Titolo originale: The Man Who Laughs , uscita: 27-04-1928. Regista: Paul Leni.
Recensione story | L’Uomo Che Ride del 1928, ovvero il film che anticipa il Joker
25/09/2019 recensione film L'uomo che ride di William Maga
90 anni fa, il regista Paul Leni e la star Conrad Veidt portavano sugli schermi un personaggio entrato nell'immaginario successivo con un'opera espressionista dalle forti connotazioni horror
I clown, sia quelli spaventosi che, beh, quelli un po’ meno spaventosi, sono rimasti in agguato nell’ombra per migliaia di anni prima che uscisse IT di Stephen King (e relativi adattamenti per la TV e il cinema) e l’iconico pagliaccio danzante Pennywise sgattaiolasse fuori dalle fogne di Derry stringendo quei sinistri palloncini rossi nella mano. Gli antichi egiziani li avevano, i greci li avevano, anche i romani li avevano. Ma una cosa interessante e rivelatrice accadde nel corso del XVII e XVIII secolo.
Durante il Medioevo, il clown e gli artisti di strada ‘bizzarri’ erano essenzialmente la stessa cosa. I giullari che divertivano le corti reali dell’Europa del tempo erano di solito vestiti con costumi e un trucco sgargianti e vistosi, e spesso erano deformi nel fisico in qualche modo, un aspetto che contribuiva senz’altro a renderli più “divertenti”. Più tardi, tuttavia, i due ‘ruoli’ cominciarono a separarsi, con l’allegro burlone in costume dalla faccia pitturato che prese una direzione, e i cosiddetti ‘freak’ dall’altra. Tale scissione fu cementata alla fine del 1700, quando Joseph Grimaldi, un intrattenitore molto popolare all’epoca, si inventò il primo clown da circo moderno. In seguito, lo scrittore francese Victor Hugo tornò a ridosso di quel particolarissimo momenti di transizione nel suo romanzo del 1869, L’Homme Qui Rit, ovvero L’uomo che ride.
All’epoca, Victor Hugo viveva in esilio su un’isola della Manica, dopo che alcuni aristocratici francesi senza alcun senso dell’umorismo si risentirono del modo in cui erano stati ritratti in un paio dei suoi primi libri altamente politicizzati, come I Miserabili e Notre-Dame de Paris. Chiaramente non pago del vespaio scatenato, il romanziere decise di sedersi e di scrivere un altro oscuro melodramma politico sull’aristocrazia, il tradimento, l’omicidio, la vendetta, la corruzione e gli eredi legittimi che han subìto un torto, con alcuni popolani di buon cuore e una dolce storia d’amore a far da contrasto. Naturalmente, l’intera faccenda finiva con un suicidio.
Senza entrare troppo nella meccanica turgida e contorta della trama, a metà del 1600, il malvagio re Giacomo II di Francia fa assassinare un rivale politico e ordina che la bocca del giovane figlio dell’uomo venga ‘scolpita’ un ghigno permanente (per la cronaca, questa non era affatto una pratica inedita all’epoca, anche se sarebbe entrata in voga solo tra i gangster inglesi degli anni ’30 e ’40). Abbandonato a vagare per conto suo, il ragazzo sfigurato, di nome Gwynplaine, si imbatte in una bambina orfana e cieca nella neve. I due vengono adottati dal direttore di un piccolo circo itinerante, e Gwynplaine, non sapendo nulla del proprio background, alla fine diventa un’attrazione estremamente popolare. Intitolato appunto L’uomo che ride / The Man Who Laughs, lo spettacolo di Gwynplaine – per metà clown / per metà freak – lo vede esibirsi allegramente sul palco per un po’ con la parte inferiore del viso coperta, prima di rivelare finalmente al pubblico il suo orribile sorriso permanente. Inevitabilmente, la crescente folla che attira risponde ugualmente con espressioni di shock e risate esilaranti. In tal senso, si potrebbe affermare che la storia sia un primo sguardo sul dolore, l’orrore e la crudeltà al centro della vita di un clown.
