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Il diario da Venezia 80 (2023), episodio 5: bluff manifesto

09/09/2023 news di Redazione Il Cineocchio

Chiudiamo la nostra avventura col plagio di Lorenzo Mattotti e le recensioni dei documentari su Enzo Jannacci e Giuseppe De Santis

mattotti cover new yorker 2022

Proprio sul finire della Mostra del Cinema di Venezia è arrivata la notizia della scomparsa, all’età di novantatré anni, di Giuliano Montaldo. Neanche a farlo apposta, quasi a realizzarne un omaggio inconsapevole, egli compare in due documentari presentati negli ultimi giorni.

Il prima è quello di Steve Della Casa, Un’altra Italia era possibile: il cinema di Giuseppe De Santis. Montaldo considerava quest’ultimo un suo ideale maestro, in quanto caposcuola indiscusso di una corrente di registi che hanno fatto del cinema civile il cuore della loro attività artistica.

De Santis iniziò a girare negli anni Quaranta, diventando uno dei capiscuola del Neorealismo, del quale incarnò l’anima più contadina. Il suo cinema conteneva, come quello degli anni precedenti, un’epica e degli eroi. Ma i suoi personaggi non conquistavano il carattere di eroi per i loro trionfi in battaglia, ma per il sudore della fronte e i calli sulle mani.

passione critica venezia 2023Da regista impegnato, nel senso più nobile della parola, diede voce a quelle classi sociali che non l’avevano mai potuta esprimere: non perché qualcuno li avesse voluti zittire, ma perché parlare avrebbe sottratto energie preziose alle fatiche manuali. Al momento di girare quello che sarebbe diventato il suo film più celebre, Riso amaro (1949), si trovò a dover fare un sopralluogo sulle risaie del vercellese, essendo le mondine e il loro ambiente di lavoro il soggetto del film.

Chiese allora ai suoi compagni comunisti della zona di suggerirgli una persona adatta a fargli da guida in quel contesto. Gli fecero il nome di un giovane redattore piemontese delle pagine culturali de L’Unità, Raf Vallone, uomo di ottima cultura con un passato da calciatore professionista nelle file del Torino.

Appena lo vide, Peppe De Santis si convinse ad affidare proprio a quel giovane il ruolo da protagonista nel film, dando così il via alla terza carriera di Vallone, con il quale avrebbe poi nuovamente lavorato l’anno successivo in Non c’è pace tra gli ulivi. Giuliano Montaldo si dedicò a un cinema meno “agricolo” e più legato alla storia, ma non dimenticò mai la lezione di De Santis in fatto di verità e rigore.

Il secondo documentario in cui egli compare è Passione critica, realizzato da Simone Isola, Franco Montini e Patrizia Pistagnesi e prodotto dal Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici. La testimonianza di Giuliano Montaldo è breve, ma costituisce una buona sintesi del messaggio di tutta l’opera, improntata a raccontare l’evoluzione del ruolo del critico cinematografico. Egli ricorda che il suo primo film, Tiro al piccione (1961), ricevette una stroncatura talmente violenta da lasciargli a lungo dubbi sul fatto di continuare con quest’attività o dedicarsi a tutt’altro.

Le critiche ricevute dal film furono dovute al tema trattato, la Repubblica di Salò. Per farla breve: da destra lo accusarono di essere di sinistra, e da sinistra di essere di destra. Questo dimostra il ruolo militante della critica di quegli anni, quando su un film e un autore si potevano scatenare dibattiti infiniti in ordine al messaggio con un lungometraggio s’intendeva diffondere.

Oggi la critica ha perso completamente quello stile, forse perché meno ideologica o forse, semplicemente, perché meno colta. In più, il proliferare di un giornalismo digitale, per forza di cose più veloce e dunque meno approfondito, ha picconato definitivamente il valore dell’attività del critico, sminuendo l’autorevolezza dei bravi e ampliando lo spazio per gl’incompetenti.

mattotti poster venezia 80Il pubblico allora, frastornato dall’ampiezza dell’offerta e dunque non più in grado di distinguere tra gli uni e gli altri, ha deciso di fare definitivamente a meno del parere del critico, costringendo quest’ultimo a reinventarsi come selezionatore o giurato nei festival di settore. Tra un po’, probabilmente, i critici non sapranno più nemmeno scrivere.

Per chiudere queste rubriche dal Lido, ci siamo tenuti in serbo una carezza e uno schiaffo. La carezza è per uno dei più grandi geni che l’Italia abbia mai espresso nel campo dello spettacolo: Enzo Jannacci.

Giorgio Verdelli, dopo aver presentato qui in Mostra nel 2020 un documentario su Paolo Conte, fa lo stesso con il medico-cantautore, rispolverando una vecchia intervista fattagli nel 2005 e rimasta finora inedita e corredandola delle testimonianze di amici e colleghi.

A colpire in particolare è l’ammirata deferenza con la quale parlano di lui musicisti molto diversi tra loro. Roberto Vecchioni, Vasco Rossi, Paolo Conte, Renzo Arbore e altri ancora concordano tutti sul definire Jannacci il numero uno indiscusso. Proprio per questo fa specie pensare che egli sia abbastanza dimenticato, per lo meno in relazione alla considerazione popolare di cui dovrebbe godere. Forse era talmente avanti che ancora non siamo in grado di comprenderlo appieno.

Lo schiaffo finale va all’illustratore Lorenzo Mattotti. Egli firma per il quinto anno la sigla ufficiale della Mostra, e per il sesto il suo manifesto. Quello di quest’anno, ispirato al cinema “on the road” e raffigurante un’automobile targata ’80’ in viaggio verso l’orizzonte, sarebbe stato anche particolarmente bello.

Peccato che si tratti di un riciclo. Abbiamo infatti scoperto che Mattotti aveva già realizzato il medesimo disegno – ovviamente privo della targa ’80’, pensata appositamente per omaggiare l’edizione della Mostra – per la copertina della rivista New Yorker, sul numero della settimana 11-18 luglio del 2022. Non c’è nulla da fare: che siano registi o disegnatori, gl’italiani in Mostra continuano a essere un bluff.

Di seguito il teaser trailer di Enzo Jannacci – Vengo anch’io: