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Il diario da Venezia 80 (2023), episodio 0: Salon des Refusés

29/08/2023 news di Giovanni Mottola

Senza i divi americani in sciopero, la Mostra del Cinema ripiega sull'Italia e su alcuni vecchi reietti

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Con Comandante di Edoardo De Angelis avrà inizio l’edizione numero 80 della Mostra del Cinema di Venezia. Prima però è doveroso celebrare la cifra ancor più tonda – cento anni – alla quale un mese fa è scomparsa una storica abitante del Lido, la signora Girardello.

La chiamavano Yvonne ma il suo nome era Annita, niente mariti nè figli (questa forse la ragione di tanta longevità), ed era stata la prima hostess italiana. Durante la guerra, giovanissima, lavorava all’aeroporto locale Nicelli come impiegata addetta alla riparazione degli aerei militari. Terminato il conflitto, quando i mezzi vennero riconvertiti al trasporto passeggeri, Yvonne si inventò il mestiere, allora sconosciuto, di assistente di volo.

La sua tratta abituale era Lido di Venezia-Roma, dunque nel periodo della Mostra viaggiava spesso con i divi del cinema, calmando i più paurosi con la melissa prodotta dai frati della vicina Chiesa degli Scalzi. Negli anni Sessanta l’aeroporto cominciò il suo declino e la signora Girardello decise allora di aprire un negozio di vestiti per bambini nel quartiere di San Marco, poi danneggiato dalla storica alluvione del 1966.

Yvonne GirardelloComprendendo che questo genere di disastri erano causati dagli ampliamenti dell’area industriale di Porto Marghera, Yvonne iniziò a battersi per la salvaguardia della città, quando ancora le battaglie ecologiste non erano considerate à la page e venivano quindi condivise da pochi volti noti, tra cui Indro Montanelli, che realizzò un celebre reportage sui rischi che stava correndo Venezia.

È un peccato che la notizia della morte di un personaggio come Yvonne Girardello non abbia avuto lo spazio che avrebbe meritato. Perlomeno però la sua storia non ha potuto essere mortificata da titoli banali come “L’ultimo viaggio” o “In volo verso il paradiso”.

In effetti quello del titolista non è un lavoro facile. Al Corriere ancora si ricorda la crisi in cui piombarono i redattori incaricati d’impaginare la notizia dell’annullamento di un matrimonio disposto dalla Sacra Rota a causa dell’impotenza del marito. Fortuna che fosse presente Dino Buzzati, il quale se ne uscì con uno dei più bei titoli della storia del giornalismo: “Non coniugava, l’imperfetto”.

Abbiamo divagato anche troppo, in linea però con lo stile di Alberto Barbera all’atto di allestire questa edizione di Festival. Egli è parso incorrere nella sorte di un divo del muto all’avvento del sonoro. Nel corso della sua ormai ultradecennale reggenza aveva intensificato sempre più il legame della Mostra del Cinema con le produzioni hollywoodiane, menando vanto, a quel punto giustamente, di aver proiettato a Venezia film poi vincitori di Oscar (Birdman, Il caso Spotlight, La forma dell’acqua, Nomadland).

Magari stava studiando il colpo anche quest’anno, quand’ecco che un grande sciopero di attori e sceneggiatori di Hollywood ha bloccato le produzioni di nuove opere e il lancio di quelle già pronte. Sul merito di questa vicenda vorremmo aprire una parentesi per dire che, per quanto le rivendicazioni degli scioperanti siano sacrosante, non si riesce però a provare piena solidarietà per loro.

Gli sceneggiatori lamentano il rischio di poter essere sostituiti dall’Intelligenza Artificiale. Ebbene: se lo meriterebbero. Da anni hanno rinunciato a esprimere punti di vista originali e liberi, piegandosi ai voleri del politicamente corretto dal quale si sono fatti imporre temi e linguaggio. Si sono creduti furbi, anche per il fatto di spacciare la loro furbizia per nobiltà morale, senza capire che questo atteggiamento li stava incasellando in quella che Primo Levi, ne “I sommersi e i salvati”, definiva la “zona grigia”.

venezia 80 poster mattottiQuella costituita dal gruppo di oppressi che, nella speranza di sopravvivere e magari ricevere altri privilegi, anziché fare alleanza con le altre vittime contro gli aguzzini, scendono con questi a compromessi e prendono di mira i colleghi di sventura. Siamo ovviamente in tutt’altro contesto, ma fatte le debite proporzioni l’attitudine descritta con grande lucidità da Levi accade oggi pari pari nell’ambito artistico/intellettuale, dove si attacca con ferocia chi non si allinea alle idee dominanti.

