Intervista | John Woo: “Non mi piace il 3D e per Face/Off mi fecero girare un altro finale”
26/09/2017 news di Alessandro Gamma
Abbiamo incontrato il regista cinese in occasione della presentazione di Manhunt
Nel corso della recente Mostra del Cinema di Venezia abbiamo avuto modo di parlare con John Woo, sbarcato al Lido per presentare la sua ultima fatica, Manhunt (la nostra recensione), ritorno all’action hard-boiled con cui il regista cinese si era fatto conoscere alle platee internazionali alla fine degli anni ’80 e primi ’90 (con titoli come The Killer e A Better Tomorrow) e poi lentamente abbandonato, dopo la parentesi americana (Nome in Codice: Broken Arrow, Face/Off, Mission: Impossibile II), per approdare a kolossal storici del calibro di La Battaglia dei Tre Regni e La congiura della Pietra Nera.
Di seguito trovate il risultato della chiacchierata, durante la quale Woo ha anche ammesso che vorrebbe girare prossimamente un film in Europa, essendo lui innamorato dei film europei molto più che di quelli americani:
Cosa pensa della Realtà Virtuale e delle tecniche 3D? Pensa che siano il futuro?
Non mi sono mai piaciuti i film in 3D. Per The Crossing, che originariamente era stato pensato in 2D, sono stato obbligato a fare dei cambiamenti per questo motivo, a causa dei grandi effetti speciali impiegati … I film in 3D non sembrano dei film ai miei occhi, sono come dei videogiochi. Non penso che sarà il futuro e non credo che utilizzerò ancora la tecnica 3D. Sono un tipo un po’ all’antica!
Sono passati 20 anni da Face/Off – Due facce di un assassino. Che ricordi ha della sua realizzazione e cosa le ha lasciato l’esperienza americana?
E’ stato indimenticabile lavorare con John Travolta e Nicolas Cage, con un produttore esecutivo come Michael Douglas e con il capo della Paramount, che mi lasciò molta libertà creativa. In particolare, ricordo che lo studio amava l’idea alla base del film e il modo in cui lo avevo girato, ma per la scena finale avemmo un piccolo scontro.
Dopo il confronto finale, Sean uccide Castor e poi ritorna a casa sua dalla sua famiglia con il figlio del rivale morto. Questa era l’idea originale. Quando però cominciamo a girare la scena, non mi permisero di realizzarla in questo modo. Mi dissero: ‘Mr. Woo, noi la rispettiamo, e forse proveniamo da due culture differenti, ma il pubblico americano di questi film d’azione non apprezzerebbe vedere l’eroe riportare a casa il figlio del suo nemico.’
Io risposi che non era una questione culturale, ma di umanità. Tutti quanti abbiamo lo stesso tipo di natura, tutti vorremmo vedere qualcuno che si prende cura di un ragazzino. La girai però come mi avevano detto loro. Alla fine delle riprese, fecero vedere il montaggio a un focus group, per capire le prime reazioni, dando agli spettatori un foglietto per scrivere le loro considerazioni e dare un punteggio al film. Un voto sotto al 60% avrebbe significato problemi e la necessità di rigirare qualcosa.
Alla fine ottenne un bassissimo 30% di gradimento, con gran parte delle persone che nelle note avevano chiesto come mai alla fine il protagonista non avesse portato a casa con sé il figlio dell’altro. In conclusione, alla fine tutti i capi tornarono da me scusandosi e chiedendomi di rigirare il finale così come era stato inizialmente pensato. E ancora si scusano oggi quando li incontro! Questo prova una cosa: la natura umana è la stessa ovunque, non importa da quale paese provieni. Lo stesso vale per esempio per i film action di Hong Kong, quel tipo di azione va bene dappertutto.
In Manhunt abbiamo molti elementi ricorrenti delle sue opere (due eroi ammanettati insieme, le colombe, gli inseguimenti sull’acqua ecc.). Quanto è importante per lei far capire allo spettatore che il film è proprio suo?
Una delle tematiche più importanti nei miei film è l’amicizia. In Manhunt, che è ambientato in Giappone, abbiamo un personaggio cinese, uno giapponese e un’altra è coreana. All’inizio ci sono molti fraintendimenti e non vanno molto d’accordo e bisogna trovare un modo diventare amici. Inizialmente non volevo inserire le colombe, ma qui hanno un significato ben preciso per i protagonisti.
Ci sono in effetti diversi riferimenti ai miei film precedenti, come The Killer e Face/Off. L’idea delle manette è stata mia ad esempio, non c’era nel romanzo originale. Mi ha fatto pensare a come fare per consentire loro di sparare ognuno con una mano soltanto cercando di aiutarsi a vicenda … Così ciascuno ne impugna una e alla fine sembra che sia un uomo solo che stia sparando. E’ così che mi piace costruire l’azione e il modo in cui i due costruiscono il loro rapporto.
Di seguito il trailer di Manhunt (Zhuibu):
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