[esclusivo] Intervista a Kei Ishikawa su Gukoroku (Traces of Sin)
28/10/2016 news di Alessandro Gamma
Abbiamo incontrato il giovane regista giapponese per parlare del suo primo film, presentato nella sezione Orizzonti a Venezia 73
Presentato nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Gukoroku (Traces of Sin) rappresenta l’opera di debutto del regista giapponese – ma polacco d’adozione (artistica) – Kei Ishikawa, un dramma vestito da thriller che vede tra i protagonisti Tsumabuki Satoshi (Ikari) e Mitsushima Hikari (Love Exposure).
Questa la sinossi:
Tanaka sta attraversando un momento difficile, cercando di sostenere sua sorella minore Mitsuko, recentemente arrestata e detenuta in carcere. Come un reporter investigativo, si immerge nella storia di un caso di omicidio scioccante ormai quasi dimenticato. Una famiglia “perfetta” – composta un uomo d’affari di successo, la bella moglie e l’adorabile bambino – è stata brutalmente assassinata l’anno precedente e il caso è rimasto irrisolto. Tanaka intervista così gli amici e i conoscenti della famiglia, e mentre emergono le storie sulla loro vera natura, comincia a scoprire che la famiglia non era tanto ideale quanto si credeva. Gli intervistati rivelano la loro stessa natura nascosta, scoperchiando un ritratto inquietante di elitarismo sociale.
Abbiamo fatto due chiacchiere con il regista, che ci ha parlato della genesi del film e della sua a prima vista insospettabile strettissima relazione con la Polonia – dove ha studiato – e alcuni dei suoi più illustri registi.
Come mai hai deciso di venire in Europa – in Polonia nello specifico – per studiare cinema e come ha incontrato il direttore della fotografia Piotr Niemyjski?
Fondamentalmente, in Giappone abbia un sistema totalmente differente, molti dipartimenti separati e indipendenti, quindi il regista deve parlare individualmente con chi si occupa delle luci, con chi si occupa delle lenti della videocamera prima di decidere la cosa giusta da fare. Non sarei riuscito a capire davvero il concept del film in quel modo. Inoltre, naturalmente sapevo che i direttori della fotografia in Polonia sono molto bravi e allo stesso tempo volevo portare sullo schermo qualcosa di diverso. Mi serviva qualcuno che conoscessi già, quindi in questo senso è stato piuttosto scontato che scegliessi Piotr.
Cosa ti aspettavi di trovare in Polonia e cosa hai trovato?
In un certo senso la scuola polacca è dura! [ride]. Tutti i professori sono stati molto severi… distruggevano le mie proposte ma allo stesso tempo così facendo mi hanno aiutato. Sono riuscito comunque a trovare il mio stile e ho imparato le basi, e questo tipo di basi in Giappone non sono riuscito a trovarle da nessuna parte. In questo senso posso dire che la scuola polacca di cinema mi ha reso il regista che sono, ma sto ancora cercando di capire chi sono davvero.
Dal film emerge forte il tema del destino, della predestinazione, che se sei nato povero non verrai mai accettato nella cerchia dei ricchi e addirittura non potrai mai essere felice. E’ qualcosa che percepisci nella società giapponese? Si percepisce una forte critica…
Si può dire che sia un social thriller. Fondamentalmente è un crime mistery, ma allo stesso tempo non credo sia troppo un crime mistery. La ricerca della verità è un punto importante ma non è il tema portante del film a mio parere. Interpreto più il film come un dramma umano. Io provengo da una famiglia molto normale, quindi non ho esperienza diretta di quello che viene narrato, delle gerarchie sociali ecc, ma dalla mi esperienza in Polonia ad esempio, una delle differenze più grandi tra Giappone ed Europa è che in Europa questo gap sociale è quasi visibile. Ad esempio dal cognome che porti o da dove vivi o come parli puoi capire se appartieni all’alta società o meno. In Giappone non puoi dedurre niente dalla persona accanto a te basandoti sul cognome. In Giappone esiste una sorta di ‘sogno americano’, ma allo stesso tempo c’è questo scarto sociale… Quando ho letto il libro su cui si basa il film ho pensato che fosse una grande storia crime ma che fosse anche una specie di Il grande Gatsby ambientato in Giappone, in cui la gente sogna di diventare qualcuno.