Nel frattempo, Dea, la ragazza cieca, si rivela piuttosto bella, e meglio ancora una di quelle belle ragazze non vedenti con un debole per i mostri sfigurati dal cuore gentile. I due si innamorano, naturalmente, ma è qui che le cose si fanno ridicolmente complesse. Tra le altre cose, una nobildonna che cela un certo feticcio sessuale decide di adottare Gwynplaine come suo personale giocattolo. Così, il passato di Gwynplaine viene alla luce, e lui recupera la posizione di nobile che gli spetta per nascita, sorriso grottesco e tutto il resto compresi. Comincia subito a dare lezioni ai suoi nuovi colleghi sulla triste condizione del proletariato, e tutto va a rotoli, col romanzo che si chiude con un finale molto deludente. L’uomo che ride diventerà il romanzo meno popolare di Victor Hugo.
In ogni caso, all’inizio degli anni ’20, L’uomo che ride era già stato trasformato in uno spettacolo teatrale e in due film, il primo fuori dalla Francia, i secondi in Germania. Nel 1924, constatando il clamoroso successo del loro adattamento di Notre-Dame de Paris dell’anno precedente, i dirigenti della Universal pensarono che L’uomo che ride avesse tutte le caratteristiche per diventare un altro personaggio adatto a Lon Chaney. Così venne steso un contratto e l’attore lo firmò. L’unico problema era che, proprio in quel momento, la Universal si rese conto di non essersi mai troppo preoccupata di ottenere i diritti del romanzo originale. L’accordo cadde e Lon Chaney si mise al lavoro sull’adattamento de Il Fantasma dell’Opera di Ruper Julian. Poi, ironia della sorte, si trasferì alla neonata MGM, dove il melodramma revenge con un clown, L’uomo che prende gli schiaffi di Victor Sjöström, sarebbe diventato il primo film girato nel nuovo teatro di posa dello studio.
Tre anni dopo, nel 1927, la Universal finalmente fece le cose per bene, ottenne i diritti del libro e, poiché Lon Chaney non era più disponibile, assoldò il regista Paul Leni e la star Conrad Veidt per recitare nel ruolo del protagonista Gwynplaine. Entrambi erano veterani del cinema espressionista tedesco, col secondo che aveva destato scalpore per il ruolo del sonnambulo assassino in Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, e il primo che aveva già lavorato con Veidt al memorabile Il gabinetto delle figure di cera del 1924.
Con un regista e la star ora al loro posto, la Universal, notando ancora una volta il successo ottenuto da Il gobbo di Notre Dame nel 1923 e con Il Fantasma dell’Opera del 1925, decise di azzardare un budget clamoroso di 1 milione di dollari per il nuovo film. Rimpinguando il resto del cast con stelle del periodo del muto, lo stesso uomo che aveva progettato i set del Fatansma per Rupert Julian venne chiamato a spingere ulteriormente oltre il limite l’aspetto espressionistico di L’uomo che ride, e al neo-arrivato capo truccatore Jack Pierce fu data carta bianca per sbizzarrirsi nel creare l’aspetto di Gwynplaine. Creando una serie di denti finti, sottili e deformati, dotati di ganci nascosti per tirare gli angoli della bocca di Conrad Veidt in un sorriso torturato e applicando un trucco verde chiaro che gli avrebbe dato al viso un pallore disumano, Jack Pierce prese più di qualche spunto dal trucco usato da Lon Chaney nel Fantasma, ma non importa.
Sebbene il cuore della trama del romanzo di Victor Hugo rimanga intatto (tranne che per il finale, qui probabilmente più adeguato alle masse di spettatori paganti), il contorno venne inevitabilmente semplificato. Il risultato non fu affatto un film horror, ma un melodramma d’epoca. Ciò che però conta è l’aspetto visivo del lungometraggio, le ombre profonde, gli angoli di ripresa esagerati e sconcertanti, le scenografie e i fondali volutamente artificiali, e l’atmosfera farsesca altamente stilizzata e squallida che pervade tutto il film. Al centro c’è l’immagine iconica di Gwynplaine, con i suoi occhi tristi e sporgenti, i capelli arruffati e quel sorriso selvaggio e immobile che rivela una bocca piena di denti storti e sovradimensionati. Da parte sua, Conrad Veidt offre una performance brillante e sottile, dragando il dolore interiore di Gwynplaine, la rabbia e il pathos in superficie per contrastare quel sorriso congelato. No, non è un film dell’orrore, ma lo sembra sicuramente, ed è questo che rimase impresso nel pubblico.
