Voto: 6/10 Titolo originale: Le Serpent aux mille coupures , uscita: 26-01-2017. Regista: Eric Valette.
[recensione BIFFF 35] Le Serpent aux mille coupures di Eric Valette
10/04/2017 recensione film Le Serpent aux mille coupures di Sabrina Crivelli
La buona dose di gore del thriller viene vanificata da uno sviluppo troppo prevedibile e dall'eccessiva superficialità nella descrizione dei suoi protagonisti
Noir tratto da un romanzo di DOA con un’insolita propensione al gore estremo, Le Serpent aux mille coupures di Eric Valette (Maléfique) tratteggia una campagna intorno a Tolosa afflitta da problemi di narcotraffico e razzismo.
E’ notte, una famiglia, i Petit, è angosciata da continue e violente incursioni dei vicini che li aggrediscono, uccidono malamente i loro animali e vandalizzano la loro proprietà, perché ritenuti colpevoli di sottrarre lavoro e risorse agli autoctoni. Ad acutizzare l’odio dei locali, c’è il fatto che sia Omar (Cédric Ido) – un uomo di origini senegalesi seppur cittadino francese – ad essere ora proprietario della fattoria, dove vive insieme alla moglie Stéphanie (Erika Sainte) e alla figlioletta Zoé (Victoire De Block). Dunque i tre vivono i costante stato di apprensione per paura di ripercussioni e rappresaglie, anche violente. Tuttavia, questa volta la minaccia per loro ha origini ben più lontane: un gruppo di narcotrafficanti si deve incontrare infatti nei paraggi con il favore delle tenebre per uno scambio di droga. Arriva la prima vettura con tre individui a bordo, tutti altolocati membri del cartello colombiano, ma un misterioso motociclista (Tomer Sisley), definito dalle autorità francesi ‘un terrorista islamico’, li assale e li uccide tutti e poi ferito fugge proprio nella proprietà dei Petit. Una seconda auto sopraggiunge, un mafioso di origine italiana (il napoletano Cannavaro) e un francese trovano i cadaveri, e per cancellare ogni traccia li spostano e gli danno fuoco. Alla scena assiste però un testimone oculare, uno degli abitanti del luogo, intento in un’altra opera di boicottaggio ai danni dei Petit, che capita per caso dove non dovrebbe, rimane nascosto e acquattato per tutto il tempo, per poi tornare spaventato a casa, dove si rinchiude.
Il ritrovamento dei cadaveri dà così il via a un duplice sviluppo narrativo per il thriller: se da un lato dà il là all’indagine ufficiale della polizia locale – a corto di uomini perchè tutti sono impegnati nella caccia al terrorista -, dall’altra vede l’entrata in campo di un letale killer cino-colombiano, inviato sul posto dai boss del cartello per scoprire chi sia il colpevole degli assassinii e punirlo adeguatamente. Si tratta dell’algido e crudelissimo Tod (Terence Yin), perverso sicario dagli occhi di ghiaccio soprannominato ‘300’, che in termini di inarrestabilità e crudeltà ricorda in qualche modo l’assassino interpretato da Javier Bardem in Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men) dei fratelli Cohen. A lui si affianca, quale terrorizzato galoppino, il francese Jean-François Neri (Stéphane Debac), piccolo criminale che assiste sconvolto alla violenza efferata del suo nuovo compagno di viaggio, che ama dilettarsi col coltello sulle vittime di turno. A contrapporsi a loro si erge la gendarmerie del circondario – specie nella figura dell Colonnello (Pascal Greggory) – e un agente dell’antidroga spagnolo (Carlos Cabra), che sa tutto dei traffici illeciti e di chi li compie. Allo stesso tempo si dipana parallelo un secondo filone diegetico, quello che vede il fuggitivo giungere nottetempo proprio nella fattoria dei Petit. Criminale (ma non viene mai chiarito del tutto questo aspetto) con una certa etica e un passato doloroso, sembrerebbe voler prendere in un primo momento in ostaggio Zoé, per far leva ovviamente sui genitori e costringerli a collaborare, legandoli in cantina per guadagnarsi un rifugio sicuro dove nascondersi finchè le acque non si saranno calmate.
Bivalente e non esattamente ben armonizzato nel suo duplice iter narrativo, Le Serpent aux mille coupures sembrerebbe volersi soffermare sulle dinamiche psicologiche di alcuni dei suoi protagonisti, in particolare della famigliola tenuta in ostaggio e del loro carceriere. Tuttavia in questo caso i personaggi non sono indagati particolarmente a fondo, non assistiamo a flashback o dialoghi capaci di suggerirne una convincente descrizione allo spettatore, tutto è epidermico, appena abbozzato. Il risultato è così il delineare una serie di maschere, il malvivente tenebroso alla Léon intenerito dalla bambina, una meticcia un po’ saccente ma simpatica che non lo teme affatto (come la protagonista del film di Besson del 1994), una madre avvezza a una forma di neo-moralismo liberale e un padre – vessato pressoché da chiunque per il colore della pelle – soltanto figura marginale, giusto a ricordare la questione razziale – un po’ a seguire la moda degli ultimi tempi – che in questo caso è soltanto raffazzonata malamente e banalizzata.
Parimenti, il secondo epicentro della pellicola, ovvero quello all’insegna della suspense, non riesce davvero a cogliere nel segno. Nemmeno Tod, il vero villain del film, ha una reale caratterizzazione, ma pone in essere gesti truci – quasi grotteschi – per ‘tradizione’, come lui stesso ammette a un certo punto; allo stesso modo sembra che Valette mostri immagini scioccanti e sanguinolente, non particolarmente motivate dallo sviluppo, giusto per dare una nota più fosca, ma non del tutto coerente col resto. A ciò si aggiunge che è per nulla comprensibile tale efferatezza pirotecnica, soprattutto perché il killer agisce per un’organizzazione malavitosa e ha la polizia di un paese straniero alle calcagna, quindi sarebbe ragionevole che cercasse di rimanere nell’ombra, e non il contrario. Certo, la vivisezione di un’avvenente vittima legata, completamente nuda, ad un palo di cemento ci riporta ai migliori torture porn (folle sarebbe disdegnarlo!), ma il problema è che tali auspicabili passaggi ben poco sono integrati con la narrazione, in particolar modo con la controparte più pateticheggiante incentrata su Zoè e sul misterioso terrorista in fase di redenzione (vi sarete già prefigurati il modo in cui tutti i nodi verranno al pettine nella fattoria …). Infine, la ricerca di quest’ultimo, che dovrebbe costruire una certa tensione, non soddisfa ugualmente appieno, in parte per i suddetti inframezzi troppo frequenti e stridenti, in parte per una certa scontatezza nell’epilogo – che possiede comunque un qualcosa in salsa europea delle pellicole hongkonghesi della Milkyway – come nello sviluppo, peraltro lineare e senza buchi.
Ne risulta nel complesso qualcosa di non particolarmente originale nel contenuto, non particolarmente avvincente, sebbene con alcune immagini inaspettatamente scioccanti, e soprattutto troppo superficiale per creare una vera empatia nel suo pubblico.
Di seguito il trailer ufficiale di Le Serpent aux mille coupures:
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