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Il diario da Venezia 77 | Episodio 3: il Duca, il Conte e il ‘Re dei ladri’

11/09/2020 news di Giovanni Mottola

Oggi parliamo di Arte, ricordando Philippe Daverio e raccontando delle bravate di Vittorio Sgarbi e del furfante gentiluomo Vincenzo Pipino. Recensioni flash per il film The Duke e il documentario Paolo Conte, Via con me

venezia 77 lido

Alle proiezioni del mattino, anche per via del prolungarsi delle temperature estive, è normale avvistare gente vestita in bermuda e magliettine; così come a quelle della sera le regole dell’etichetta impongono abiti eleganti per signore e signori. L’incertezza prevale invece nell’orario di mezzo, quello in cui, per dirla con Dante (non Emma …), la mosca cede alla zanzara. Così, intorno alle cinque del pomeriggio, in specie nelle sale in cui presenziano le delegazioni dei film, si può notare il buffo fenomeno di coesistenza dei due costumi e l’ancor più curioso spaesamento negli sguardi casualmente scambiati tra chi ha scelto l’uno e chi l’altro, incerti entrambi su chi dovrebbe sentirsi in maggiore imbarazzo.

Uno che non sarebbe mai stato sfiorato da questi problemi era Philippe Daverio, a suo agio in qualsiasi circostanza grazie alla sua eleganza senza tempo fatta di panciotti e farfallini. Anche grazie alla perfetta conoscenza di sei lingue fu capace d’inventarne una settima, una sorta di esperanto della cultura nella quale condensava le sue conoscenze in tema di arte, musica, cinema, teatro formulate in una lingua capace di raggiungere e conquistare ogni tipo di pubblico.

the duke film venezia 77Con queste premesse avrebbe sicuramente amato il film più delizioso di questa Mostra, The Duke di Roger Michell. Racconta la storia dell’anziano Kempton Bunton, dedito a crociate idealiste e velleitarie come quella di non pagare il canone della televisione se si toglie la bobina della pubblica BBC. Fino a spingersi a sottrarre dalla National Gallery di Londra un quadro di Goya da 140.000 sterline, raffigurante il Duca di Wellington, allo scopo di utilizzare il riscatto per offrire la tivù gratis ai pensionati d’Inghilterra. La storia pare assurda ma è ispirata ad un fatto vero, anche se questo non è poi così importante.

Ciò che conta è che tutto concorra alla godibilità della pellicola: ritmo, scelta delle musiche, fotografia. Ma sopra ogni cosa restano indelebili una sceneggiatura piena di battute degne delle migliori commedie di Billy Wilder nonché le interpretazioni di grande classe di Jim Broadbant nella parte del bisbetico e originale protagonista e di Helen Mirren in quella della moglie burbera e sconsolata ma dal cuore d’oro. Poiché stiamo parlando di un furto di opere d’arte e di un ladro che si proclamava “onesto”, trovandoci per di più in quel di Venezia viene spontanea l’associazione d’idee tra Kempton Bunton e Vincenzo Pipino.

Quest’ultimo è stato uno dei più grandi ladri italiani di ogni tempo, una sorta di Arsenio Lupin specializzato in furti di opere d’arte, anche grazie a una competenza non comune in materia. In gioventù si diede assai da fare al Lido: da ragazzino praticava fori nelle cabine delle spiagge antistanti i grandi Hotel, allo scopo di spiare le Loren, le Lollobrigide e le Allasio quando andavano a farsi un bagno nel periodo della Mostra del Cinema. Appena qualche anno dopo, sempre qui compì il suo primo grande colpo, derubando un turista americano di un rotolo di banconote ammontante a decine di migliaia di euro di oggi, dimenticato in cabina nel taschino della camicia. Tra i suoi colpi più celebri si segnalano anche un furto compiuto in Svizzera nella camera d’albergo di Cary Grant mentre l’attore, ubriaco, dormiva e il furto di un Vivarini da Palazzo Ducale a Venezia – violato solamente da lui – su commissione del boss Felice Maniero. Ma il più straordinario avvenne nel palazzo di Alberto Falck, sempre a Venezia. Pianificò tutto per giorni, insieme ai suoi complici abituali, scoprendo che l’appartamento non era abitato.

La sera del colpo, a sorpresa, si presentò Falck, che si chiuse in camera da letto a lavorare tutta la notte. Nonostante questo il furto fu compiuto ugualmente, senza che l’industriale si accorgesse di nulla. Tra il bottino, in mezzo a decine di opere d’arte, persino uno dei pochi Canaletto conservati in collezioni private, il “Fontegheto della farina”. Pipino si mise in contatto con Falck domandando un riscatto e minacciandolo che avrebbe anche potuto distruggere il quadro in mille pezzi. Ma Falck non si lasciò intimorire e con il fiuto del grande uomo d’affari rispose che, se era giusta l’idea che si era fatta di lui, non l’avrebbe mai fatto.

Era vero: Pipino era innamorato della sua città e di tutti gli artisti che vi avevano appartenuto. Il suo desiderio sarebbe stato proprio che Falck donasse il quadro alla città di Venezia. Pipino e i suoi complici furono arrestati abbastanza presto per questo colpo, non prima però di ricevere dalla moglie di Falck una cassa di vini pregiati per non aver spaventato né fatto del male al marito quella notte.

vincenzo pipinoFalck non donò il quadro alla città, ma qualche anno dopo lo prestò per un’esposizione alla quale partecipò, nascosto tra il pubblico, pure Pipino. I due si riconobbero da lontano e si salutarono con un cenno di reciproco rispetto. Sarebbe scontato pensare che un cotanto “re dei ladri” si possa realizzare un film; in effetti lo scorso anno si diffuse la notizia che gli americani lo avessero in programma, con Dustin Hoffmann nei panni di Pipino. Non se ne è più parlato, ma mai dire mai.

