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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Alligator , uscita: 02-07-1980. Budget: $1,500,000. Regista: Lewis Teague.

Recensione story | Alligator di Lewis Teague

27/10/2019 recensione film di Francesco Chello

Nel 1980 arrivava nei cinema un beast movie dal budget contenuto interpretato da Henry Silva e Robert Forster fierissimo della sua appartenenza al 'genere'

alligator 1980 film

Lo scorso 11 ottobre ci lasciava Robert Forster. Caratterista navigato, di grande esperienza, magnetico, elegante, sempre affidabile. Una lunga carriera alle spalle, inclusa una seconda parte totalmente rigenerata dalla chiamata di Quentin Tarantino e il suo Jackie Brown del 1997, che porta Forster addirittura a una nomination per l’Oscar come miglior attore non protagonista.

Figlio di un irlandese e un’italoamericana, esordisce nel 1967 con una piccola parte in Riflessi in un occhio d’oro, con Marlon Brando ed Elizabeth Taylor, una carriera lunga 52 anni che termina con El Camino (la recensione), in cui riprende il ruolo interpretato nella serie Breaking Bad, uscito proprio il giorno della sua morte. Un curriculum variegato che lo porta a spaziare in tanti generi diversi (molti dei quali a noi cari) contando partecipazioni a titoli come Vigilante, The Black Hole, Valanga, Delta Force, Mulholland Drive, Twin Peaks, Slevin e Attacco al Potere, solo per dirne alcuni.

alligator film 1980 posterEd è proprio pescando nel cinema di genere che troviamo il film di cui vogliamo parlarvi oggi ed attraverso il quale vogliamo rendere omaggio e ricordare in qualche modo Robert Forster. Mi riferisco ad Alligator, beast movie del 1980, un titolo che ricordo sempre con affetto ed a cui, sono sicuro, sono legati tanti della mia generazione (ma non solo).

Uscito sull’onda lunga de Lo Squalo, Alligator ha l’intelligenza e il buon gusto di non provare a cimentarsi con un’improbabile ed improduttiva imitazione, prende giusto lo spunto per le dimensioni spropositate dell’animale assassino (accompagnato da musichetta minacciosa) per poi cercare la propria strada in territori piuttosto differenti che prevedono la fiera consapevolezza di essere un film di genere.

Si viene così a creare una riuscitissima (e particolare) atmosfera che prevede un tono leggero che non diventa mai commedia e non cade mai nel ridicolo, personaggi con la battuta pronta e la voglia di sdrammatizzare, mentre l’orrore viene trattato e trasposto con serietà, il coccodrillone è una minaccia, si lascia dietro vittime, sangue e morte. Caratteristiche che contraddistingueranno molte produzioni del decennio eighties che Alligator si trova inconsapevolmente ad aprire.

La storia prende spunto dalla leggenda americana che vedrebbe la presenza di alligatori che vivono nelle fogne delle metropoli; cuccioli di coccodrillo gettati nel wc da chi credeva potessero essere acquistati e cresciuti come animali domestici, incredibilmente sopravvissuti nell’habitat fognario alimentandosi di ratti e rifiuti urbani. Ed è quello che vediamo in un simpatico prologo in cui, dopo uno sconsiderato spettacolo rurale a tema coccodrillesco che mette subito in chiaro la pericolosità e la ferocia dell’animale, un papà butta nel gabinetto il piccolo coccodrillo della figlia.

La variazione sul tema consiste nell’alimentazione dell’esemplare in questione che si nutre di carcasse di animali utilizzati come cavie da un’azienda farmaceutica per testare uno speciale farmaco che aumenta il livello di ormoni, da qui le dimensioni bibliche dell’alligatore.

Alligatore che viene esaltato alla stregua di un mostro, portato sullo schermo attraverso un sapiente mix di escamotage, dal gioco di luci e ombre alla ricerca di immagini suggestive, dalla visuale in soggettiva alla ricerca di inquadrature mirate, dal vedo/non vedo a filmati di reali coccodrilli, dall’ottimo animatronic (che si romperà nel corso delle riprese ed in seguito sarà donato ai Florida Gators come mascotte) alla manipolazione delle proporzioni (tramite miniature o sovrapposizioni come nel caso della scena tra le auto in cui il bestione appare più lungo di un’automobile).

Le sue apparizioni sono cadenzate in un crescendo che trova il suo apice nell’ultimo atto di Alligator, in cui il bestione decide di lasciare la suggestiva ambientazione delle fogne (che fino a quel momento aveva avuto il suo peso sul clima di minaccia e pericolo) per avventurarsi in città e fare spuntini di carne umana.

Robert Forster in Alligator (1980)Il bodycount è corposo, la scia di sangue è lunga e disseminata di cadaveri e arti mozzati, buono il lavoro vecchia maniera del reparto effetti speciali che annovera, curiosamente, la presenza di un giovane Bryan Cranston in qualità di assistente alla produzione.

Non mancano scene da ricordare, come l’uscita dalle fogne con clamoroso sfondamento di tombino e asfalto, la morte del reporter o ancora la drammatica uccisione del bambino in piscina, per arrivare alla strage al matrimonio – spassosa sequenza clou in cui decine di invitati cadono sotto i morsi e i colpi di coda del gigantesco rettile che finirà col demolire un’auto col proprietario all’interno.

Merito, quindi, della mano e del mestiere di Lewis Teague, la cui regia imprime il giusto ritmo ed i cambi di tono, oltre ad ottimizzare e capire quando utilizzare le varie tecniche sopraelencate, coordinando diverse scene d’azione collettiva che includono più di un’esplosione, facendo fruttare al meglio un piccolo budget da 1 milione e mezzo di dollari. Teague ottiene il ruolo dopo che la regia era stata offerta a Joe Dante, tre anni dopo tornerà sul genere (ancora con buoni risultati) col kinghiano Cujo.

La trama di Alligator, pertanto, si sviluppa intorno a una storiella fantasiosa (ed affascinante come solo una leggenda metropolitana sa essere), ma curata il giusto, che trova il tempo di approfondire la caratterizzazione di un protagonista interpretato, appunto, dal nostro Robert Forster che si presenta in ottima forma nonostante fosse reduce da una meningite spinale. Il suo è un poliziotto reduce da un trauma, costretto al trasferimento da un altro distretto, gode di poca stima e fiducia da parte dei colleghi.

L’attore porta sullo schermo un personaggio che nonostante le ferite ancora aperte non si demoralizza, non perde la propria sicurezza, la sfrontata faccia da schiaffi ed il coraggio incosciente che lo porterà a superare la diffidenza del dipartimento, affrontare la bestiaccia e riconquistare la propria credibilità in un finale (con bomba) al cardiopalma. Spavaldo ma anche autoironico, come dimostrano le ripetute battute sulle calvizie (tra l’altro reali dell’attore), che saranno oggetto di (auto)citazione in Jackie Brown.

Henry Silva in Alligator (1980)Trovando il tempo per una love story con la ragazzina del prologo ormai cresciuta affidata a Robin Ryker. Nel cast anche il mitico Henry Silva, in una partecipazione divertita nei panni di un personaggio palesemente sopra le righe capace di farsi ricordare in sole due o tre scene; particina anche per Sue Lyon, la Lolita di Kubrick, qui alla sua ultima apparizione prima del ritiro dalle scene a soli 34 anni.

Citazioni per il Daily Bugle, che appare tra i giornali che danno la notizia dell’avvistamento, per Il Terzo Uomo (The Third Man) attraverso la scritta “Harry Lime was here” che si intravede nelle fogne, e per il pittore Ramòn Santiago, il cui nome compare su un poster a casa di David, oltre che essere scelto dalla giovane Marisa come nome del suo cucciolo – Ramòn, infatti, è il coccodrillo che finisce nelle fogne.

Un film leggero ma capace di lasciare il segno, indubbiamente divertente, in grado di valorizzare adeguatamente sia la bestia del titolo che il suo antagonista umano portato sullo schermo con bravura da Robert Forster. Un meritevole esponente del filone beast movies, nonché tra i migliori del sottofilone coccodrilli. Oltre che un piacevole tuffo nel passato ed un modo gustoso di rendere omaggio ad un attore come Forster. Alligator debutta nelle sale americane il 14 novembre del 1980, mentre in Italia arriva a maggio dell’anno successivo.

Uscito in dvd italiano nel 2006 per la 01 / One Movie, attualmente è fuori catalogo ma non del tutto irreperibile.
Il finale di Alligator mostra un ulteriore cucciolo che finisce nelle fogne, lasciando una porta aperta per un secondo capitolo. Sequel che arriva 11 anni dopo, ma che in realtà più che un seguito sembra una sorta di remake, considerando che non c’è alcun collegamento col predecessore (sia in termini di trama che di personaggi) e che si limita a raccontare la storia di un nuovo alligatore cresciuto a dismisura a causa di rifiuti tossici rilasciati da un complesso chimico.

Alligator II: The Mutation (anche se non c’è nessuna nuova mutazione rispetto al primo episodio) esce in patria nel 1991, mentre dovrebbe essere inedito in Italia – per il recupero home video ho optato per un dvd tedesco (con audio originale). Nonostante un budget leggermente superiore (si arriva a 3 milioni e mezzo di dollari, ma con un decennio di inflazione), il film sembra più povero del primo capitolo, da cui preleva due o tre spezzoni camuffati e rimontati col nuovo girato. Sicuramente meno ispirato, le apparizioni del coccodrillo sono piuttosto sporadiche (specie nella prima metà), con l’inserimento di un intrigo criminale che annoia e toglie tempo prezioso alla bestia assassina.

Da salvare una manciata di scene con annesse uccisioni sempre piacevoli oltre che la breve presenza di Richard Lynch, cacciatore a capo di una squadra di beoti che include anche Kane Hodder, mentre Dee Wallace aggiunge un altro horror al suo curriculum a tema. Il poliziotto protagonista di Joseph Bologna non ha il carisma giusto per la situazione, perdendo nettamente il confronto impari con quello di Robert Forster. E non poteva essere altrimenti.

Di seguito il trailer internazionale di Alligator: