Horror & Thriller

Shelby Oaks – Il Covo del Male: la recensione dell’horror di Chris Stuckmann

Un debutto ambizioso ma disomogeneo che conferma la passione del regista per il genere, senza però riuscire a trasformarla in un vero incubo

Lo YouTuber e recensore di film Chris Stuckmann debutta alla regia con Shelby Oaks – Il Covo del Male, il suo primo lungometraggio, prodotto da Mike Flanagan e lanciato da un sito andato virale negli USA fitto di video inquietanti e indizi criptici. La conoscenza delle dinamiche dell’investigazione del paranormale e dell’immaginario annesso emerge con forza in quest’opera che lui stesso, all’anteprima al Festival di Sitges 2025, ha definito “un progetto in sviluppo da nove anni”, con una sceneggiatura scritta a quattro mani con la moglie Sam e rimaneggiata nel corso di tre anni.

Il risultato, tuttavia, è un indie horror soprannaturale che gioca sul sicuro, spaziando tra topos del sottogenere e concept già rodati, rielaborandoli in una narrazione erratica, spesso derivativa e sicuramente troppo dispersiva.

Shelby Oaks si apre come un true crime irrisolto quanto inquietante. Nel breve preambolo costruito da filmati amatoriali e video sul loro canale, un gruppo di youtuber esperti di paranormale si avventura in una città fantasma nel cuore di Darke County, Ohio, per indagare sugli oscuri avvenimenti che si sono susseguiti. All’improvviso, s’interrompono gli aggiornamenti e i creator svaniscono nel nulla.

I corpi di tre di loro – Peter (Anthony Baldasare), David (Eric Francis Melaragni) e Laura (Caisey Cole) – vengono ritrovati poco dopo, fatti a pezzi in un morboso e cruento omicidio. Dettaglio ancora più sinistro, non c’è alcuna traccia di Riley (Sarah Durn), ultimo membro e volto dei Paranormal Paranoyds. Ovviamente la curiosità morbosa dei followers e del grande pubblico esplode in un caso mediatico. In molti esplorano ogni minimo dettaglio legato al truce caso di cronaca. La polizia esamina ogni pista. Le teorie complottistiche si susseguono, ma il mistero resta fitto attorno ai tragici eventi.

A dodici anni di distanza, la scomparsa di Riley rimane ancora un mistero senza soluzione. L’interesse mediatico è scemato e solo la sorella Mia (Camille Sullivan) sembra voler investigare su un cold case dimenticato. Incapace di chiudere con il passato traumatico e andare avanti con la sua vita, e forte di nuovi elementi, la donna decide di ripercorrere gli ultimi passi dei Paranormal Paranoyds, seguendo una nuova pista che la riporterà a Shelby Oaks, aprendo le poste a una verità addirittura più oscura di quella da lei immaginata.

Negli anni si sono moltiplicate ma ora la sorella Mia decide di raccontare la vicenda a una troupe documentaristica, aprendo le porte a una verità molto più oscura. Passato e presente, analogico e digitale s’incontra. I dettagli si accumulano.

L’inizio di Shelby Oaks è promettente. La morbosità ossessiva del grande pubblico per delitti irrisolti e crimini scabrosi ci coinvolge. L’aura sinistra di una leggenda metropolitana catturata da immagini a bassa definizione emerge da dettagli appena intellegibili in immagini sgranate. Una silhouette che oscura incombe su Riley in uno dei filmati ritrovati. Un coro di voci nella notte mentre lei e i suoi amici pernottano in un luogo che si crede maledetto e infestato. Simboli scritti con il sangue sulla scena del crimine rimandano a un culto demoniaco, confermato dagli oscuri trascorsi di Shelby Oaks, resi concreti da un set reale: una vera cittadina abbandonata con i resti di un luna park ormai ridotti a sinistri relitti nel verde incombente nel bosco e una serie di palazzi ormai abbandonati all’incuria del tempo.

L’atmosfera graffiante di indagine sull’occulto evapora però velocemente quando s’innestano gli elementi più smaccatamente soprannaturali, ed è qui che Shelby Oaks perde buona parte della sua tensione. Cani nella notte fissano Mia con occhi sfavillanti e demoni si palesano sulla scena con la loro presenza più ingombrante che inquietante. Mostrare troppo è disfunzionale alla creazione di un senso tangibile di orrore, soprattutto se le creature infere sono realizzate con una CGI invadente.

Più in generale, gli spunti e le influenze sono molteplici in Shelby Oaks, ma si ha la sensazione che Stuckmann non riesca a dare una coerenza ultima alle diverse direzioni intraprese. L’inserimento nella narrazione filmica di ruvido girato amatoriale rievoca le atmosfere graffianti di Sinister di Scott Derrickson, ma non può che rimandare inevitabilmente ai found footage alla The Blair Witch Project .

Allo stesso tempo, il demoniaco assume diverse forme non sempre coerenti tra loro: da intrattenimento di massa inscenato in televisione in stile Late Night with the Devil a una storia di serial killer criptica alla Longlegs di Oz Perkins.

Troppe suggestioni si accavallano allora  in questo pastiche soprannaturale, che fatica a tenere insieme le sue molteplici direzioni pur cercando fino al finale di conservare la tensione attorno a un unico mistero insoluto. Gli indizi seminati con angosciante meticolosità nella prima parte pongono premesse forti. Purtroppo, man mano che la storia avanza, soprattutto dalla seconda metà del film, queste non sono portate a degno compimento.

Come debutto registico, Shelby Oaks non è osceno: dimostra una passione sincera per il genere e una conoscenza profonda delle sue dinamiche. Tuttavia, per passare con convinzione da YouTube al linguaggio cinematografico, Stuckmann deve ancora trovare una sua voce, un modo più personale capace di dare unità alle idee che certo non gli mancano, ma che senza una regia unificante restano per ora frammentarie suggestioni più promettenti che altro.

Il trailer italiano di Shelby Oaks – Il Covo del Male, nei cinema dal 19 novembre:

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Published by
Sabrina Crivelli