Intervista al regista Nicholas Verso e ai protagonisti di Boys in the Trees
23/09/2016 news di Redazione Il Cineocchio
Faccia a faccia con i tre giovani australiani, a Venezia 73 per presentare il loro coming of age dai toni soprannaturali
Presentato nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Boys in the Trees è stata una delle piccole grandi sorprese del Festival, sulla quale ben pochi avevano scommesso (e noi siamo tra questi!). Il primo lungometraggio dell’australiano Nicholas Verso è infatti un prodotto non facilmente collocabile all’interno di un genere, spaziando tra il coming of age classico e la favola dark con elementi fantasy, ma di sicuro non lascia indifferenti, come hanno dimostrato gli applausi scroscianti del pubblico che ha avuto la fortuna e il piacere di vederlo in anteprima mondiale.
È la notte di Halloween del 1997, l’ultima sera di scuola per Corey, Jango e la loro gang di skater, i Gromits. L’infanzia è finita e si affaccia l’età adulta, ma Corey ha qualcosa in sospeso nel suo passato. Quando incontra Jonah, un amico di infanzia che ora è la vittima degli attacchi crudeli di Jango, Corey ne ha pietà e decide di accompagnarlo a casa in ricordo dei vecchi tempi. Quella che incomincia come una qualunque camminata tra le strade vuote dei quartieri residenziali, diventa cupa e magica quando i ragazzi cominciano a raccontarsi storie di fantasmi che rivelano le loro paure del mondo. Attraverso i ricordi e i fantasmi del passato, Corey si sorprende di avere tanto in comune con l’amico trascurato. Ma nella notte degli spiriti, persino le verità più nascoste ritrovano il modo di ritornare in vita.
Abbiamo incontrato il regista australiano al Lido, dove è arrivato in compagnia dei due protagonisti, Toby Wallace e Mitzi Ruhlmann. Questa è la lunga chiacchierata che ne è seguita, nella quale abbiamo approfondito la genesi del film, le influenze e i progetti futuri:
Perchè hai deciso di ambientare il film negli anni ’90?
Quando ho iniziato a scrivere il film, era ambientato ai nostri giorni, ma tutte le tecnologie moderne continuavano a mettersi in mezzo. Ci sarebbero state cose tipo i continui messaggi sui telefonini e le condivisioni su YouTube e Instagram o Snapchat, e mi è sembrato davvero poco drammatico, e i personaggi non sembravano giusti, mi è sembrato stupido. Così ho cominciato a pensare a quando fosse stato l’ultimo momento in cui i ragazzi avessero potuto trovarsi da soli nella notte e perdersi ed essere senza telefonini e interagire per davvero faccia a faccia, e così sono arrivato al 1997. Ho capito che c’erano così tante opportunità da raccontare… ho finito per scrivere addirittura 3 film ambientati in quell’anno, perchè c’era così tanto da dire. Penso che il momento in cui viviamo ora sia figlio di così tante cose successe nel 1997, quindi ho voluto andare alla fonte. Inoltre il 1997 è stato il mio ultimo anno di scuola, sono nato nel 1979, quindi la festa finale di Halloween [che si vede nel film] segna l’ultimo giorno di scuola in Australia. Curiosamente è proprio durante quella notte che ho conosciuto la ‘donna che piange’ che si vede alla festa in maschera del Dias de los muertos.
Dicci qualcosa delle musiche che si sentono nel film, ci sono Marilyn Manson, i Rammstein…
Tutte le canzoni presenti sono molto importanti per me e le avevo inserite nello script come parte di esso e fortunatamente le Mushroom Pictures hanno supportato questa mia decisione fin dal primo giorno, hanno capito quanto quell’aspetto fosse importante nonostante i costi per i diritti [ride] e di come fungessero da macchina del tempo. E’ bello vedere l’effetto nostalgia che scatenano le sequenze con quelle canzoni nei ragazzi della nostra età, ma anche nei ragazzini che non le hanno mai sentite. Ho passato davvero dei bei momenti ascoltando quegli artisti. Ora non abbiamo più gente come Marilyn Manson o i Rammstain in giro – almeno in quel modo – e volevo davvero catturare quei momenti. E poi in molta di quella musica degli anni ’90 è presente una sorta di oscurità, perfetta per un film ambientato ad Halloween.
Dal momento che è stata la vostra prima prova come protagonisti di un lungometraggio, come vi siete trovati?
