Voto: 7/10 Titolo originale: The Mule , uscita: 14-12-2018. Budget: $50,000,000. Regista: Clint Eastwood.
Il Corriere – The Mule: la recensione del film di – e con – Clint Eastwood
07/02/2019 recensione film Il corriere - The Mule di Giovanni Mottola
Ignorato dall'Academy, è un capolavoro sui rimpianti di un vecchio, raccontati in equilibrio tra leggerezza e profondità. E' tratto da una storia vera ma diventa l'opera più personale del regista, perfetto come testamento artistico di una grande carriera
Non bisognerebbe rimanere troppo a lungo senza vedere una persona se non si vuole correre il rischio di ritrovarla invecchiata, a maggior ragione se è già in là con gli anni. Fa quindi una certa impressione assistere alla prima scena di Il Corriere – The Mule, sapendo che l’anziano floricoltore col volto scavato dal tempo, dal passo lento e dai modi gentili, è nientemeno che Clint Eastwood, l’emblema del duro tra gli attori della sua generazione.
E forse per non suscitare questa impressione aveva deciso di chiudere la sua carriera davanti allo schermo nel 2012, dopo le riprese di Di nuovo in gioco. Difficile dire se a indurlo al ripensamento sia stata la volontà di non far calare il sipario di una grande carriera su un film dimenticabile o il divertimento d’interpretare un personaggio ispirato alla vicenda di Leo Sharp, preso a quasi novant’anni con le mani nel sacco mentre trasportava droga per il cartello messicano di Sinaloa.
Di sicuro per questa parte era l’interprete ideale: non soltanto per la corrispondenza anagrafica, ma perché il tratto principale di Sharp – che nel film è stato ribattezzato Earl Stone – è il senso di colpa, maturato col sopraggiungere della vecchiaia, per un passato di trascuratezze verso la famiglia in nome di una dedizione totale al lavoro e del piacere di trascorrere il tempo libero divertendosi con gli amici.
E’ facile credere che anche Clint Eastwood non sia stato buon custode dell’intimità familiare (due mogli, sette figli da cinque donne diverse) e che abbia quasi voluto rinsaldare il suo parallelismo con Stone sotto questo aspetto, affidando la parte della rancorosa figlia di lui Iris alla propria, Alison Eastwood, con la quale non aveva mai lavorato all’infuori di Corda Tesa, quando lei aveva nove anni.
Per costruire il personaggio di Earl, lo sceneggiatore Nick Schenk è partito dal ricordo dei tanti veterani di guerra incontrati per scrivere la storia del Walt Kowalski di Gran Torino. In quell’occasione scoprì ch’essi reagirono in due modi al momento di tornare alla vita civile: alcuni avevano sviluppato astio verso il mondo e coloro che lo abitano, altri invece si erano lasciati il passato alle spalle e avevano improntato i loro rapporti con la gente su un brio e una leggerezza vicina all’irresponsabilità.
Se Kowalski apparteneva alla prima categoria, il reduce dalla Corea Stone è invece in Il Corriere – The Mule l’esempio della seconda. Tornato dalla guerra, Earl si dedica pienamente alla sua attività di floricoltore, curando la produzione di emerocallidi, ovvero gigli che vivono per un giorno soltanto, simbolo perfetto per un’esistenza effimera, trascorsa senza assumersi responsabilità. Con la diffusione di Internet e dunque di nuove forme di commercio la sua attività fallisce.
Earl è ormai vicino agli ottant’anni, un’età in cui di solito ci si ritira serenamente a godersi l’affetto di figli e nipoti, ma egli non può farlo perché le sue mancanze nel corso degli anni hanno suscitato un tale rancore da parte dei suoi congiunti – a parte l’affettuosa nipote Ginny (Taissa Farmiga), non vogliono più vederlo né la figlia Iris (Alison Eastwood) né l’ex moglie Mary (Dianne West) – da convincerlo che solo attraverso il denaro potrebbe riconquistare il loro affetto.
