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Dentro la mostra ‘Milano e il Cinema’, un viaggio tra i film ambientati nel capoluogo lombardo

29/01/2019 news di Giovanni Mottola

Cento anni di cinema meneghino tra foto d'epoca, manifesti originali e filmati dimenticati, per ripercorrere le vicende e i protagonisti della prima capitale italiana della Settima Arte

Piazza del Duomo durante la lavorazione di una scena del film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, 1951

Per dirla come Renato Pozzetto, che molti anni dopo ne sarebbe diventato uno dei protagonisti, “il cinema l’abbiamo avuto anche noi a Milano: il quartiere Turro tutto un teatro di posa“. Dalle parti del Naviglio Martesana, tra via Padova e viale Monza, sorgevano infatti i 22.000 metri quadrati di stabilimenti fatti costruire da Luca Comerio, fotoreporter, operatore, e pioniere della cinematografia. Siamo nel 1908, circa trent’anni prima che il Duce ordinasse la costruzione di Cinecittà, che avrebbe stanziato definitivamente a Roma il cinema italiano. Quella volta dunque Milano subì quel destino avverso che tante altre, sia prima che dopo, ha inferto: di veder sviluppare altrove un progetto di cui era stata l’incubatrice. Persino tra i milanesi pochi conoscono questa storia, ed è quindi la benvenuta la mostra Milano e il Cinema, a Palazzo Morando (Via Sant’Andrea 6) fino al 10 febbraio, che attraverso foto di scena, spezzoni di film e manifesti originali (alcuni dei quali è anche possibile acquistare) si propone di rievocarla.

milano e il cinema mostra posterPur smettendo di esserne la base, la città continuò infatti non soltanto a costituire un set occasionale, ma divenne spesso protagonista delle storie che vi venivano girate e che non avrebbero avuto lo stesso significato in altri luoghi. Il posto (1961) di Ermanno Olmi, per esempio, era uno spaccato del cambiamento del mondo del lavoro, che a Milano prima che altrove batteva nuove strade. La rimpatriata (1963) di Damiano Damiani era il ritratto di un eterno fanciullo, un Walter Chiari in stato di grazia impegnato a interpretare suppergiù sé stesso, che in una città adulta come Milano non poteva che finire divorato.

La vita agra (1964) di Carlo Lizzani era il frutto del disagio provato dal maremmano Luciano Bianciardi durante la sua permanenza milanese di fronte allo sviluppo della grande impresa e dei nuovi ritmi di vita. Ma al di là delle specifiche storie narrate o degli scorci d’ambiente, nei film girati a Milano si percepisce il senso d’inquietudine, di malinconia e di sbrigatività che caratterizza da sempre la città e i suoi abitanti fino a diventarne lo stereotipo che provocò i geniali sberleffi di Totò e Peppino in visita alla ricerca della Malafemmina. E’ forse l’immagine simbolo del cinema a Milano e non a caso è stata usata per i manifesti di questa mostra.

A volerne cercare un’altra si potrebbe fare ricorso ai barboni che volano su una scopa in Piazza del Duomo nella scena finale di Miracolo a Milano (1951), che Vittorio de Sica trasse dal racconto del suo amico Cesare Zavattini Totò il buono. Per De Sica non si trattava di un esordio a Milano, dal momento che appena trentenne vi aveva girato il suo primo film come attore, Gli uomini, che mascalzoni … (1932) di Mario Camerini, nel quale scorrazzava in bicicletta per i viali della città e alla Fiera Campionaria cantando ‘Parlami d’amore Mariù’ e facendo innamorare la meteora Lya Franca e insieme a lei tutte le spettatrici.

rocco e i suoi fratelli foto setSe Vittorio De Sica era per Milano un sempre graditissimo ospite – sarebbe tornato una terza volta nel 1963 per girare un episodio di Ieri oggi e domani con Marcello Mastroianni e Sophia Loren -, per rimanere ai giganti bisogna poi parlare di chi invece fin dal nome era di casa. Luchino Visconti discendeva infatti dalla famiglia che governò la città nel Medioevo e fino alla metà del Quattrocento. A suo modo anche lui costruì un legame assai stretto con la città, ambientandovi il suo film più celebre, Rocco e i suoi fratelli (1960), ispirato ai racconti de “Il Ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori, anch’egli milanese.

Un’opera che illustra Milano sotto due aspetti diversi: da un lato contenendo alcune tra le scene cittadine più famose, come quella in cima al Duomo tra Alain Delon e Annie Girardot o quella dell’omicidio di quest’ultima all’Idroscalo da parte di Renato Salvatori; dall’altro lato tributando alla città il suo carattere di meta accogliente per tutti coloro che cercavano fortuna o, più modestamente, un posto di lavoro.

Nel 1982 uscì un film (brutto) che inserì addirittura nel titolo questo concetto: Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi. Protagonista era il cabarettista beneventano Giorgio Porcaro, al quale si deve forse l’invenzione della macchietta del “terrunciello”, portata poi al successo cinematografico da Diego Abatantuono. Non si è mai chiarito a chi spettasse la primogenitura, fatto sta che uno ebbe successo e l’altro fu presto dimenticato. Di certo c’è soltanto il luogo in cui essa nacque, ovvero quel Derby Club Cabaret di Viale Monterosa, oggi sede di un centro sociale, dove sotto la guida di Enzo Jannacci presero vita uno stile di comicità tutto milanese e i suoi interpreti. Oltre al geniale Enzo, il gruppo storico era composto da Felice Andreasi, Lino Toffolo, Cochi e Renato, i Gufi e Bruno Lauzi, più qualche incursione del genovese Paolo Villaggio.

Piano piano se ne aggiunsero altri, e prima o poi su quel palco salirono tutti. Il pubblico era esigente, così come il proprietario Gianni Bongiovanni, perciò chi aveva successo lì era bravo davvero. Non necessariamente, però, quel che funzionava al cabaret funzionava anche al cinema, come dimostra lo scarso successo del film che più di tutti ne rispecchiava il modo di fare comicità, Saxofone (1978), diretto e interpretato da Renato Pozzetto e Mariangela Melato, oltre che da quasi tutti i frequentatori abituali del Derby (Andreasi, Cochi, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Abatantuono, Porcaro, Ernst Thole).

milano calibro 9 film manifestoDetto di Abatantuono e Porcaro, bisogna aggiungere che al cinema sfondò Renato, ma non Cochi; Boldi ma non Teocoli; Jerry Calà ma non gli altri Gatti di Vicolo Miracoli, e via dicendo. In ogni caso, senza il Derby non ci sarebbero stati i protagonisti della maggior parte dei film comici girati dagli anni Settanta in poi, e la mostra Milano e il Cinema rende dunque il doveroso omaggio a questa fucina di talenti con l’esposizione di una rara fotografia dell’interno del locale che ritrae alcuni artisti intenti a provare in palcoscenico. Oltre agli attori dal Derby uscì un linguaggio, una specie di grammelot fatto di parole al rovescio, nonsense, espressioni mutuate da quella malavita i cui esponenti frequentavano spesso il cabaret.

Anche loro erano protagonisti di quegli anni Settanta milanesi in cui la città aveva in parte accantonato la sua immagine di operosità per assumere quella meno nobile della violenza e del terrorismo e ancora una volta dall’attualità prendeva spunto il cinema, dando vita a un genere come il poliziottesco che spesso ricorse a Milano sia per portare sul grande schermo storie tratte dalla letteratura (Milano calibro 9 di Fernando Di Leo, dai racconti di Giorgio Scerbanenco, è forse l’esempio più riuscito del genere) sia per ambientarvene di nuove ispirate al clima del momento.

Nel dedicare una sala a questi film di genere, la mostra sembra ricollegarsi idealmente a quella su “Milano e la mala” che sempre in questo luogo era stata organizzata lo scorso anno. Due esposizioni, curate entrambe con scrupolo da Stefano Galli, con in comune il desiderio e il merito di far conoscere alcuni particolari aspetti della storia della città che i suoi stessi abitanti magari ignorano, ma certamente hanno a cuore, come dimostra il positivo riscontro del pubblico.

derby club milano fotoQuesta sul cinema non può naturalmente essere esaustiva: troppo numerosi i film girati, i milanesi illustri coinvolti e il materiale a disposizione per pensare di radunare tutto. Al curatore Galli va rimproverata una sola vera lacuna: quella di non aver dedicato un po’ di spazio al ricordo di una gloria milanese come Piero Mazzarella, che per non lasciare senza lavoro la compagnia di teatro dialettale di cui era capocomico rinunciò a interpretare film importanti girati a Roma (tra cui Amarcord e La voce della Luna di Federico Fellini) concedendosi al cinema, salvo eccezioni, solo a condizione che si girasse a Milano.

Seppur defilato, però, anche Mazzarella è presente, insieme a Pozzetto, in una fotografia scattata in cima al Duomo sul set de Un povero ricco (1983), in cui interpreta il barbone filosofo Stanislao, detto “Fosforo”. Quasi a confermare come la mostra sappia proporre almeno un assaggio anche delle cose che non ha tempo e spazio per trattare in modo più ampio, senza tralasciare nessuna epoca e nessun genere.

Compresi il cinema industriale, che ebbe nei lavori di Ermanno Olmi per la Edison il suo più fulgido esempio, e quello pubblicitario, con i caroselli realizzati grazie alle animazioni di Bruno Bozzetto (il Signor Rossi), dei fratelli Nino e Toni Pagot (Calimero) e di Osvaldo Cavandoli (La Linea). Una riuscita panoramica che offre, a chi conosce la materia, la possibilità di ripassarla tutta in un’oretta di visita ammirando anche qualche rara fotografia e, a chi non la conosce, nozioni e curiosità sufficienti a stimolare la voglia di approfondirla.

il signor rossi bozzettoSCHEDA MOSTRA

Orari:
Martedì- domenica: 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Giovedì: 10.00 – 22.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)

Catalogo: edizioni MilanoinMostra

Biglietti:
intero: € 12
ridotto: € 10 (studenti under 26, over 65, disabili, gruppi adulti e tutte le convenzioni)

Biglietto Famiglia:
1 genitore: € 10 + 1 figlio entro i 14 anni, € 6
2 genitori: € 10cad. + 1-2 figli, € 6 cad.

Omaggio: bambini da 0 a 6 anni, guide turistiche, accompagnatori di disabili; possessori Abbonamenti Musei Lombardia Milano