TW: Io e Nick abbia realizzato un cortometraggio qualche anno fa e ho cominciato a sentire parlare della sceneggiatura di BITT a quel tempo ed era uno dei migliori script che avessi mai letto. Mi sono sentito davvero molto collegato ad esso a livello emotivo, ogni draft che mi veniva inviato migliorava sempre più, quindi è assolutamente incredibile avervi partecipato. E’ stato qualcosa di assolutamente diverso da qualsiasi altra cosa fatta prima. Non saprei all’interno di quale genere si potrebbe ascrivere, non ho mai visto nulla del genere. Forse per me può ricordare un po’ Donnie Darko, sul lato emotivo, ma non lo so… E’ stato un bel viaggio insieme a Nick.
MR: E’ stato davvero eccitante girarlo. All’epoca stavo attraversando le stesse emozioni. E’ stato bello poterle esplorare attraverso il film.
Come mai ti sei orientato verso questo tipo di favola molto cupa? Da dove nasce il tuo amore verso il lato oscuro?
Penso di esserne stato attratto fin da bambino, con mia mamma che mi leggeva fiabe e poi mi sono interessato alla mitologia greca. C’è questa splendida oscurità che emerge dalla mitologia antica. Poi da teenager ho scoperto graphic novel come Sandman e Il Corvo, quindi penso che tutta questa sottocultura dark mi abbia sempre attratto. Penso che ci sia così tanta bellezza lì. E i registi che hanno trattato argomenti simili, come David Lynch o Guillermo del Toro, sono sempre stati in qualche modo in risonanza con me. Ho sempre avuto un’immaginazione piuttosto fervida, immaginando creature per le strade e fantasmi con i quali poter entrare in connessione. Mi piace molto entrare in contatto con le persone ed esplorare le paure della gente e trovarne il lato bello.
Tra i tuoi riferimenti hai citato Richard Donner, Joe Dante e Steven Spielberg. Come mai Spielberg?
Penso che per un bambino cresciuto negli anni ’80 Spielberg abbia creato questi mondi così immaginifici nei quali avresti voluto entrare. Credo che ogni ragazzino avrebbe voluto essere Elliott in E.T., ma anche Hook è un film decisamente sottovalutato. Ritengo che in un certo senso sia stato come un papà per me, mi ha cresciuto e ha nutrito la mia immaginazione, penso di dovergli molto.
Voi siete molto giovani. Cosa sapete degli anni ’90 e come siete entrati in una parte così lontana da voi?
TW: Io sono nato nel 1995, quindi li ho vissuti per qualche anno [ride]. Nick ci ha mostrato fotografie molto dettagliate e raccontato com’erano quegli anni. Non c’erano i cellulari e la comunicazione istantanea come oggi, quindi Nick ci ha spiegato che fissavi un’ora e un luogo per incontrarti con un amico e se l’altro non riusciva a fare in tempo allora semplicemente tornavi a casa. Abbiamo ricevuto un lista di cose, tipo quali album ascoltare, quali film guardare, quali erano gli eroi dei quali aver il poster sul muro.
MR: Non sapevo molto degli anni ’90, ma Nick mi ha raccontato molto, specie della sua adolescenza, cosa ha passato ecc. E’ stato divertente.
Dal momento che avete menzionato Donnie Darko, c’è una scena in particolare di BITT che a mio parere lo riporta alla mente subito. Senza contare le similitudini di atmosfera con Stranger Things. Sono riferimenti che hai tenuto presenti?
Penso che ci sia qualcosa nell’aria tale per cui i registi come me vogliono tornare alla propria adolescenza. Non conosco i fratelli Duffer, ma penso che abbiano voluto fare qualcosa di simile a quello che ho fatto io, cioè ritornare con affetto a quegli anni. Per quanto riguarda Donnie Darko, non ho voluto citarlo consapevolmente, ma è spuntato fuori in qualche modo. Ricordo che quando uscì, la prima proiezione fu a un film festival a Melbourne e tutte queste persone mi telefonarono dicendomi che avrei dovuto assolutamente vederlo perchè era come se lo avessi girato io. Donnie Darko è uno di quei film che per me sono molto riusciti. Non l’ho omaggiato direttamente, ma penso che ciò che ha ispirato il suo regista abbia ispirato anche me. Per quello abbiamo realizzato qualcosa di simile.
Puoi dirci qualcosa in più sulla sequenza girata alla festa del Dia de los Muertos? Sembra così ‘lontana’ dalla tradizione australiana. Dicci qualcosa anche dell’uomo vestito di bianco.
A dire il vero deriva da una cosa che è successa per davvero una notte. Poteva essere la notte di Halloween e abbiamo finito per partecipare a questa bizzarra festa, dal mood molto strano. Il motivo per cui ho voluto fortemente inserire la sequenza del Giorno dei Morti è che il mio film è decisamente incentrato sulla morte in molti sensi. In Australia non sappiamo bene come farci i conti e come gestirla e sono sempre stato in qualche modo colpito dal modo messicano di celebrarla, tenendosi per mano con i morti, quindi volevo rappresentarla in quel modo perchè sentivo che ci racconta qualcosa di molto saggio e ho pensato che fosse un bel modo per far capire ai protagonisti cosa fosse successo. Credo che nel primissimo draft fosse solo una semplice festa, poi in realtà è diventata addirittura una scena ancora più strana, ma alla fine ho optato per quella che vedete nel film, che mi sembrava la più giusta. Ed è stato bello poter avere Wendy, la mia amica conosciuta nel 1997, in quella sequenza. L’uomo vestito di bianco rappresenta ovviamente la morte, e ho scelto di farlo interpretare ad un aborigeno perchè ritengo che gli aborigeni abbiano un rapporto ancestrale e arcano con le terra, molto più di noi occidentali.
Cosa stai progettando per il futuro? Ti piacerebbe tornare alla TV?
Ho un paio di progetti in pentola, ma non so quale dei due avrà la meglio per primo. Mi piacerebbe continuare a lavorare con la Mushroom Pictures. Speriamo di passare al prossimo lavoro piuttosto velocemente e di iniziare le riprese presto. Mi piacerebbe fare ancora televisione e mi piacerebbe girare qualcosa sullo stile di Stranger Things, lo adoro. La TV ultimamente ha una qualità altissima e quello che Netflix e Amazon stanno facendo rappresenta un’opportunità incredibile per registi come me. I blockbuster stanno diventando fin troppo grandi per il loro stesso bene e stanno anche erodendo un po’ gli altri film.
Quali show televisivi guardi e ti piacciono?
Mi piacciono le commedie. Ultimamente mi sono appassionato a Lady Dynamite, penso che sia fantastica e sia uno splendido ritratto della salute mentale, un argomento tanto spaventoso per le persone. E’ decisamente sottovalutata.
Conosci Dario Argento? Ti piacciono i suoi lavori?
Certamente, mette i brividi! [ride] Adoro Jennifer Connelly! Conosco Argento e Mario Bava, sanno sicuramente come rendere interessanti le notti degli spettatori. Ed è così che voglio siano i mie film, una corsa sulle montagne russe. Se una persona è disposta ad andare al cinema e spendere dei soldi per vedere il tuo film allora è meglio dargli qualcosa che valga la pena.
Come mai non avete pensato di distribuire Boys In The Trees insieme al prequel, The Last Time I Saw Richard (ve lo proponiamo qui in fondo)?
Ci sarebbe piaciuto. Il prequel ora si trova facilmente però. E’ interessante come in origine il film e il corto fossero intrecciati, anche se il secondo è un po’ più spettrale mentre il primo si è addolcito un po’ e penso che il personaggio di Jonah ad esempio sia un ragazzo così diverso nel corto. Amo quel mondo e ci sono molte cose che purtroppo non sono riuscito a inserire nel cortometraggio.
Dall’Australia negli ultimi anni stanno arrivando film e serie TV – penso a Wolf Creek o Babadook – così freschi, liberi e diversi dai soliti prodotti hollywoodiani. Pensi che lavorare in un ambiente del genere, che non pone barriere artistiche o commerciali, aiuti i registi a esprimersi al meglio, specie nell’horror e nel fantasy?
Penso che sia un bene e un male. Possiamo contare sui finanziamenti pubblici e non pretendono di riavere indietro i soldi, quindi è molto fico. Ma questo non ferma comunque le persone incaricate di gestire questi fondi dall’essere molto conservatrici, e se un film come Wolf Creek è andato bene non è garantito che usciranno una serie di film sullo stesso filone. Per esempio, a Jennifer Kent era stato detto che un film come The Babadook non avrebbe potuto essere realizzato in Australia. Ora che però ha dimostrato a tutti il contrario, sono piuttosto sicuro che vedremo altri film così. Viviamo in tempi piuttosto poco avvezzi al cambiamento, quindi bisogna essere in grado di trovare persone tanto folli da voler saltare nel vuoto con te. Io le ho trovate alla Mushroom Pictures e nei miei attori, che non hanno avuto paura di fare una scelta difficile. Per quanto riguarda i miei prossimi progetti però, non penso a qualcosa di più forte o R-Rated. Penso continuerò a raccontare ancora storie adolescenziali, ma sono molto aperto ad altre ipotesi. E vediamo prima come verrà accolto BITT nel mondo, potrei non continuare a fare film del tutto! [ride]
Vi lasciamo con il trailer di Boys In The Trees e con il suo prequel, il cortometraggio The Last Time I Saw Richard:
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