Ad accentuare quell’impressione fu la colonna sonora. L’uomo che ride venne inizialmente distribuito completamente senza suoni, con le musiche eseguite dal vivo da un pianista all’interno di ogni cinema dov’era proiettato. Il film fu un buon successo al botteghino al punto che la Universal lo ritirò dalle sale momentaneamente e, usando il processo del Movietone, gli fornì una partitura musicale sincronizzata costruita intorno alla canzone “When Love Comes Stealing“. Oltre a questo, e alla regia di Paul Leni, le performance di Gwynplaine lungo tutta la durata sono punteggiate, sopra la colonna sonora, dal suono di una grande folla che ride, incita e applaude. Lo stesso effetto era stato utilizzato in L’uomo che prende gli schiaffi. Così, nel film precedente sentiamo un pubblico che ridacchia dell’angoscia interna di un interprete, e in quest’ultimo li sentiamo invece acclamare per i risultati delle orribili torture inflitte a un bambino. In entrambi i casi è profondamente sconvolgente, e in entrambi i casi è stato del tutto intenzionale.
Citato da numerosi critici e storici come uno degli ultimi grandi esempi di vero cinema espressionista tedesco, L’uomo che ride non è ricordato oggi quanto dovrebbe essere, a parte per il make-up di Jack Pierce. Eppure, la sua profonda influenza sul cinema successivo è inevitabile. Ancora più direttamente di Caligari, il film di Paul Leni ha contribuito a definire le luci, la scenografia e l’atmosfera generale non solo dei film horror classici che la Universal avrebbe iniziato a produrre solamente un paio d’anni dopo, ma anche dei film noir di due decenni dopo.
È anche interessante sottolineare che, come detto, Lon Chaney era originariamente destinato a diventare il protagonista di L’uomo che ride. All’epoca l’attore si trovava nel bel mezzo del percorso di una decina di lungometraggi assieme a Tod Browning. Grazie in gran parte a quei film, come Lo sconosciuto (1927) e The Penalty (1920), i vertici della Universal scelsero proprio il regista per dirigere Dracula nel 1931, un film il cui stile visivo sarebbe stato a sua volta direttamente influenzato da L’uomo che ride. E dopo Dracula, Tod Browning girò il leggendario Freaks (le 33 curiosità sul film), che ci riporta alla connessione tra clown e gli spettacoli dei freak.
Comunque, ci sono Gwynplaine in persona e il trucco di Jack Pierce. Bill Finger e Bob Kane non hanno mai fatto troppo mistero sul fatto che l’idea del loro Joker sia stato presa in prestito direttamente da L’uomo che ride, che proprio per questo motivo dovrebbe occupare un posto di riguardi nella cineteca casalinga di qualsiasi amante di Batman.
L’uomo che ride fu quindi il terzo adattamento cinematografico dell’impopolare romanzo di Victor Hugo, che è stato poi riadattato sia per il palcoscenico teatrale che per il grande schermo almeno un’altra mezza dozzina di volte da allora.
Nota ironica finale: anche se completato nel 1927, il film non venne distribuito fino al 1928. Nello stesso anno, Lon Chaney ha recitato in Ridi pagliaccio di Herbert Brenon, un altro melodramma su arlecchini emotivamente disturbati, ma anche una delle prime espressioni cinematografiche di violenza ‘da clown a clown’. La canzone che dà il titolo al film divenne una vera hit, e Lon Chaney la volle suonata al suo funerale.
Di seguito il trailer internazionale di L’Uomo che Ride:
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Fonte: DoG