Recensione libro + intervista | L’attualità della «mise en abyme» nelle opere di Peter Greenaway e Charlie Kaufman di Alessandro Cutrona
05/12/2017 news di Sabrina Crivelli
L'autore esplora la tecnica in un'articolata trattazione dalla letteratura al filmico, concentrandosi sui film dei due visionari registi
Espressione coniata in ambito letterario dal premio Nobel André Gide, la mise en abyme (ossia letteralmente la “messa in abisso”) è una tecnica dalle molteplici declinazioni, il cui utilizzo si estende dalla parola scritta al testo visivo, pittorico come filmico. Originariamente connessa all’araldica, in cui rimandava all’inserimento in uno stemma di uno scudo in un altro di maggiori dimensioni, tale iter di duplicazione nella narrazione, come sulla tela e nella pellicola, è stata più volte impiegata, trasmettendo al lettore o allo spettatore un senso di lato straniamento, di détournement. Principiando dunque la trattazione proprio dal détournement situazionista di matrice debordiana, L’attualità della «mise en abyme» nelle opere di Peter Greenaway e Charlie Kaufman di Alessandro Cutrona [Mimesis Edizioni] approfondisce in senso più generale le funzioni e le forme che la mise en abyme assume nel tempo e nelle diverse discipline, indagando “l’esperienza antropica” al tempo della Société du Spectacle, in cui vige la mercificazione delle immagini ed il consumo della cultura.
Forte poi della propria formazione in studi filmici, con una Laurea in Multimedialità per le Arti e la Comunicazione presso la Università degli Studi di Enna Kore e la specializzazione in Televisione, Cinema e New Media allo IULM di Milano, Cutrona si concentra nello specifico su due grandi registi, Greenaway e Kaufman, che attraverso il suddetto meccanismo pervengono ad una labirintica stratificazione a livello diegetico e della rappresentazione. Del primo, che si autodefinisce “pittore di celluloide”, sono approfondite due pellicole emblematiche: I misteri del giardino di Compton House (The Draughtsman’s Contract, 1982) e L’ultima tempesta (Prospero’s Books, 1991), ambedue indicative dell’ibridazione nel linguaggio, del reiterato ricorso a dettagli pittorici fino al vero e proprio tableau vivant, nonché dell’estrema articolazione della struttura filmica. Affine per complessità e sperimentalismo è altresì il corpus kaufmaniano, di cui sono presi in esame Il ladro di orchidee (Adaptation, 2005), da lui solo scritto e diretto da Spike Jonze, e Synecdoche, New York (2008), di cui invece è sia sceneggiatore che regista. In ambedue si delinea quindi un poliedrico e ambivalente percorso narrativo, in cui diversi piani, diverse prospettive, vengono a compenetrarsi; in particolar modo, in Synecdoche, New York è strutturata nello spettatore una percezione marcatamente e volutamente disorientante, in cui il racconto si frammenta in un flusso joyciano di sequenze e fotogrammi, in cui l’inafferrabile reale si confonde con il flusso di coscienza. In ultimo, a completare la trattazione c’è il riferimento al videoludico, al videogame The Sims, in cui la duplicazione della realtà parcellizzata e ipoteticamente reiterabile all’infinito permette all’utente di esperire attraverso il nuovo medium una “riproduzione su scala della vita”.
Volume indubbiamente di non immediata comprensione, L’attualità della «mise en abyme» nelle opere di Peter Greenaway e Charlie Kaufman di Cutrona è per argomento e per linguaggio decisamente complesso e richiede nel lettore che vi si accosta una conoscenza pregressa non indifferente della terminologia filmica e non solo, ma a chi è dotato dei giusti strumenti apre nuove e interessanti prospettive.
Abbiamo quindi intervistato l’autore del volume per approfondirne alcuni elementi chiave, a partire dalla scelta dell’argomento stesso, la mise en abyme, e del focalizzarsi su Greenaway e Kaufman, fino ai futuri possibili approfondimenti relativi ad altri registi e film:
Da dove nasce il libro e l’interesse specifico per la mise en abyme?
L’interesse per la mise en abyme nasce dalle lezioni all’università di teorie e tecniche linguaggio audiovisivo e successivamente, da quelle di tecniche del racconto. La mise en abyme è un argomento di studio affascinate perché offre continue possibilità di ragionamento nella letteratura e nel cinema.
Come la suddetta tecnica può essere relazionata al concetto di détournement situazionista? Quale valore e funzione può assumere tale connubio all’interno del linguaggio filmico?
Come scrive Carlo Freccero nella sua introduzione al saggio di Guy Debord ‘La società dello spettacolo’: «lo spettacolo è l’episteme del nostro tempo». Oggi, il livello di conoscenza della finzione è aumentato, lo spettatore è diventato più consapevole, ‘sta al gioco’ e tende a credere a ciò che vede perché sceglie di credere in quell’illusione fatta di immagini. L’obiettivo principale del Situazionismo è quello di concepire un’arte nuova, un rovesciamento delle dinamiche artista-spettatore che tenta di fare dell’artista un rivoluzionario. Il punto di contatto con la mise en abyme è la capacità di sapere leggere con sguardo critico la finzione dentro la finzione e non rischiare di cadere nell’abisso illusoriamente infinito. Spezzare le catene da una situazione monopolizzata, come quella dello spettacolo, proprio come avviene nel Mito della caverna di Platone. Il linguaggio filmico re-inventa una realtà, la mise en abyme se impiegata come strumento narrativo o come filtro artistico aggiunge un quid in più nella decodifica dei molteplici messaggi presenti nel testo audiovisivo.
Nella disquisizione sulla mise en abyme in ambito cinematografico da cosa è scaturita la scelta di contrarsi in particolare su Peter Greenway e su Charlie Kaufman? Quali sono le finalità e le declinazioni più rilevanti con cui essa viene utilizzata da parte dei due registi?
Il cinema di Peter Greenaway è un cinema cattedratico, una vera e propria costruzione simbolica di un microcosmo tra realtà e finzione, quindi, è stato quasi un passaggio obbligato indagare su P. G. e il proprio universo transmediale. Charlie Kaufman ha sempre scritto sceneggiature molto originali e fuori dal comune creando veri e propri labirinti psicologici nei quali è solo un piacere perdersi (si pensi a Essere John Malcovich o Anomalisa). Entrambi optano scelte diverse ma il punto di contatto è l’impiego della tecnica della mise en abyme in modo abbastanza funzionale: i più livelli diegetici all’interno della trama principale.
All’interno del libro un capitolo è destinato alla sfera videoludica, da cosa deriva il suo inserimento all’interno di una trattazione che si concentra sulla mise en abyme in Greenway e Kaufman? Quali sono i punti di contatto e le differenze nell’utilizzo di tale tecnica rispetto al medium filmico?
L’ultimo capitolo è dedicato al ritratto del reale sviluppato dal metagaming, un ulteriore livello di sperimentazione e percezione della finzione con una fruizione diretta dell’utente-spettatore. Se nella visione filmica ci si limita ad un’attivazione ‘mentale’ di molteplici congetture, con la videoludica si compie un passo in più, si è quasi immersi in una para-realtà partecipativa. Sia Greenaway che Kaufman ricorrono ad una logica puramente ludica nella struttura sintattica dei propri testi filmici.
Esistono e quali potrebbero essere degli ulteriori sviluppi nella ricerca relativa alla mise en abyme? Vorresti in futuro ampliare l’analisi passando alla disamina della filmografia di altri registi?
Nel campo della ricerca è possibile che vi siano ulteriori sviluppi sulla mise en abyme, ma questo lo si può scoprire solo continuando a studiare. Si, è molto probabile che indaghi filmografie di altri registi, ho già alcune idee.
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