Essendo lui il primo ad averne bisogno, accetta la proposta di effettuare delle misteriose e ben pagate consegne. Il suo stile di guida prudente e sicuro, maturato in lunghi viaggi di lavoro compiuti negli anni, fa sì che gli vengano offerti nuovi incarichi analoghi. All’inizio ignaro di quel che fa, Earl capisce presto di essere diventato un corriere dello spaccio e capisce anche che il gioco diventa sempre più pericoloso.
Da un lato, però, lui è un veterano che non si spaventa davanti a nulla, e in più ha un bisogno sempre maggiore di soldi essendosi ormai appassionato al ruolo di benefattore; dall’altro, ai trafficanti non sembra vero di poter ricorrere ad un insospettabile vecchietto. Ma la Polizia, guidata dall’agente Colin Bates (Bradley Cooper), è sulle loro tracce.
Come in ogni lavoro di Eastwood la retorica è assente, anche grazie all’alleggerimento ottenuto con l’ironia (al protagonista vien detto che assomiglia a James Stewart) e con alcune situazioni che strappano la risata, come quando Earl, entrando nella favolosa villa del capo del cartello Laton (Andy Garcia) gli domanda quante persone si debbano ammazzare per vivere in un luogo del genere.
Ma la battuta da incorniciare è quella che la figlia profferisce al padre al momento della sua condanna al carcere: “Adesso, almeno, sapremo dove trovarti“.
Questa frase costituisce il miglior punto d’incontro tra l’anima scanzonata del film e quella più profonda. Clint Eastwood le alterna, saltando con naturalezza da festini di malavita a spaccati di vita familiare, e le fonde sul tema dei rimpianti di chi “ha passato la vita cercando di essere qualcuno fuori casa piuttosto che essere il fallimento che era al suo interno”, bravo a stringere amicizie con qualsiasi estraneo, criminali e brava gente, ma incapace di rapporti sereni con la famiglia.
Persino un grande come lui aveva raggiunto di rado un amalgama di così alto livello tra tensione, divertimento e scavo psicologico, fino a toccare delle vette che solo alla grande letteratura sono solitamente concesse. Gli era riuscito con Million Dollar Baby, con la differenza che allora era la spalla di una formidabile Hilary Swank, mentre qui, pur circondato da attori di ottima resa, tutto è sulle sue spalle.
Anche per questo, oltre che per le ragioni anzidette, può dunque essere considerato il suo film più personale, fino a una chiusa da Eastwood prima maniera quando al processo, con lo stile del vecchio cowboy, invoca il carcere anziché l’umiliante infermità mentale chiesta dal suo avvocato.
Un punto di collegamento, come lo del resto l’intero Il Corriere – The Mule, tra il duro dei primi film d’azione e il regista (e talvolta attore) dei drammi intimisti della seconda parte di carriera.
Trattandosi dunque di una mirabile sintesi della medesima auguriamo a lui, e anche a noi stessi che siamo stati suoi spettatori appassionati, che sia davvero il testamento artistico: accontenterà quasi tutti.
Tra gli schizzinosi andranno registrati forse i soli signori dell’Academy che, ormai dimentichi del loro compito di valutare l’aspetto artistico dei lungometraggi e non quello politico, o forse incapaci di farlo, hanno ritenuto di escludere Il Corriere – The Mule da qualsiasi nomination (quel che è peggio: in un anno cinematograficamente povero …), non potendo probabilmente accettare, per i loro canoni, un autore che si permette di inserire in una sua opera espressioni come “negri” o “lesbiche”.
Siamo certi che Clint Eastwood troverà consolazione a questa ingiustizia non soltanto nella consapevolezza di aver girato un capolavoro, ma persino nella grammatica: potrà infatti pensare che, se lui è stato ignorato, vuol dire che qualcun altro è stato ignorante.
Di seguito il trailer italiano di Il Corriere – The Mule, nei nostri cinema dal 7 febbraio:
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