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Voto: 6/10 Titolo originale: Le porte del silenzio , uscita: 01-12-1991. Regista: Lucio Fulci.

Dossier: Le Porte del Silenzio di Lucio Fulci, un funereo testamento al genere

03/12/2022 recensione film di Carmine Marzano

Nel 1991 il regista dirigeva quello che sarebbe stato il suo ultimo film, un'opera dalle atmosfere elegiache incompresa all'epoca

porte del silenzio film savage 1991

Lucio Fulci ha girato dall’inizio della sua carriera oltre cinquanta film, dei generi più disparati, spesso barcamenandosi tra budget miserrimi e tempo limitato per le riprese, ma anche tanta passione e inventiva per cercare di sopperire a tali problematiche.

Il suo periodo di massima fama artistica lo si può collocare all’incirca dal 1966/1969 fino al 1981/1982, dopodiché, con l’inizio degli anni Ottanta, il suo cinema ha cominciato a perdere sempre più colpi, specie per via dell’aggravarsi del diabete e della crisi generale del cinema nostrano, in particolare quello di genere.

All’inizio degli anni ’90, Lucio Fulci è ormai ‘appannato’ e senza più nessuno disponibile a finanziargli nuove opere, ma per sua fortuna Aristide Madsaccesi (alias Joe D’Amato) si offre di produrgli Le Porte del Silenzio (Door to silence), progetto a lungo coltivato e tratto da un racconto dello stesso regista intotolato “Le Porte del Nulla”, estrapolato dall’antologia “Le Lune Nere” (pubblicato nel 1992).

Lucio Fulci ha così a disposizione un budget di 400.000 dollari (tantissimi se comparati con le sue ultime travagliate produzioni), un nobile attore decaduto del grande cinema americano degli anni 70’ come John Savage (Il Cacciatore, Hair) e un piano di lavorazione di un mese, cosa che non gli capitava più da anni.

Le Porte del Silenzio film poster fulciLe Porte del Silenzio è il testamento artistico di Lucio Fulci il quale, data anche la malattia, evidentemente sentiva la morte lentamente avvicinarsi (sarebbe avvenuta alcuni anni dopo, una sensazione che lo spinge a riversare nell’opera tutta la sua angoscia esistenziale.

Ne scaturisce un film dal tono funero, definibile come un incrocio fulciano tra Il Settimo Sigillo (1957) e Il Posto delle Fragole (1957) di Ingmar Bergman con il Duel di Steven Spielberg (1971).

Melvin Devereux (Savage) ha appena finito di visitare la tomba del padre al cimitero di New Orleans, in Louisiana, quando apprestandosi a far ritorno a casa viene avvicinato da un’affascinante e misteriosa donna di colore (Sandi Schulz), che afferma di conoscerlo, seppur l’uomo dica di non ricordarsene affatto.

Melvin liquida con sufficienza l’accaduto, decidendo di far ritorno a casa, dove lo aspetta la famiglia, ma durante il lungo il viaggio troverà ad aspettarlo una sequela di ostacoli fisici, nonché l’opprimente presenza di un carro funebre, che sembra sempre precederlo.

Il protagonista è un uomo di mezza età proteso a guardare in avanti con lo sguardo, ma dall’aria imbolsita, essendo modellato sulle fattezze del suo interprete John Savage, il cui apice artistico era oramai alle spalle da un pezzo.

Il percorso di Melvin viene infatti spesso interrotto da segnali stradali di lavori in corso che gli impediscono di percorrere le strade principali, obbligandolo a dover far uso di vie secondarie al limite dell’impraticabile, attraversare paesaggi desolati, zone degradate suburbane e paludi fangose. Luoghi differenti, ma tutti accomunati da un’aria di sospensione spazio-temporale, che rende difficile dare delle coordinate precise al viaggio, che diviene così sempre più allucinato, come quel sole torrido e asfissiante che si vede all’orizzonte.

La regia di Lucio Fulci è quadrata, sobria e priva di inutili virtuosismi, che peraltro non avrebbe neanche potuto permettersi, dato il budget contenuto. Il regista punta allora tutto sulla costruzione della tensione, venata di mistero insormontabile, nelle sequenze in cui Melvin si imbatte in un lugubre carro funebre, che non vuole lasciarlo passare.

Lucio Fulci, posizionando la macchina da presa frontalmente rispetto al protagonista, stacca spesso nel montaggio sull’acceleratore pigiato a tavoletta, inquadrando poi la ruota anteriore del suo veicolo; in tal modo riesce a conferire maggior dinamismo ‘ossessivo’ a una scena che spesso di ripete, trasfigurando il tutto in una sorta di duello metafisico tra il protagonista e il ‘maledetto carro’, che nonostante si cerchi di evitare a ogni costo, si ripresenta sempre uguale a sé stesso, assumendo le fattezze di un destino ineluttabile.

Insomma, Le Porte del Silenzio è un’opera che lascia parlare molto le immagini, relegando in secondo piano i dialoghi, conferendo in tal modo maggior indeterminatezza a un racconto che assume, nello sviluppo di atmosfere traslate, sempre più i toni della metafisicità onirica, affrontando tematiche come il tempo (l’orologio rotto), la morte, la vita e l’impossibilità di comunicare, mediante un approccio riflessivo alla materia, che permane sempre su un piano indefinito nel suo dipanarsi, come d’altronde è il viaggio di Melvin, il quale cerca varie volte di sfuggire alla ‘meta prefissata’, tentando in ogni modo di opporsi a tale disegno.

Ma il puzzle può assumere un’unica forma possibile, nell’assemblare le tessere dei flashback, dei flash forward o delle semplici visioni, che scaturiscono da uno stato mentale sempre più precario del protagonista.

porte del silenzio film savageUn ultimo film davvero atipico quindi, per un regista etichettato con superficialità dagli americani come il ‘godfather of gore’, quando invece i francesi usavano il più poetico, ma veritiero, ‘poeta del macabro’.

Detto questo, Le Porte del Silenzio è totalmente privo di elementi splatter, di sangue e di effetti speciali, una cosa che ha spinto critica e pubblico a etichettarlo come ‘noioso’ e ‘inutile’, quando in realtà affronta una miriade di tematiche care al cinema di Lucio Fulci.

Un’opera quindi più che buona, specie se si tiene conto dei pochi soldi a disposizione e del contesto storico dell’uscita. I suoi difetti possono essere ricondotti a una fotografia un po’ piatta nel complesso e alla diluizione eccessiva del soggetto di base, tesa a far raggiungere la fatidica durata di 90 minuti, presentando sequenze ripetitive o non necessarie all’economia della narrazione (su tutte la scena con la prostituta, la zia maga e i troppi intoppi lungo il cammino).

Un fiasco totale a livello di vendite internazionali, nonostante l’imposizione a Lucio Fulci (visiti i fallimenti più recenti) di adottare lo pseudonimo ‘Henry Simon Kittay’, in Italia Le Porte del Silenzio non venne nemmeno distribuito nei cinema, anche per via del fallimento della casa di produzione Filmirage, tanto che si dovette attendere l’home video per poter visionare quello che resterà a tutti gli effetti il testamento artistico di Lucio Fulci, che morirà nel marzo del 1996 senza aver girato niente altro, mentre si batteva ancora con tutto sé stesso per non essere ricordato solo come ‘un relitto del passato’.

Di seguito trovate una clip di Le Porte del Silenzio: