Voto: 7/10 Titolo originale: Sisu 2 , uscita: 22-10-2025. Budget: $12,200,000. Regista: Jalmari Helander.
Sisu: Road to Revenge, la recensione del sequel col duro a morire Aatami Korpi
22/10/2025 recensione film Sisu 2 di William Maga
Un sequel esplosivo che trasforma la brutalità in arte visiva, unendo vendetta, ironia e mitologia finlandese con ritmo millimetrico

Sisu: Road to Revenge è quel raro sequel che capisce la propria leggenda e la rilancia con una furia coreografica che sfiora la comicità fisica. Jalmari Helander costruisce un film d’azione finlandese che sembra un ingranaggio perfetto: asciutto (meno di 90 minuti), diviso in capitoli che sono promesse di spettacolo mantenute, un’epopea d’asfalto e metallo dove l’eroe muto Aatami Korpi (Jorma Tommila) diventa icona mitologica e cartone animato sanguinante nello stesso tempo.
Se Sisu – L’immortale era la nascita del mito, Road to Revenge è il suo manuale d’uso.
La trama è un filo d’acciaio teso: finita la guerra, Korpi torna nella casa svuotata dall’assenza della moglie e della figlia, la smonta tavola dopo tavola, la carica su un camion e parte con il suo Bedlington terrier per riportarla in Finlandia. Vuole solo ricostruire, rimettere al mondo il mondo. Ma la sua fama corre più veloce del motore: un generale russo (Richard Brake, affilato come un rasoio) libera dal suo purgatorio siberiano Igor Draganov (Stephen Lang), l’ufficiale che sterminò la famiglia di Korpi. L’ordine è semplice: inseguire, stanare, finire il lavoro. Da qui in poi il film diventa un inseguimento puro, un “romanzo stradale” di ottani e schegge, con ondate di soldati che cadono come birilli e un antagonista finalmente all’altezza dell’eroe.
Helander organizza il racconto per blocchi tematici annunciati da cartelli che suonano come sfide: “Motor Mayhem” è un valzer di motociclisti mascherati scagliati contro un uomo e un camion carico di travi; “Incoming” sostituisce le ruote con le ali e mette in rotta aerea il destino; più avanti arrivano treni e carri armati, in una progressione che evita la ripetizione perché ogni set piece inventa una grammatica diversa.
Il merito è anche della fotografia di Mika Orasmaa, che lima i contorni dell’inverosimile fino a farli sembrare inevitabili: l’azione è leggibile, la geografia degli spazi sempre chiara, i colpi di scena meccanici scattano a tempo. Quando Korpi usa il suo carico di tavole come arma improvvisata, la fisica protesta, ma la messa in scena l’ha già zittita: non stai credendo a un trucco, stai godendo di un’idea.
Il segreto, infatti, è il tono. Road to Revenge è violentissimo eppure spesso irresistibilmente comico, come se Buster Keaton avesse trovato una cava di dinamite. Il passaggio furtivo di Korpi nudo e insanguinato tra le cuccette di un vagone pieno di soldati addormentati è una gag alla Charlie Chaplin riscritta col coltello; l’esplosione di un motociclista trasformato in coriandoli umani è splatstick calibrato al millimetro; un paracadutista che plana goffamente dopo lo schianto del suo biplano è la chiosa beffarda a un duello con la morte. L’asprezza del paesaggio e la sobrietà dei dialoghi (pochissimi, essenziali) amplificano la partitura fisica: qui si comunica con le traiettorie, con i pesi, con la materia che cozza e cede.
Jorma Tommila, corpo-mito di Korpi, porta addosso ferite e cicatrici come capitoli di un poema. Più il film avanza, più il volto si fa maschera; più la carne sanguina, più l’uomo diventa simbolo. È l’incarnazione del “sisu”: ostinazione assoluta, coraggio che non cerca applausi ma risultato. Di fronte a lui Stephen Lang scolpisce un Draganov che vive di gelo e rancore: una voce che serpeggia, un monologo che accarezza con sadismo il ricordo del massacro, una presenza che fa crescere la posta emotiva dello scontro finale. Richard Brake, comandante viscido e calcolatore, aggiunge un contrappunto di perfidia burocratica: il potere delega il male, e il male gode nell’eseguirlo.
Sul piano tematico, Helander stringe il nucleo: casa contro guerra, memoria contro cancellazione. Ogni ostacolo sul cammino di Korpi non è solo un nemico da abbattere ma una prova di resistenza del concetto stesso di “ritorno”: riportare a casa la casa significa rimettere insieme i pezzi di una vita, far valere un diritto elementare contro l’ingranaggio di chi pretende di tritare tutto. È per questo che il film può permettersi l’iperbole senza perdere il cuore: il viaggio è più importante dell’arrivo, e la destinazione è la dignità.
Sul versante della messa in scena, la cura del dettaglio è decisiva: suoni metallici che pizzicano i nervi, montaggio che lascia respirare l’acrobazia e poi la chiude con un colpo secco, effetti pratici che fanno sentire lo scricchiolio delle ossa, digitale usato per amplificare, non per coprire. L’uso dei mezzi – auto, moto, aerei, treni, carri – racconta un’idea di cinema che ama le macchine come strumenti musicali: ciascuna ha il suo timbro, ciascuna il suo assolo. E il cane che accompagna Korpi, minuscolo contrappeso affettivo in un mondo di piombo, è il promemoria che questo delirio serve un fine semplice: portare qualcuno, qualcosa, in salvo.
Sisu: Road to Revenge funziona perché sa essere più grande del primo senza tradirlo: alza la scala, non il volume; allarga il parco giochi, non l’ego. È una recensione vivente dell’arte del seguito ben fatto: riprendi ciò che ha acceso il mito, togli la ruggine, cambia il ritmo, sorprendi sulla stessa melodia. Per chi cerca una guida: sì, è consigliatissimo in sala, meglio se con pubblico caldo; sì, è uno dei vertici recenti del cinema d’azione europeo; sì, mette in fila momenti che resteranno. E quando tutto finisce come deve finire – perché lo sappiamo, il cattivo pagherà, l’eroe sopravvivrà – quello che rimane non è la prevedibilità della meta, ma la gioia selvaggia del percorso.
In attesa di capire quando lo vedremo in Italia (negli USA il 21 novembre), di seguito trovate il trailer internazionale di Sisu: Road to Revenge:
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