Voto: 5/10 Titolo originale: Wolf Man , uscita: 15-01-2025. Budget: $25,000,000. Regista: Leigh Whannell.
Wolf Man: la recensione del film horror coi lupi mannari di Leigh Whannell
15/01/2025 recensione film Wolf Man di William Maga
Christopher Abbott e Julia Garner sono al centro di un prodotto ambizioso ma incompiuto e inespresso, troppo preso dalla sua voglia di distaccarsi dalla tradizione

Scritto e diretto da Leigh Whannell, Wolf Man, proprio come L’uomo invisibile del 2020, si discosta profondamente dal classico della Universal da cui trae ispirazione (e non solo perché dietro c’è la Blumhouse). La storia ruota intorno a un uomo che torna nella vecchia casa di famiglia e si ritrova ad affrontare una strana trasformazione dopo l’attacco di un animale misterioso.
Un dettaglio iniziale – un camion che riporta il nome di Jack Pierce, leggendario truccatore della Universal, e l’anno 1941, data d’uscita di L’Uomo Lupo originale – sembrerebbe indicare un passaggio di testimone, segnalando chiaramente che questo non sarà un semplice remake.
Whannell rielabora il mito del licantropo attraverso una lente contemporanea, smantellando tutte le regole tradizionali del genere e costruendo una visione radicalmente nuova e impensabile. Questo approccio rende Wolf Man un’opera ambiziosa, seppur non priva di rischi, destinata a dividere il pubblico.
Il protagonista, Blake (Christopher Abbott, Povere Creature!), è un padre premuroso che si prende cura della giovane figlia Ginger (una Matilda Firth in versione ‘cappuccetto rosso’), nonostante un passato segnato dal rapporto difficile con un padre severo e autoritario (Sam Jaeger). Il trauma di quell’infanzia l’ha spinto a rompere i rapporti con il genitore anni prima, accettandone infine la morte.
Quando infine arriva la notizia che Blake ha ereditato i beni del padre, decide di approfittare dell’occasione per lasciare la città e trascorrere l’estate nella baita isolata del Pacific Northwest con sua moglie Charlotte (una inadeguata Julia Garner, Appartamento 7A) e la figlia, sperando di appianare le crescenti tensioni nel matrimonio.
Ma quella che doveva essere un nuovo inizio si trasforma presto in un incubo quando una minaccia misteriosa colpisce la famiglia.
La narrazione di Wolf Man segue una struttura assolutamente lineare e altamente ‘leggibile’ (ci sono 5 personaggi in tutto e una sola location …). Le spettacolari ma inospitali foreste dell’Oregon, introdotte nella sequenza di apertura, fanno da cornice alla vicenda, rievocando i conflitti irrisolti di Blake con il padre e mostrando come abbia cercato di costruire un rapporto ben più amorevole con la figlia.
Anche Charlotte è alle prese con un conflitto interiore: il difficilissimo equilibrio tra donna in carriera e il ruolo secondario di madre. Questo contesto dipinge il quadro di una famiglia già in crisi prima ancora che il terrore arrivi a sconvolgerla.
Tuttavia, il messaggio centrale del film – il peso dei traumi generazionali e delle dinamiche familiari – rimane però sfocato. La narrazione accelera rapidamente, portando la famiglia in una frenetica – e prevedibilissima – lotta per la sopravvivenza che lascia poco spazio all’evoluzione dei protagonisti. Charlotte ha i suoi momenti per dimostrare di essere una ‘final mom‘ all’altezza, ma il suo arco emotivo resta incompiuto. I suoi sentimenti iniziali di insicurezza e di gelosia non trovano affatto un ponte narrativo adeguato verso il finale che ci viene dato.
Blake, invece, è caratterizzato con maggiore coerenza. Il suo percorso ricorda quello di Seth Brundle in La Mosca di David Cronenberg, ma qui la trasformazione avviene in una sola, devastante notte. Questo cambio di ritmo rappresenta il primo segnale evidente che Leigh Whannell vuole stravolgere il folklore classico dei lupi mannari.
Non c’è una rapida sequenza di mutazione: l’intero film diventa un’esplorazione di questa metamorfosi. Whannell trova modi ingegnosi per rappresentarla, come farci vedere il mondo attraverso gli occhi di Blake mentre cambiano, e non mancano momenti di body horror grotteschi in cui il protagonista lotta per mantenere il controllo sulle sue facoltà, spesso fallendo.
Christopher Abbott offre una performance dignitosa, fisicamente intensa ed emotivamente adeguata. Striscia a quattro zampe, si morde un braccio ferito e si aggrappa disperatamente alla propria umanità, permettendo al pubblico di empatizzare con lui anche quando il suo corpo si deforma in modi orribili.
Tuttavia, il film non riesce sempre a bilanciare la sua afflizione con il tema più ampio di una famiglia che cerca di affrontare una malattia inspiegabile e devastante.
L’approccio realistico di Leigh Whannell, che include una creatura più simile a un criptoide malato che a un licantropo tradizionale, genera una dualità interna.
Proprio come Blake è in lotta col suo lato primordiale, anche Wolf Man sembra combattere contro se stesso. Da un lato, cattura abbastanza efficacemente la brutalità di una malattia improvvisa che sconvolge la vita familiare; dall’altro, questa allegoria è compressa in una narrazione troppo breve e troppo concentrata su minacce esterne.
Le scene di suspense sfruttano bene l’ambientazione rurale isolata, ma non sempre sono efficaci: alcune sequenze, come quella nel fienile ad esempio, sono così buie da rendere difficile distinguere cosa stia accadendo.
Alla fine, Wolf Man si presenta quindi tematicamente denso ma narrativamente troppo esile. Whannell demolisce il mito classico e propone una visione se non altro audace del lupo mannaro, rifiutandosi addirittura di spiegare le regole del fenomeno, ma si perde in personaggi poco sviluppati e un sottotesto che sovrasta l’aspetto horror.
Insomma, nel voler cercare di essere disperatamente attuale Wolf Man dimentica spesso di essere, innanzitutto, un film col dovere di far paura.
Di seguito trovate il full trailer italiano di Wolf Man, nei nostri cinema dal 16 gennaio:
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