Voto: 7.5/10 Titolo originale: L.A. Confidential , uscita: 19-09-1997. Budget: $35,000,000. Regista: Curtis Hanson.
Rivisti Oggi: L.A. Confidential di Curtis Hanson (1997)
04/06/2018 recensione film L.A. Confidential di Valeria Patti
Ben girato e dal gusto vintage, comparato al romanzo di James Ellroy risulta un lavoro godibile, ma privo di ferocia e cattiveria. Come spesso accade, letteratura e cinema sono due strade parallele.
Esiste un profondo livore raccontato e descritto nei romanzi di James Ellroy. Un livore spietato che smuove i suoi personaggi. Essi sono mossi da obiettivi, scavalcano le regole dell’etica e si prostrano agli eventi e alle cause che sposano, raramente vittoriosi, spesso sconfitti. Ambiziosi vivono la propria esistenza con una gelida consapevolezza prolungata e sostenuta da una società corrotta e impietosa. E’ difficile, se non impossibile, giudicare con retorica i personaggi descritti perché sono i primi a presentarsi a noi senza maschere. Non hanno bisogno di molte descrizioni e nessun vaniloquio viene intrapreso con l’obiettivo di scandalizzarci.
I suoi personaggi sono complessi e tale elemento viene percepito grazie alle parole, ai pensieri e a come si muovono all’interno della storia; non tanto perché il loro autore ci tiene a descrivere minuziosamente la loro indole, quanto perché li comprendiamo lentamente attraverso i monologhi, i tic, i vizi,i gesti, lo stile di vita e l’approccio che hanno con le persone attorno. Comprendere i loro meccanismi psicologici osservandoli con i nostri occhi non è poi così immediato ed efficace, come a leggerli pagina per pagina. Eccovi le regole del gioco. Accettando tutto questo, si inizia a percorrere il viaggio di pura perdizione, dove la legge passa in secondo piano e l’opportunismo fa da padrone a ogni evento necessario per lo sviluppo della storia.
La semplicità con cui Ellroy gioca con il lettore è unica, disegna con attenzione ogni dettaglio fino a confonderci. Dobbiamo essergli complici e spostare il nostro punto di vista per possedere le stesse ragioni che dominano le sue pedine. E’ così che nel 1997 Curtis Hanson (The River Wild, 8 Mile, Bad Company) tenta nell’impresa.
Esce L.A. Confidential, adattamento filmico del terzo capitolo della tetralogia ellroiana di Los Angeles, preceduto dalla Dalia Nera, Il Grande Nulla e seguito dal successivo e conclusivo White Jazz. La raccolta dei quattro libri citati lo renderanno famoso e riconosciuto a titolo mondiale, se già da prima il suo stile venne riconosciuto e apprezzato, da qua in poi sarà un’escalation di popolarità e successo. Tutti e quattro ambientati a Los Angels, unisce fatti storici realmente accaduti a pura fiction. In Dalia Nera usa il fatto di cronaca realmente accaduto come sfondo per raccontare storie di ossessioni e vendette.
James Ellroy da giovane fu ossessionato dalla morte di Elizabeth Short e nel romanzo decide di renderle giustizia trovando i colpevoli e proietta la sua ossessione nei protagonisti. Il Grande Nulla e L.A. Confidential hanno in comune la struttura della storia: tre personaggi, tre vite diverse legate dal fato e dagli eventi. White Jazz è un diario in prima persona del protagonista, un testamento funebre fatto di ricordi, rimpianti, rimorsi e vendette. L’ultimo capitolo chiude definitivamente alcune parentesi lasciate aperte nel corso dei romanzi precedenti e con uno stile asciutto, minimale ci regala quasi un happy end, ma ci ricorda con inezia che il malessere dei suoi personaggi può scindere dal finale, ma rimane dentro di loro invariato nell’esistenza intima che riempe lo spirito e la coscienza.
Siamo negli anni 50 e come da titolo l’intreccio è ambientato a Los Angeles, la città degli angeli. Tre protagonisti, tutti e tre poliziotti: Edmund Exley (Guy Pearce), Bud White (Russel Crowe) e Jack Vincennes (Kevin Spacey). Si parte da una vicenda di cronaca realmente accaduta, il così detto “Bloody Christmas” durante il quale dei poliziotti picchiarono gravemente cinque latino-americani e due giovani bianchi indifesi, già catturati e imprigionati al distretto principale. Vennero distrutti fisicamente con una violenza e una brutalità inaudita.
Ed, Jack e Bud sono presenti e da qua inizia tutto: i “capi” devono sacrificare qualcuno e tagliare qualche testa per smussare lo scandalo. Ed Exley è uno sbirro ambizioso e vuole fare carriera, il suo desiderio è così forte che è pronto a testimoniare contro i suoi colleghi; Bud White si rifiuta soprattutto perché di mezzo c’è il suo migliore amico nonché collega di una vita Dick Stensland (Graham Beckel); Jack Vincennes invece viene messo alle strette,un rifiuto e perderà la sua collaborazione con uno sceneggiato televisivo famoso.