Chi si occupa di arte, ma a differenza di Pipino dimentica spesso le buone maniere è invece Vittorio Sgarbi, che in questi giorni di Mostra sta facendo parlare parecchio di sé. Qualche sera fa, alla consegna dei Premi Kinèo, ha avvicinato l’attrice Sara Serraiocco prendendole le mani tra le sue. Questa ha reagito con stizza, invitandolo visti i tempi a tenere le distanze. Sgarbi ha replicato con una battuta (“Giusto: è bene non amarsi troppo”); la Serraiocco, sentendosi presa in giro, si è stizzita ancora di più e ha abbandonato la cerimonia. Un paio di giorni dopo Sgarbi ha litigato anche con gl’inservienti della Mostra del Cinema che lo invitavano a indossare la mascherina. Non conosciamo di preciso lo svolgimento dei fatti, ma su questo punto Vittorio Sgarbi poteva anche avere qualche ragione, dal momento che l’organizzazione della Mostra ha forzato le regole obbligando all’utilizzo della mascherina anche all’aperto quando ci si trova all’interno dello spazio del Festival. Da Sgarbi comunque non si sa mai cosa aspettarsi, perché è spettacolo d’arte varia.

Le citazioni di Paolo Conte vanno sempre bene, ma in questo caso sono d’obbligo dal momento che il festival ha deciso di rendergli omaggio con il documentario di Giorgio Verdelli, Paolo Conte, Via con me. Il critico letterario Antonio D’Orrico ha recentemente proposto di consegnargli il Leone d’Oro alla Carriera. Una provocazione ma non troppo, perché in effetti l’Avvocato di Asti ha parecchi rapporti con il cinema.  Per lui le canzoni sono una sorta di sceneggiatura di tre o quattro minuti in cui è importante descrivere un’atmosfera e un paesaggio prima ancora che una storia in sé. Tra i film da lui più amati possiamo annoverare Il bacio dell’assassino di Stanley Kubrick, Lo spaccone di Robert Rossen e Il porto delle nebbie di Marcel Carné.

Ha composto anche colonne sonore, tra le quali assume particolare rilevanza quella del film d’esordio di Roberto Benigni Tu mi turbi del 1983, titolo peraltro molto contiano, con la struggente Sparring Partner in versione strumentale. Leggenda vuole poi che Marcello Mastroianni, non avendo in un primo momento voglia d’interpretare il protagonista di Sostiene Pereira, suggerì al regista e alla produzione di chiamare al suo posto proprio Paolo Conte, considerandolo perfetto per il ruolo. Con la Mostra non ricordiamo rapporti particolari, ma Venezia l’ha inserita in un suo brano poco conosciuto, “Tua cugina prima”, in cui ironizza su due sposini di provincia che si fanno fotografare con un colombo in mano a Piazza San Marco per dimostrare appunto alla cugina, donna di mondo, di aver viaggiato anche loro. Quasi una presa in giro ante-litteram della mania dei selfiescosì come pare aver anticipato il fanatismo gastronomico descrivendo già più di trent’anni fa ristoranti i cui menù contemplano “torta di mais” e “pesce veloce del Baltico” e poi servono polenta e baccalà. Tutte queste piccole curiosità nel documentario di Verdelli in realtà non si trovano.

paolo conte con enzo jannacciEsso si compone di brani d’interviste realizzate appositamente e altre del passato, lunghi spezzoni tratti da concerti più o meno recenti, testimonianze di colleghi e artisti vari che con il maestro hanno un rapporto di amicizia ma soprattutto ammirazione. Un po’ di nomi alla rinfusa: Benigni, De Gregori, Isabella Rossellini, Arbore, Patrice Leconte, Jane Birkin, Luca Zingaretti che è la voce recitante.

C’è anche Pupi Avati, col quale si conobbero nei festival dedicati alle piccole jazz band degli anni Cinquanta e poi si ritrovarono quando al regista bolognese fu chiesto di girare un documentario su di lui dal titolo Gelato al limon per la trasmissione Rai “Variety” e passò così un’intera settimana ad Asti, seguendolo tra aule di tribunale e trattorie. La vera chicca del documentario di Verdelli è la registrazione di una rara esecuzione di Bartali realizzata insieme ad Enzo Jannacci, che Paolo Conte considerava il più grande che l’Italia avesse mai espresso.

Enzo gli telefonava spesso: “Pronto, c’è il poeta? Sono il genio!“. Per il resto il lavoro di Giorgio Verdelli non aggiunge molto a chi Conte già lo conosce, ma era difficile fare altrimenti, anche conoscendo la ritrosia tipicamente piemontese del personaggio ad aprirsi sul suo privato. Scandagliarlo è come sbirciare il buco della serratura della porta dell’Infinito, ottenendo da lui smorfie e mezze frasi da interpretare, che rivelano un mondo intimo e universale al tempo stesso. Paolo Conte, Via con me ha comunque il merito di risultare assai godibile per gli appassionati, perché lo si ammira con piacere anche per l’ennesima volta, e di costituire il più completo documento ad oggi mai realizzato su di lui, idoneo quindi a fornire un’idea precisa a quei tanti italiani che non lo conoscono a sufficienza, essendo egli inspiegabilmente più famoso all’estero che in patria. Per citare ancora una volta le sue parole, il documentario di Giorgio Verdelli è quindi il riassunto di Paolo Conte come la lucertola è il riassunto del coccodrillo.

Di seguito il trailer ufficiale di Paolo Conte, Via con me, che arriverà nei cinema il 28, 29 e 30 settembre: