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[recensione libro + intervista] Laboratorio di Regia di Maurizio Nichetti

31/10/2017 news di Sabrina Crivelli

L'inventivo regista, sceneggiatore e attore italiano, forte della propria esperienza universitaria e sul campo, approfondisce ogni fase della realizzazione di un film, affiancando alla teoria esercitazioni e filmati realizzati in classe

Come si realizza un film oggi? Le nuove tecnologie, dagli smartphone alle Reflex di ultima generazione, hanno semplificato oltremodo la creazione di video, portando chiunque abbia velleità registiche a impugnare il suo device e a improvvisarsi filmmaker. Eppure, sebbene sia diventato estremamente più facile cimentarsi nella Settima Arte, ci sono convenzioni a livello tecnico, visivo e diegetico, a cui nessuno dovrebbe sottrarsi. Spiega quindi i fondamenti della grammatica cinematografica in Laboratorio di Regia (Dino Audino Editore, 2017) Maurizio Nichetti, regista visionario capace di fondere animazione e recitazione di persone in carne ed ossa, sceneggiatore che ha iniziato la propria lunga e carriera al fianco di Bruno Bozzetto (la nostra intervista esclusiva) e infine professore che tiene da diversi anni il Laboratorio, a cui rimanda il titolo stesso, presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano.

Ho fatto splashPrincipiando dunque dall’esperienza didattica e sul campo dell’autore, con il supporto di Giuseppe Carrieri, suo assistente presso il prestigioso Ateneo, il volume mira ad approcciare la materia con un metodo innovativo; invece della convenzionale appendice fotografica a supporto della trattazione è utilizzata una App gratuita che permette di accedere a filmati ed esercizi affrontati degli studenti stessi. Così, attraverso dieci lezioni sono introdotte le problematiche e le specificità del medium filmico, affiancate da contenuti audiovisivi sviluppati durante le ore in aula, a cui è possibile accedere inquadrando con la fotocamera del cellulare o del tablet i QR code. Dopo un breve excursus, che tira le fila degli sviluppi tecnici dai primi filmati dei fratelli Lumière ai giorni nostri, è allora delineato un iter che segue tutte le fasi di realizzazione di un film: partendo dall’idea che rappresenta il fulcro essenziale intorno al quale costruire il proprio “racconto per immagini” e che permette di elaborare in modo inedito e personale a un tema e a un genere (commedia, dramma, horror fantascienza e così via), sono affrontate poi la stesura della sceneggiatura, con tanto di trovate per suscitare riso, pianto o terrore in basa alle specifiche necessità, nonché alcune nozioni basilari per chi si cimenti per la prima volta nelle riprese.

Se tutti infatti possono realizzare video con i moderni dispositivi, un discorso del tutto differente è quello di sviluppare una trama coerente attraverso una serie di sequenze che rispettino i codici alla base del linguaggio cinematografico. Vengono quindi sondate da Nichetti, con grande meticolosità e chiarezza, le molte problematiche che, chi è nuovo alla regia come i suoi allievi, si trova ad affrontare, adducendo poi ad esempio la sua esperienza sul set di Ho fatto splash (film del 1980 che l’ha visto regista, sceneggiatore e interprete). Molti sono gli errori ravvisabili nei lavori dei post-contemporanei cineasti in erba, a cui l’autore mira a porre rimedio esplorando anzitutto i fondamentali, quali il corretto posizionamento della macchina da presa nella realizzazione di campi e controcampi e il rispetto dell’asse di ripresa e la giusta costruzione dell’inquadrature. A ciò seguono la scrittura di un dialogo, la direzione degli attori, la stesura di una sceneggiatura articolata per scene, nonché il piano delle riprese, l’ordine del giorno e i preventivi di spesa. Infine vengono analizzati il documentario e il mockumentary, tipologie imprescindibili per affacciarsi alla carriera registica, mentre in chiusura vengono dati forniti suggerimenti per il montaggio, una serie di esercizi attraverso cui verificare le nozioni apprese e due utili appendici, l’una contenente alcune delucidazioni sul lessico di base, l’altra contenente le domande ricorrenti poste a lezione. Completo e al contempo di immediata comprensione (anche grazie ai contributi multimediali), Laboratorio di Regia è il volume perfetto per chi voglia realizzare un film, fornedogli gli strumenti necessari a muovere i primi passi nel meraviglioso mestiere cinematografico.

Abbiamo quindi intervistato Maurizio Nichetti che ci ha parlato degli inizi della sua carriera cinematografica e della collaborazione con lo Studio Bozzetto, dei suoi processi creativi e dell’amore per l’animazione e la commedia:

Allegro Non Troppo) Laboratorio di Regia mira a fornire gli strumenti ad alunni che muovono i loro primi passi nel cinema: cosa ha portato lei a scegliere di intraprendere una carriera prima nel mondo del teatro e poi nel cinema? Come è iniziato tutto?

