Titolo originale: Wolf Man , uscita: 15-01-2025. Budget: $25,000,000. Regista: Leigh Whannell.
Riflessione: Wolf Man si fa metafora per aggiornare il mito tradizionale del lupo mannaro
17/01/2025 news di Redazione Il Cineocchio
Il regista Leigh Whannell azzarda, ma forse era l'unico modo per rilanciare il mostro classico della Universal

Le storie di creature metà uomo e metà animale risalgono all’alba dell’umanità. Si potrebbe pensare immediatamente a Enkidu, il selvaggio e peloso rivale-diventato-amico del re Gilgamesh nell’antica epopea mesopotamica. Tuttavia, per quanto riguarda i licantropi, la nostra concezione moderna deriva direttamente da Hollywood.
Il primo grande film sui lupi mannari è stato Il segreto del Tibet (1935) di Stuart Walker, che introdusse molti degli elementi che il pubblico moderno associa ai lupi mannari. Il protagonista del film, il Dott. Glendon (Henry Hull), è un botanico britannico che scopre una rara pianta che sboccia con la luna nelle colline del Tibet… proprio mentre viene morso da una misteriosa creatura animalesca.
Di ritorno a Londra, il Dott. Glendon fa una serie di scoperte. Innanzitutto, i lupi mannari sono reali. Inoltre, scopre che si trasformano durante la luna piena, che la pianta scoperta è un antidoto, e che il “virus” del lupo mannaro può essere trasmesso tramite un morso. Infine, apprende che i lupi mannari devono uccidere ogni notte, altrimenti non possono tornare alla loro forma umana.
Fin dall’inizio, quindi, i lupi mannari sono stati un curioso mix di scienza e magia. La saliva del lupo mannaro “infetta” una vittima, causandone la trasformazione, ma il loro stato è anche strettamente legato alle lune piene e a maledizioni magiche. Questi cliché furono consolidati nel classico del 1941 L’uomo lupo di George Waggner, con Lon Chaney Jr.
Quel film includeva anche una maledizione dei Rom, lune piene e simboli mistici. È diventato un caposaldo del genere horror, consacrando il lupo mannaro come uno dei mostri iconici della Universal.
Il nuovo Wolf Man di Leigh Whannell (la recensione) è un reboot ufficiale del film di Waggner, ma si allontana dagli elementi tradizionali della “maledizione” magica, trasformandoli in una metafora.
La storia segue Blake (Christopher Abbott), cresciuto in una baita isolata dell’Oregon da un padre survivalista con un temperamento irascibile. Pur non essendo fisicamente violento, il padre tormentava Blake con urla e ammonimenti sui pericoli dei boschi, insistendo affinché imparasse a usare un’arma per sopravvivere. Da adulto, Blake si trasferisce in città e costruisce una vita con sua moglie (Julia Garner) e sua figlia (Matilda Firth). Alla morte del padre, è costretto però a tornare nella baita per reclamare l’eredità. La famiglia, seppur con riluttanza, lo segue per un soggiorno prolungato nell’Oregon. Naturalmente, nei boschi si nasconde qualcosa.
Quel qualcosa è un lupo mannaro. Questa è una creatura con cui Blake aveva già avuto un incontro da bambino. Ricorda le storie di un escursionista che, nel 1995, si perse nei boschi e contrasse una misteriosa malattia chiamata febbre delle colline, trasformandosi in un mostro selvaggio e divoratore di carne. Le leggende locali sulla “febbre delle colline” si intrecciano con un mito dei nativi su un essere magico che indossa “il volto del lupo.”
Blake viene morso dal lupo mannaro all’inizio del viaggio, e la sua trasformazione inizia quasi immediatamente. In questa versione, non ci sono magie, lune piene o connessioni mistiche. Il “virus” del lupo mannaro è interamente biologico. Se esiste una maledizione, è solo metaforica, simboleggiando il peso di un’infanzia di trascuratezza e di un’educazione violenta legata alla sopravvivenza nei boschi.
Francamente, è positivo che Wolf Man abbia rimosso la “maledizione” magica dal mito dei lupi mannari, poiché essa ha sempre contenuto un elemento di esotismo razzista. Il segreto del Tibet era infatti incentrato su un uomo bianco che scopriva i pericoli esotici di quella lontana terra.
L’uomo lupo parlava invece di un uomo bianco che si confrontava con i presunti pericoli derivanti dai Rom. In molti altri film sui lupi mannari, la creatura è una maledizione trasportata nel mondo caucasico tramite miti dei nativi americani. Molte di queste opere descrivono un mondo in cui i bianchi sono al sicuro nelle città, mentre le maledizioni magiche provengono da culture “esterne” minacciose. C’è un evidente sottotesto xenofobo.
Wolf Man include ancora un elemento di misticismo dei nativi — il “volto del lupo” menzionato sopra — ma non è prominente, né spiega l’origine della malattia del licantropo. Piuttosto, la “febbre delle colline” è vista come interamente biologica, trasmessa tramite ferite.
Il film di Whannell è un horror secolare che rifiuta sia la magia lunare che la paura delle altre culture. Trasformando la “maledizione” in una metafora, rende la storia più interessante per un pubblico contemporaneo.
Whannell, che i fan dell’horror conoscono anche per il suo L’uomo invisibile del 2020, esplora in entrambi i suoi neo-monster movie tanto la parte “uomo” quanto quella “invisibile” e “lupesca.” L’uomo invisibile è una storia di stalking maschile, manipolazione e abusi psicologici e fisici.
Allo stesso modo, Wolf Man prende un elemento profondamente maschile della cultura occidentale/americana — la caccia e il survivalismo — e lo trasforma in qualcosa di bestiale. Un approccio ingegnoso.
Di seguito trovate il dietro le quinte della scena della trasformazione di Wolf Man, nei cinema dal 16 gennaio:
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