La testimonianza di Exley farà espellere Stensland con conseguente odio da parte di White, mentre Vincennes continuerà a condurre il proprio stile di vita in modo leggero, senza troppi pensieri. Poi una notte qualsiasi, un gruppo di criminali entrerà in una qualsiasi tavola calda, il Nite Owl, dove uccideranno tutti i presenti, lasciando la polizia sconvolta e in alto mare per la risoluzione del caso. L’efferatezza degli omicidi è tale da spingere ogni giornale a parlarne e il dominio pubblico costringerà ancora una volta il dipartimento di Los Angeles a cercare senza tregua i colpevoli. Tutta questa pressione spingerà i tre poliziotti a superare i propri limiti e capire che la realtà sottostante è molto peggio di quel che si crede. Insieme a ciò vi sono due sottotrame fondamentali per l’adempimento dello sviluppo alla storia principale. La prima riguarda un mondo del giornalismo descritto senza fronzoli. Imbarazzante vista la bassa lega dei contenuti, un mondo promotore di scandali e corruzione.
E’ Sid Hudgens (Danny DeVito) il personaggio che incarna tutto questo, un uomo che vive con l’ossessione di vendere più copie possibili del suo giornale (Hush Hush) e di incastrare ogni personaggio famoso per gridare allo scoop. In questo Vincennes lo aiuterà e non poco nel corso della storia, purché in cambio abbia il suo tornaconto. La seconda invece ruota su un particolare giro di prostituzione gestito da un uomo ambiguo e molto ricco, Pierce Morehouse Patchett (David Strathairn) che “tratta” donne somiglianti a dive del cinema. Cambio colore di capelli, operazioni chirurgiche, studi approfonditi sul portamento, si fa di tutto pur di somigliare a Rita Hayworth, Ava Gardner o a Greta Garbo. Testimone d’eccellenza per tale pacchetto è Lynn Bracken (Kim Basinger), sosia di Veronika Lake.
La pellicola, seppur divertente, scorrevole e per nulla complicata, subisce un certo affievolimento della storia con la totale assenza di acume tipica dei personaggi dello scrittore californiano. L’intreccio è inevitabilmente molto più semplice ed essenziale nella sceneggiatura scritta da Brian Helgeland. Inoltre, le donne all’interno del film sono praticamente assenti, in quanto emerge solo la presenza della Basinger come bandiera femminile.
Il suo personaggio risulta però quasi anonimo e viene strumentalizzata fisicamente in quanto bella e fatale, ma al tempo stesso fragile. Durante le scene con lei protagonista non spicca mai una particolare nota del suo carattere. Una pedina piacevole da osservare che ci rende la visione piacevole visivamente ma senza una folgorazione tipica dell’archetipo femminile quasi sempre presente nei film noir. Questa è una nota dolente, perché le donne di James Ellroy sono figure forti. Hanno una personalità autoritaria e come gli uomini non si nascondono vigliacche.
Utilizzano la propria avvenenza come arma, ma non risultano essere un involucro esteticamente ineccepibile, ma vuoto. Anzi, la loro intelligenza è sottolineata con caparbia, se si innamorano sono pronte a tutto e raramente vengono schiacciate dagli uomini che le circondano. Questo perché Ellroy tende a incanalare in modo affettuoso ma estremamente lucido la figura della madre, scomparsa improvvisamente quando egli era un ragazzino. La donna fu uccisa da qualcuno che non è stato mai catturato. Tale omicidio influenzerà profondamente la vita e le opere dell’autore. L’incesto che spesso viene descritto all’interno dei suoi romanzi è una eco alla sua infanzia, ai suoi pensieri più proibiti, pensieri esorcizzati attraverso una catarsi chiamata “I miei luoghi oscuri” libro fondamentale per comprendere i temi, il background e la storia di uno dei più grandi autori contemporanei.
La prima metà del film è pressoché identica al romanzo (escludendo qualche dettaglio), la seconda diviene tutt’altro, lasciando inevitabilmente un po’ l’amaro in bocca. Una delle maggiori differenze è l’omissione che Ellroy fa riguardo la pedofilia nell’ambiente cinematografico. A volte cita nomi illustri realmente esistiti mentre per altri usa pseudonimi, ma basta qualche minuzia per farci capire di chi sta parlando.
Primo tra tutti il personaggio di Raymond Dieterling, descritto come il padre dell’animazione moderna, padrino di tutti i bambini e della tutela dell’infanzia; egli ha creato personaggi amatissimi da grandi e piccini, come Moochie Mouse il topo, Scooter Squirrel lo scoiattolo e Danny Duck il papero. Non ci vuole molto a capire a chi fa riferimento Ellroy, se non a Walt Disney. Fondamentalmente, L.A. Confidential nella sua forma di film manca di tetraggine. L’odore di morte, l’odio perenne, il razzismo e la spietata mania di primeggiare sono argomenti cardine della letteratura di Ellroy e che qui vengono sfiorati ma mai del tutto sviluppati.