Per gioco? Forse, senz’altro per passione. Quando si è studenti si ha il dovere di poter coltivare i propri sogni. Una volta si cominciava dal teatro, dalle recite scolastiche. Era più facile che girare un film. Non c’erano ancora i cellulari con lo schermo in alta definizione, occorreva ancora la pellicola… Oggi è tutto più facile, tanto facile che quasi si pensa sia inutile imparare a filmare correttamente. Come se bastasse comprare carta e penna per saper scrivere.

Lo scorso anno abbiamo intervistato Bruno Bozzetto, col quale lei ha collaborato come sceneggiatore; come è stato lavorare con lui e come tale collaborazione ha influito sui suoi film?

Lo Studio Bozzetto è stata la mia palestra e io sono stato il loro sceneggiatore per otto anni! Quattro lungometraggi (tra cui Allegro Non Troppo), due corti dal vero e innumerevoli pubblicità anche a tecnica mista. Tutto quello che ho imparato in quegli anni mi è servito per tutti i miei film successivi.

Nel suo lavoro di docente viene a contatto con giovani che vogliono intraprendere la carriera di regista. Qual è secondo lei l’insegnamento più importante da impartirgli per approcciarsi a un settore così complicato?

Trasmettergli la passione per un lavoro molto difficile, avaro di soddisfazioni, ma incredibilmente bello. Se uno vuole fare il regista per calcare un Red Carpet, diventare famoso e avere soldi, avrà molte delusioni, ma se lo fai con passione perderai la testa per ogni storia che riuscirai a raccontare con le immagini.

RataolanNel libro è descritto un metodo che traccia un iter partendo da un’idea. Da dove sono nate le idee per i suoi film, in particolare per Ratataplan e Volere volare?

A volte le idee nascono da sole per accumulo di esperienze (Ratataplan è figlio delle mie esperienze in campo teatrale e nell’animazione, ma anche della mia passione per le comiche mute…), altre volte da fantasie, sogni, sfide impossibili (può un uomo diventare un cartone animato? Può una pubblicità colorata entrare in un vecchio film in bianco e nero?)

È inoltre destinato uno spazio alla direzione del cast, aspetto fondamentale per la riuscita di un film. Quali sono stati gli attori più difficili da dirigere e quali sono state le scene più complesse da girare nella sua carriera?

Dirigere un Beluga sott’acqua in Palla di Neve è stata una bella avventura, ma anche avere sul set un’intera scuola elementare non è stato male. Quando abbiamo girato Luna e L’Altra, alla classe di quarta elementare protagonista del film bisognava aggiungere tutte le quinte della scuola che seguivano in silenzio le riprese dietro la macchina da presa. L’accordo con la Direzione dell’Istituto era di poter girare a patto di coinvolgere il maggior numero possibile di studenti nell’avventura di un set …

Quali sono le principali difficoltà e quali i vantaggi di lavorare dietro e davanti alla macchina da presa?

Il vantaggio è che il regista non discute mai con l’attore, la difficoltà è che l’attore non può mai parlare male del regista …

Volere volare Da dove è nata l’idea di mescolare animazione e live action? Come si rapporta a un’animazione vietata ai minori come quella ad esempio di Ralph Bakshi; ha mai pensato di sperimentare qualcosa di simile?

Non ho mai considerato l’animazione un linguaggio relegato all’infanzia. Solo grazie al grande successo di Jessica Rabbit ho potuto trovare i soldi per raccontare lo strano amore di Martina (Angela Finocchiaro) per Maurizio in Volere Volare. Tutto il cinema degli ultimi vent’anni ha definitivamente sdoganato i film d’animazione anche per un pubblico adulto, che sa ricordarsi d’essere stato un bambino.

Passando invece al cinema italiano, vede un futuro per l’animazione nostrana (visti anche i deludenti risultati al botteghino di tentativi recenti come Gatta Cenerentola)? C’è qualche nome secondo lei particolarmente promettente nelle nuove generazioni? E per la commedia invece (altro genere a lei caro)?

Oggi non parlerei di crisi dell’animazione italiana o del cinema di casa nostra. E’ il cinema nella sua natura di spettacolo da sala pubblica a essere in crisi. Oggi le immagini in movimento ci accompagnano ovunque, le vediamo in qualsiasi formato e su qualsiasi schermo. Forse si è perso il fascino della sala buia, ma bisogna saper riconoscere sempre le nuove potenzialità di ogni nuova tecnologia. Rimpiangere il passato o cinematografie più ricche della nostra è banale, cerchiamo di capire perchè all’estero hanno sperimentato nuovi linguaggi, inventato mille effetti speciali, ripreso da angolazioni impossibili mondi virtuali, mentre noi siamo rimasti al nostro neorealismo che ci porta sempre a rappresentare le mafie e le camorre di casa nostra, quando non siamo impegnati nell’infinita riproposizione di una commedia all’italiana.