Ormai ridottisi volontariamente allo stato di servili robottini, questi sceneggiatori hanno ora ben poco da protestare contro chi intende sostituirli con un congegno elettronico molto più sofisticato per rapidità ed efficacia, nonché meno costoso. Credevano di stare nel Paese dei Balocchi e si sono all’improvviso scoperti asinelli.

Per gli attori il discorso è leggermente diverso, ma con qualche punto comune.

Costoro lamentano le condizioni capestro con cui li trattano le piattaforme, ormai sovrane assolute del mercato cinematografico, e fin qui sono nel giusto.

I loro diritti sono sempre più calpestati: diarie da fame e royalties per le riproduzioni ridotte al minimo storico impediscono addirittura all’86% di loro di raggiungere il reddito di 26.470 dollari, soglia minima per poter stipulare un’assicurazione sanitaria là dove la sanità pubblica non esiste.

La loro colpa è però di essersi svegliati quando oramai i recinti erano aperti e i buoi fuggiti: sarà impossibile togliere a Netfix e compagnia il potere di cui oggi godono. Ma bisogna ammettere che a conferirglielo è stata proprio l’insipienza di chi in essi ha ottusamente visto solo l’opportunità, senza scorgere il rischio. Anche in questo caso quei pochi dell’ambiente che hanno provato ad opporsi alle piattaforme sono stati irrisi e lasciati soli.

Valga per tutti l’esempio di Pedro Almodovar. Nel 2017 il regista spagnolo, dal festival di Cannes dove era Presidente di Giuria, lanciò dure critiche a Netflix e alla sua pretesa di non fare uscire i film in sala. Critiche poi ripetute dopo la pandemia, per denunciare lo strapotere raggiunto dalle piattaforme a discapito della libertà e della dignità degli artisti. Tra i suoi colleghi se ne ricordano ben pochi disposti ad appoggiare la sua crociata, ma tantissimi pronti a dargli del retrogrado, a deriderlo, a dirgli che si trattava di due diverse fruizioni (che parola orrenda!) e che anzi cinema e cineasti ne avrebbero tratto giovamento.

Sarà interessante vedere quando e a quali condizioni questo sciopero terminerà. Il timore è che si sgonfi come una moda passeggera, perdendo per strada i grossi nomi e lasciando i piccoli ancor più abbandonati a sè stessi.

Per intanto l’effetto immediato sulla Mostra del Cinema di Venezia sarà, in negativo, l’assenza del solito divismo (perché i divi, si sa, sono gli americani …), fatto salvo per quello legato alle produzioni indipendenti, non obbligate allo sciopero.

pedro almodovar venezia 2019Ecco allora due piroette di Alberto Barbera per rimpolpare le presenze sul Tappeto Rosso. La prima: dopo aver affermato lo scorso anno che in Italia si producono troppi film e spesso di bassa qualità, ne ospita addirittura sei (su ventitrè) in Concorso, ricorrendo anche a nomi quasi ‘sperimentali’ come Pietro Castellitto (Enea) pur di comporre il programma e godere di una pur casareccia mondanità.

La seconda: aver aperto più del solito gli inviti a personaggi che lo star system ha da tempo bollato come “impresentabili”, dunque non sono vincolati alle regole di una Hollywood che li ha “espulsi”.

Torna infatti Roman Polanski (The Palace), dopo il Leone d’Argento del 2019 per il meraviglioso L’Ufficiale e la Spia e le polemiche innescate sulla sua persona dalla carneade Presidente di Giuria Lucrecia Martel. Nel cast (e in veste di produttore) risulta il suo amico Luca Barbareschi, il quale presenterà anche un altro film (The Penitent), scritto da David Mamet, di cui è regista e protagonista, che si preannuncia molto politicamente scorretto.

Inoltre, per la prima volta durante questi undici anni di Barbera, sbarcherà al Lido anche Woody Allen (Coup de chance), ormai ostracizzato nel suo Paese per una vecchia storia di presunte molestie mai dimostrate nei confronti della figlia adottiva Dylan Farrow.

Autori la cui presenza fa della Mostra una sorta di Salon des Refusés, e per queste scelte in controtendenza Alberto Barbera merita un applauso. Anche se resta il dubbio che, almeno in parte, siano state compiute per fare di necessità virtù, e magari anche riallinearsi parzialmente rispetto a un nuovo potere politico.

Il Direttore giustamente tiene al suo posto e, da buon capitano, conosce l’equipaggio, i fondali, le stelle ma soprattutto il vento: non dev’essergli sfuggito che ne sta spirando uno così forte da aver già spazzato via persino qualche conduttore di telequiz.

Di seguito il trailer di Comandante: