Voto: 6/10 Titolo originale: Final Destination Bloodlines , uscita: 09-05-2025. Budget: $40,000,000. Regista: Zach Lipovsky.
Final Destination Bloodlines: la recensione del sesto film, dirigono Lipovsky e Stein
14/05/2025 recensione film Final Destination Bloodlines di William Maga
La saga ritorna dopo 15 anni con un capitolo che fonde narrazione genealogica più profonda e morti inventive, ma inciampa su CGI scadente e fotografia opaca

A quindici anni dall’ultimo capitolo, Final Destination: Bloodlines riporta sul grande schermo la saga horror più iconica del cinema “Rube Goldberg” con un’operazione che mescola reinvenzione narrativa e nostalgia visiva.
Diretto da Zach Lipovsky e Adam B. Stein, il film si presenta come il sesto episodio del franchise, ma con un impianto narrativo sorprendentemente più coeso, intimo e tematicamente ambizioso rispetto ai precedenti. Peccato, però, che le sue ambizioni formali vengano severamente compromesse da una fotografia opaca, composizioni piatte e CGI scadente, segnali preoccupanti di un’estetica sempre più impoverita nell’horror contemporaneo.
La storia si apre negli anni Sessanta, durante l’inaugurazione della futuristica Skyview Restaurant Tower, un’eco della Space Needle di Seattle. Una proposta di matrimonio tra Iris (Brec Bassinger) e Paul Campbell (Max Lloyd-Jones) si trasforma in disastro: un centesimo caduto innesca una catena di eventi che porta all’intero collasso della struttura. È un’apertura spettacolare e iperviolenta, coerente con lo stile della saga, ma stavolta non è una premonizione — o almeno, non subito.
Il film rompe le convenzioni tipiche del franchise: l’intera sequenza si rivela essere un incubo ricorrente della giovane studentessa Stefani Reyes (Kaitlyn Santa Juana), che scopre poi essere connessa alla vera protagonista di quel giorno, sua nonna Iris, sopravvissuta e rifugiatasi per decenni in una capanna isolata.
Sovvertendo l’archetipo del “capanno nei boschi”, la casa diventa qui un luogo protetto, dove la Morte non riesce a entrare. Ma il destino è spietato: non è solo Iris ad aver ingannato la Morte. Tutta la sua discendenza non avrebbe dovuto esistere, e ora che il ciclo riprende, tutti sono nel mirino.
Quello che segue è un horror a tema genealogico, in cui Stefani deve convincere una famiglia estranea — zio, cugini, madre e fratellino — che la loro stessa esistenza è un errore e che la Morte sta venendo a reclamare ciò che le spetta. È una variazione intelligente del meccanismo seriale della saga: non più solo un gruppo di coetanei destinati a morire, ma una stirpe intera.
Lo script, firmato da Guy Busick, Lori Evans Taylor e Jon Watts, dimostra una sorprendente profondità: si interroga sul senso stesso dell’autoconservazione, sul valore dell’esistenza e sulla paura che diventa patologia. Iris ha vissuto tutta la vita nascosta; Stefani impara a vedere il pericolo ovunque. Ma vivere nella paura della morte, significa forse smettere di vivere davvero?
Dal punto di vista del puro spettacolo, Bloodlines non delude. Le scene della grigliata nel cortile, del tatuaggio fatale e della risonanza magnetica impazzita raggiungono l’apice della creatività sadica della saga, tra suspense ben orchestrata e trovate registiche assurde ma coerenti. Gli echi di The Monkey di Osgood Perkins e l’inclinazione alla dark comedy rendono il tono più metanarrativo che mai, senza scadere nel grottesco gratuito.
Anche il fan service è gestito con equilibrio: Bloodlines omaggia apertamente i capitoli precedenti — in particolare l’iconico incidente con il camion carico di tronchi di Final Destination 2 — e offre un ultimo saluto a Tony Todd, l’unico volto ricorrente della saga, qui in una delle sue ultime apparizioni. Il suo personaggio, simbolo stesso della Morte, riceve una chiusura poetica, che ricollega il tutto al cuore metafisico della serie.
Eppure, l’elemento che penalizza seriamente il film è la sua resa visiva. La fotografia di Christian Sebaldt è afflitta da toni spenti, luci piatte, e un’estetica digitale posticcia. Le ambientazioni sembrano generate in post-produzione, e la CGI — onnipresente — spezza il coinvolgimento emotivo e visivo.
Questo è particolarmente deludente in un film che si fonda su elaborate sequenze di causa-effetto che dovrebbero apparire credibili e tangibili. Il perpetuo tramonto della scena iniziale è solo il primo segnale di un’artificialità che svuota l’impatto delle morti stesse.
È un difetto che non apparteneva agli episodi precedenti, e che denuncia una tendenza più ampia del cinema horror contemporaneo, troppo spesso sacrificato alle logiche di produzione digitale, a discapito dell’atmosfera, della tensione e della materia. In questo senso, Bloodlines sembra una parabola involontaria: una saga nata per celebrare la fisicità della morte diventa ora prigioniera dell’immaterialità visiva.
E tuttavia, Final Destination: Bloodlines riesce comunque a offrire una delle narrazioni più solide e stratificate del franchise, dimostrando che la saga non è solo una macchina per incidenti, ma anche una riflessione pop sul destino, l’ansia generazionale e il peso dell’eredità.
È un ritorno che riesce a essere rispettoso delle origini e coraggioso nell’aprire nuove strade. Se il prossimo capitolo saprà migliorare sul piano estetico, la nuova era di Final Destination potrebbe rivelarsi sorprendentemente longeva.
Di seguito trovate il full trailer doppiato in italiano di Final Destination Bloodlines, nei cinema dal 15 maggio:
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