Il diario da Venezia 78 | Episodio 1: ‘Birbone gretino’ (o della duplicità di un Leone d’Oro)
03/09/2021 news di Giovanni Mottola
Oggi siamo monografici
Sembrava incastonato tra color che son sospesi, in quel limbo anonimo che è la parte centrale della cerimonia di apertura, dalla quale il pubblico, ormai impaziente di assistere al primo film, si attende soltanto la conclusione. E invece, forse a suo agio per questa collocazione dantesca, com’era presumibile Roberto Benigni si è preso tutta la scena, utilizzando addirittura, in veste di spalla muta, neanche fosse Harpo Marx, un divertito Sergio Mattarella.
Con il Presidente della Repubblica dapprima ha scherzato, pregandolo di restare al suo posto almeno fino ai Campionati del Mondo di calcio del 2022 in Qatar, quale evidente portafortuna, e offrendosi di studiare da “grande elettore” all’americana per acquisire il potere di votarlo per la riconferma. Poi, con serietà, ne ha tessuto iperbolicamente le lodi.
In questi pochi istanti Roberto Benigni ha offerto un’immagine completa della sua carriera di artista, composta di due anime: quella dell’imprevedibile giullare e quella del paladino dell’ovvio, con corredo di melassa. D’altra parte anche il suo anagramma, il “Birbone gretino” del titolo del diario odierno, manifesta questa indole alla contraddizione presente in lui. Di essa ha offerto molteplici prove anche nel corso della lectio magistralis tenuta oggi, 2 settembre, sotto il pungolo di Gianni Canova.
In questo consesso ha affermato che senza il cinema avrebbe probabilmente fatto il pretino di campagna, proprio lui che faceva la ramanzina a Wojtilaccio. Ha sostenuto che esistono solo due autori nella letteratura mondiale, William Shakespeare e l’amato Dante Alighieri (“ma non so che personaggio dell’Inferno preferirei interpretare: forse Ciacco, oppure Vanni Fucci …”), poi però consiglia a tutti di leggere “La passeggiata” di Robert Walser, scoperto grazie all’amico Jim Jarmusch.
Con lui si erano conosciuti negli Anni ’80 al Festival di Salsomaggiore, feudo della famiglia Bertolucci, con la quale Benigni ha avuto rapporti molto stretti. “Attilio ha scritto il più bel poema del Novecento, “La camera da letto“, e a Giuseppe devo tantissimo”. Insieme realizzarono infatti il suo primo film, “Berlinguer ti voglio bene”, del quale ama ricordare soprattutto la scena tutta improvvisata in cui vaga per i campi rivolgendosi a Dio e sfornando al contempo una cornucopia di parolacce, perché a causa di uno strano accorgimento tecnico fu montata “con i salti, alla Buster Keaton“. Il quale è sempre stato, peraltro, una delle sue principali fonti d’ispirazione, insieme a Charlie Chaplin. “Vidi La febbre dell’oro a 14 anni in un cinema sulle colline pistoiesi, dove entrai di straforo perché non avevo soldi. Rimasi incredulo di fronte alla sua capacità di creare poesia e comicità nella stessa scena”.
Ma, ovviamente, il maestro a cui dedica le parole più lusinghiere è Federico Fellini, che considera il più grande regista di ogni tempo per essere stato l’inventore del linguaggio del sogno e sul quale racconta un aneddoto. “Fellini, Bergman e Kurosawa dovevano realizzare un film insieme, diviso in tre episodi. Passavano il tempo a telefonarsi per domandarsi l’un l’altro cosa pensavano di fare, ma non se lo rivelavano mai per non condividere il proprio “giocattolo” con gli altri. Alla fine il film non si fece”.
Secondo Roberto Benigni, invece, il cinema è tutt’altro che un gioco, ed è felice che nella lingua italiana, a differenza che il quella inglese (to play) e francese (jouer), i concetti di “recitare” e “giocare” vengano espressi con due parole diverse.
Questo è all’incirca il resoconto dell’incontro di Roberto Benigni con il pubblico della Mostra del Cinema. Non sono mancati alcuni fuor d’opera, come quando si è alzato per abbracciare una giornalista messicana che ne aveva espresso il desiderio, o momenti spiritosi, come il ricordo di quella nottata di molti anni fa trascorsa a improvvisare componenti in ottava rima, insieme a Francesco Guccini e Umberto Eco (“Vinse Guccini, io secondo. Eco terzo, staccatissimo!”).
Ma a colpire di più è il tono di questa conferenza. Per quanto il moderatore si dichiarasse colpito dalla carica sprigionata dal suo ospite, questa sembrava invece mancare del tutto, come se l’entusiasmo manifestato dal neo Leone d’Oro alla carriera fosse di maniera, quasi dovuto a un copione a cui è ormai condannato.
Vi fu un tempo in cui Roberto Benigni era portatore di ben altra carica: un folletto stralunato, capace di spiazzare costantemente alternando occhi strabuzzati a improvvise risate senza motivo, come negli sketch de L’Altra Domenica con Renzo Arbore, in cui impersonava un critico cinematografico che recensiva film non visti. Capace altresì di fuggire dal letto spaventato perché vi si era infilata di soppiatto Moana Pozzi (!) insieme ad un’amica.
Capace dei più noti eccessi, simpatici perché senza freni inibitori, come l’assalto a Raffaella Carrà. Questo Roberto Benigni ha smesso di esistere con La vita è bella, che della sua carriera, oltre al punto più alto, ha dunque in un certo senso costituito anche la fine, condannandolo da lì in poi a un ruolo nazional-popolare rinnovato di volta in volta a colpi di Divina Commedia, Costituzione Italiana e Dieci Comandamenti.
Viene allora in mente una sua lontana comparsata in tv, nella trasmissione Ieri e Oggi, dove due personaggi venivano invitati perché rivedessero spezzoni di loro lavori televisivi del passato. Il conduttore, l’arguto e perfido Luciano Salce, si divertì a imbastire una puntata con due ospiti agli antipodi: Roberto Benigni appunto e Wanda Osiris. Anche per l’effetto contrasto con l’anziana icona di una forma d’arte ormai scomparsa come la grande Rivista, egli apparve in quell’occasione moderno, irriverente, geniale. Il Roberto Benigni di oggi, tra i due personaggi di quella puntata, assomiglia più alla stanca Wanda Osiris che non al sé stesso di quarant’anni fa.
Di Benigni, come da anagramma, ne abbiamo avuti quindi due. Poiché c’incuriosiva sapere con certezza a quale tra loro il Direttore Alberto Barbera abbia voluto assegnare il premio alla carriera, anche se un sospetto che fosse quello recente l’avevamo, siamo andati a leggere le parole da questi usate per descriverlo allo scopo di dissipare definitivamente questo dubbio.
Ecco l’estratto più significativo: “Un animale di razza come pochi altri, quale lui è, deve corporeamente sentire di dover esserci verticalmente in un dato proscenio, qualsivoglia esso sia“. Come se fosse Antani.
Di seguito la masterclass di Roberto Benigni:
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