Titolo originale: Predator , uscita: 12-06-1987. Budget: $15,000,000. Regista: John McTiernan.
Riflessione: Predator, cosa c’è dietro all’iconica stretta di mano tra Schwarzenegger e Weathers
03/11/2025 news di Marco Tedesco
Una scena leggendaria che nascondo un significato profondo
Nel cinema d’azione degli anni Ottanta, dominato da muscoli, esplosioni e testosterone, poche immagini hanno saputo condensare così tanta potenza simbolica come la celebre stretta di mano tra Arnold Schwarzenegger e Carl Weathers in Predator (1987). In pochi secondi, quella scena racchiude una dichiarazione di intenti, una sfida fisica e morale, e un intero manifesto estetico del genere.
All’apparenza, è solo un saluto tra due vecchi amici – il Maggiore Alan “Dutch” Schaefer e l’agente Al Dillon – che si rincontrano nella giungla centroamericana per una nuova missione. Ma il modo in cui si stringono le mani, trasformando il gesto in una prova di forza, racconta molto di più: è un duello silenzioso tra due concezioni opposte del potere e della lealtà.
Dutch, soldato fedele ai suoi uomini e guidato dall’istinto, rappresenta il guerriero puro, radicato nella concretezza dell’azione. Dillon, ex compagno d’armi diventato burocrate, incarna invece il pragmatismo della strategia e della politica. Quando i loro avambracci si tendono, la scena non mostra solo due uomini che si salutano: mostra due mondi che si scontrano.
La battuta che introduce il momento – «Dillon, figlio di puttana!» – non è un insulto, ma una formula di riconoscimento tra pari. In quell’esclamazione c’è la nostalgia della fratellanza, ma anche la consapevolezza che qualcosa è cambiato. Il sorriso compiaciuto di Schwarzenegger e lo sguardo teso di Weathers raccontano una relazione ambigua, fatta di rispetto e competizione.
La regia di John McTiernan amplifica il significato del gesto: invece di una normale inquadratura media, sceglie un primo piano ravvicinato sui bicipiti tesi, sulle vene gonfie e sul sudore che scintilla sotto la luce tropicale. Non servono parole: i corpi parlano da soli, e quel linguaggio fisico è la grammatica del potere maschile dell’epoca. In un solo fotogramma, Predator riassume l’essenza del cinema d’azione anni Ottanta – forza, orgoglio e competizione elevati a forma d’arte.
Eppure, dietro l’esibizione muscolare si nasconde una riflessione più profonda. La stretta di mano è una prefigurazione del vero conflitto del film: Dutch contro il Predator. Dillon, ormai corrotto dal sistema che serve, è diventato lui stesso un predatore, disposto a usare gli altri come strumenti. La lotta tra i due amici anticipa il confronto con l’alieno, un altro cacciatore che misura il proprio valore attraverso la forza.
Non stupisce, quindi, che quella stretta sia sopravvissuta al tempo fino a diventare un simbolo culturale universale. Dalle amicizie virili ai compromessi politici, dalle alleanze improbabili alle gag sui social, quell’immagine è diventata una scorciatoia visiva per rappresentare l’unione tra potenze rivali. Ma al di là del suo destino di meme, continua a colpire perché è cinema allo stato puro: una scena che parla di potere, orgoglio e identità senza sprecare una sola parola.
A distanza di quasi quarant’anni, la presa tra Schwarzenegger e Weathers resta un’icona non solo dell’action anni ’80, ma della tensione eterna tra forza e lealtà. In quell’attimo sospeso tra amicizia e rivalità, Predator trova la sua verità più profonda: non serve un mostro per scatenare la caccia, basta una mano che stringe troppo forte.
La clip:
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