier) in cui compare anche, sfocata sullo sfondo, Mira Sorvino, al tempo fidanzata di Tarantino, che la inserisce nei ringraziamenti scritti in ‘codice’ – special thanks per la figlia di Bert D’Angelo, personaggio interpretato da Paul Sorvino nella serie tv Bert D’Angelo Superstar del 1976.

jackie brown film 1997 fondaIl nome di Sid Haig è visibile insieme a quello del regista Jack Hill sul citofono di Melanie. Cameo (vocale) dello stesso Quentin Tarantino, che si può sentire nella segreteria telefonica di Jackie. Dall’uscita del film c’è anche chi sostiene che nella scena di apertura ci sia un cameo nascosto di Danny DeVito, che era stato uno degli executive producer di Pulp Fiction, una voce mai confermata, se volete dare un’occhiata e farvi la propria idea in merito provate a mettere in pausa intorno al minuto 2.03.

Costato 12 milioni di dollari, Jackie Brown ne incassa circa 75 in giro per il mondo. Negli USA esordisce a dicembre del 1997, con Quentin Tarantino che lo guarda a ripetizione nascosto tra gli spettatori nelle sale, arrivando a tredici rewatch nel solo Magic Johnson Theatre. In Italia ci arriva a marzo del 1998. Dei film di Tarantino che hanno ricevuto nomination agli Oscar, è incredibilmente l’unico a non portare a casa nemmeno una statuetta. Anche l’unico in cui, nel corso delle riprese, non vengono utilizzate le Panavision Panaflex, per gli amanti delle curiosità statistiche tecniche.

Che altro dire. Di Jackie Brown, così come altri film del buon Quentin, si potrebbe parlare per ore trovando sempre qualcos’altro da dire. In un certo senso un seme a rilascio lento, fiorito negli anni in una filmografia di prim’ordine in cui ha saputo ritagliarsi (con meriti che aveva fin dall’inizio) il suo posto d’onore. A 60 anni Tarantino parla del prossimo progetto come di un possibile ultimo film, la speranza è che stia bluffando, non siamo ancora pronti a privarcene.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Jackie Brown: