Horror & Thriller

Jack in The Box – Il Risveglio, la recensione del sequel di Lawrence Fowler

Un film che innesta il gotico inglese, ma resta imprigionato nei cliché

A un paio d’anni dal primo capitolo (la recensione), il ritorno del franchise di The Jack in the Box con Il Risveglio conferma come il cinema dell’orrore contemporaneo, soprattutto nelle produzioni a basso budget, tenda a reiterare formule collaudate senza grande slancio innovativo. Lawrence Fowler, regista e sceneggiatore, sceglie ancora una volta il suo demone clownesco incatenato a una scatola maledetta, trasformandolo in una saga potenziale che strizza l’occhio a modelli noti come The Conjuring e Annabelle, ma senza la stessa forza immaginifica.

La trama segue Olga Marsdale, ricca collezionista afflitta da una malattia terminale, che ottiene il giocattolo maledetto per stringere un patto faustiano: sei vittime in cambio della guarigione. A eseguire i sacrifici è il figlio Edgar, combattuto tra devozione filiale e senso di colpa.

L’elemento gotico inglese si inserisce nelle dinamiche claustrofobiche della villa, tra corridoi bui e sotterranei fatiscenti, mentre la relazione madre-figlio assume tratti ossessivi e quasi edipici. Questo è l’aspetto più interessante del film: il legame tossico, più che il mostro stesso, suggerisce un orrore domestico che affonda le radici nella tradizione letteraria britannica.

Tuttavia, Jack in The Box – Il Risveglio scivola in una prevedibilità che ne mina la tensione. Le vittime sono meri segnaposto narrativi, l’eroina Amy è priva di spessore, e i cliché – muri invalicabili, telefoni senza segnale, personale ignaro – riducono l’esperienza a un esercizio meccanico. Il design del demone è curato, con un trucco pratico che evita l’abuso del digitale, ma la sua esposizione precoce e costante toglie mistero e senso di minaccia. L’orrore, anziché insinuarsi, viene consumato come in una routine di apparizioni e scomparse, con effetti che raramente riescono a sorprendere.

Il film guadagna punti sul piano visivo: la fotografia sfrutta bene gli spazi della magione, la colonna sonora accompagna senza invadere, e la regia dosa con equilibrio ritmo e pause. Eppure manca un’anima, un guizzo capace di far emergere la pellicola dall’anonimato delle produzioni direct-to-streaming. L’idea del patto di sangue e della scatola come macchina del destino avrebbe potuto alimentare un discorso più ampio sul desiderio di dominio sull’inevitabile, ma Fowler si limita a imbastire un intrattenimento di superficie.

Il confronto con altri horror di matrice simile evidenzia le debolezze di Jack in The Box – Il Risveglio. Se Hellraiser usava la scatola di Lemarchand come simbolo del limite oltrepassato, qui la scatola è soltanto un pretesto scenico. Se Annabelle riusciva a trasformare un giocattolo in catalizzatore di paure collettive, Jack rimane un clown demoniaco “efficace ma usa e getta”.

In definitiva, Jack in The Box – Il Risveglio non è un disastro, ma nemmeno un titolo da tramandare ai posteri. Funziona come passatempo per gli appassionati di creature design e atmosfere gotiche, ma resta confinato in un orizzonte medio, troppo legato ai cliché e troppo timoroso di osare. Perché un franchise sopravviva, occorre evolvere i suoi mostri e i suoi miti. Qui, invece, il Jack rimane intrappolato nella scatola della sua stessa prevedibilità.

Di seguito trovate il full trailer di Jack in The Box – Il Risveglio, su Prime Video dall’1 ottobre:

Share
Published by
William Maga