Esiste poi un personaggio chiave: Dudley Smith (nel film viene interpretato da James Cromwell, scelta abbastanza criticabile dato che nella prima comparsa nei romanzi, tale personaggio viene visto come aitante, grosso e pericoloso) nel film è un uomo in là con l’età. Primeggia la figura del politico dallo sguardo algido, anziché il poliziotto scaltro che la vince sempre. Dudley è un personaggio fondamentale per le storie facenti parte della tetralogia. E’ sempre di sfondo, ma spesso tutte le vicende porteranno al suo nome. Ellroy tifa per lui. E’ chiaro e lampante, tifa per un personaggio negativo, ma intelligente. Callido, silenzioso e calcolatore. Nel libro, Smith rappresenta l’ingiustizia e il potere, l’inganno e la totale mancanza di pietà. Nel film è tutto questo, ma incredibilmente ne ha un risvolto positivo. Quando si viene a capire che centra proprio Dudley col massacro del Nite Owl, Exley farà prevalere il senso di giustizia con l’esecuzione dell’irlandese privo di scrupoli.
E’ vero che Ed a sua volta ha comunicato a noi un senso di equità, dove il male deve essere punito. Utilizzare la legge per tutelare i più deboli, avvalersi degli strumenti che lo stato predispone e giudicare un possibile criminale con la presenza di un giudice e di una giuria. Nel momento stesso in cui si accinge a essere il boia esecutore per gridare alla rettitudine, questi suoi principi vengono a mancare. Dunque Exley vince contro Smith, ma al tempo stesso perde contro sé stesso e contro i suoi principi, chiarissimi fin dalle prime battute. In questo senso il film potrebbe avvalersi di un finale dal gusto amaro, ma siamo lontanissimi dal pessimismo cosmico di James Ellroy, lontanissimi dal suo cinismo, vomitato tra battute nichiliste e umorismo nero. Il lavoro di Hanson è in finale un prodotto che funziona nel suo insieme.
Un noir tradizionale che abbraccia soluzioni più semplici per accattivare il pubblico. Un noir di puro intrattenimento dove i personaggi hanno psicologie elementari. Risulta però difficile empatizzare con loro in quanto non vi è nessun tormento struggente e anche se ci fosse, il fatto che sia tutto così accennato non ci permette di entrare nella loro visione di insieme. Non tifiamo per loro, non proviamo un particolare odio/amore, ma ci divertiamo nelle vicende contestualizzate nella sporca Los Angeles anni ’50. Ciò non è per forza un elemento negativo, possiamo uscirne soddisfatti solo se non facciamo riferimento all’opera di Ellroy.
Con i suoi uomini vi è un trasporto unico e tormentato. Da una parte il loro vissuto e le conseguenze degli eventi hanno un rimando all’esistenzialismo scritto da Paul Schrader con egregia unicità in Taxi Driver (Martin Scorsese,1976), dove la potenza, come direbbe Aristotele, è nel pieno divenire. Siamo noi ad accompagnare nella tremenda solitudine e follia Travis Bickle (Robert De Niro), esattamente come siamo noi a seguire i personaggi di Ellroy durante le loro assurde e incredibili imprese. Un esempio più recente potrebbe associarsi a Rustin Cohle (Matthew McConaughey) nella prima stagione di True Detective.
La sua emotività dovuta a un passato doloroso fatto di errori è mutata in massima razionalità e lucidità. Il suo eccellere come essere esistente si scontra ripetutamente con la mediocrità del suo collega Martin Hart (Woody Harrelson). Laddove non si possono comprendere stati mentali superiori si giunge a conclusioni superficiali e furtive, ma la vera necessità del racconto in queste storie così distanti ma al tempo stesso comuni è una sola: la fedeltà verso loro stessi.
Spesso l’ossessione e il dramma che contorce le anime dei personaggi di Ellroy, sono soprattutto vicini ai protagonisti dei film di William Friedkin. Uomini virili, forti, ma al tempo stesso ancorati da un’emotività struggente e autodistruttiva. Uomini che si spingono oltre i propri limiti subendo impassibili le proprie ossessioni. Uomini posseduti da drammi così forti da essere per loro un motore di reazione. In un primo momento capiamo che è l’ambiente stesso a plagiarli, a cambiarli, ma lentamente la loro reazione diviene massima proiezione del loro essere, snaturando, spogliando e distruggendo tutto ciò che rappresenta un baluardo sulla loro strada. Vacillano tra bene e male, tormentandosi sull’orlo della pazzia. Le loro vite oltraggiose ci affascinano. Los Angeles diventa un inferno dove demoni e vittime si mischiano e l’ambiguità del giusto/sbagliato ci snerva. Fremiamo. Ci costringono a supplicarli.
Supplicarli a non smettere.
Di seguito il trailer di L.A. Confidential:
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