Hai detto che Tokyo ti sembra una città senza un vero centro, e questo sembra riflettersi anche nel film, che pare non avere un centro preciso. E’ una cosa voluta?
Non è facile spiegarlo a parole, ma nella mia testa la struttura del film è come una spirale. In questo senso non c’è centro, ma allo stesso tempo è molto regolare. Il titolo letterale in giapponese significa ‘catalogo di follie‘. Con Piotr ci siamo confrontati e ci siamo detti che il film lo avremmo girato come un catalogo a livello visivo. Ad esempio nella prima scena sull’autobus questa idea è ben presente, quando facciamo questa carrellata sui personaggi e poi conosciamo il protagonista. Lo capite bene se lo vedete, è più difficile spiegarlo a parole [ride].
A proposito della scena iniziale, come hai deciso di iniziare con una sequenza dal tono – e dallo stile – così diversi dal resto del film?
Mi piace l’idea che il pubblico pensi che l’opera sia in un certo modo quando in realtà il regista sta parlando di tutt’altro. Dopo la scena del bus, c’è quella dell’incontro tra i due fratelli. Volevo dichiarare apertamente che sto mostrando delle cose ma parlo di altre. Un inizio per così dire normale, ma poi… E poi faccio capire con chi abbiamo a che fare, il protagonista si comporta in un modo strano, nasconde qualcosa come poi vedremo…
Hai dichiarato che Michael Haneke è uno di quei registi che hai voluto omaggiare e che Rashomon è un film molto importante per te. Hai dei ‘maestri’ anche in Giappone ai quali ti sei ispirato?
Rashomon è un film troppo grande da menzionare per me [ride]. Sicuramente mi piacciono le opere di Kon Ichikawa e Shōhei Imamura e degli altri registi di quell’epoca, la loro eleganza e lo stile. Penso che ormai siano perdute. E anche di Ozu. Tra i registi polacchi direi Andrzej Wajda e Andrzej Żuławski. Ce ne sono tantissimi!
Com’è stato il tuo rapporto con la Office Kitano, che ha prodotto Gukoroku?
Essendo il mio primo film non avevo un team alle spalle con cui avessi già lavorato, quindi in pratica mi sono recato al loro quartier generale e ho conosciuto il Signor Kitano. Sono molto grandi e hanno molta esperienza. Sono stati piuttosto aperti a un’idea ‘diversa’ come la mia. Dopo alcuni giorni è stato facile viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda con loro.
Com’è stata la collaborazione con Piotr Niemyjski sul set?
All’inizio abbiamo parlato molto dello script e poi mi ha mostrato alcuni dipinti e fotografie e allora abbiamo parlato del visual concept. All’inizio, come dicevo, c’è stata questa intenzione di mettere in scena questo catalogo di personaggi, ma verso la fine volevo che lo spettatore immaginasse quello che vede come qualcosa non di specifico ma che potrebbe accadergli personalmente. In base a questo, abbiamo poi deciso di parlare dell’aspetto di ogni scena e della fotografia. Alla fine abbiamo deciso insieme, abbiamo più o meno la stessa età… Aggiungo che forse Piotr ha portato nel film qualcosa appreso da Krzysztof Zanussi, che è molto elegante nei suoi film e nei movimenti di macchina.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Non ho ancora deciso nulla, ma ho molto idee e ho alcune sceneggiature già pronte. La selezione qui a Venezia è arrivata inaspettata, quindi deciderò con calma.
Parlando del futuro, in Gukoroku ci sono diverse sequenze quasi horror o al limite del sovrannaturale. Ti interessa approfondire questo aspetto?
Può sembrare strano, ma le sequenze a cui fai riferimento sono come una danza per me, quel movimento delle mani… non volevamo renderlo troppo oscuro. Magari per alcuni spettatori può sembrare così, ma nella mia mente voleva essere un momento molto intimo, quindi per me non è brutale o horror. Tra gli altri progetti a cui sto lavorando ci sono delle commedie dai toni assurdi e quasi fantasy, e forse coinvolgerò ancora Piotr.
Vi lasciamo con il teaser trailer di Gukoroku, che arriverà nelle sale giapponesi il 18 febbraio 2017:
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