Scott Dale esordiva con un prodotto di buon intrattenimento di genere, ma lontano dal cult che avrebbe potuto essere
Era davvero sul punto di iniziare la carriera nell’horror che Megan Fox meriterebbe da tempo? Dopo la sua performance sorprendente in Jennifer’s Body di Karyn Kusama, un cult diventato oggetto di rivalutazione critica con gli anni, sembrava che per l’attrice si stesse aprendo una nuova direzione: lontano dai blockbuster in cui era relegata al ruolo di icona estetica, finalmente un genere capace di valorizzarne la fisicità narrativa, la vis comica e la presenza scenica autentica.
L’horror le offriva un linguaggio adatto per esprimere vulnerabilità e forza, seduzione e autodeterminazione. Eppure, ci sono voluti oltre dieci anni prima che Megan Fox tornasse a recitare in un film del genere. Lecito quindi nel 2021 chiedersi se Till Death dell’esordiente Scott Dale fosse davvero il titolo in grado di compiere questo passaggio e restituirle uno statuto da scream queen contemporanea.
La risposta, come spesso accade nel cinema di genere, è ambivalente: sì e no. Con una premessa narrativa che ricorda da lontano Il gioco di Gerald (2017), Till Death si colloca in una posizione ibrida tra survival horror domestico e thriller erotico d’azione, senza mai abbracciare del tutto né l’uno né l’altro sottogenere.
Definire Till Death un film horror è forse generoso: pur adottandone i codici visivi e strutturali, il film sembra muoversi più agevolmente nei territori del thriller muscolare, dove Megan Fox può sfruttare appieno la sua esperienza pregressa nel cinema d’azione.
E infatti è proprio quando il film si concede alle sue derive più puramente horror che trova i momenti più convincenti: la sequenza in cui Emma scopre che il marito si è alleato con l’uomo che anni prima l’aveva aggredita, o l’ultima parte, tesa e ben orchestrata, in cui la protagonista si confronta con la morte, il tradimento e la propria sopravvivenza.
Till Death riesce a sorprendere, ma solo a tratti. Il problema principale risiede nella sua incapacità di rompere davvero le regole del genere: il gore è limitato, le scene più disturbanti vengono neutralizzate da una fotografia patinata e da una regia che sembra temere il rischio.
La sceneggiatura, pur efficace sul piano funzionale, spesso cede a battute didascaliche, privando il film di ambiguità. Si ha l’impressione che Till Death sia stato allora volutamente smussato per evitare confronti con Il gioco di Gerald, che pur partendo da un’idea simile, osava di più nella costruzione del trauma e nella sua elaborazione.
Il risultato è un prodotto di genere ben confezionato, godibile e adatto anche a un pubblico più ampio, ma che si ferma un passo prima di diventare davvero memorabile.
Megan Fox è pienamente all’altezza del ruolo: la sua interpretazione è fisica, intensa, ironica, capace di restituire una gamma emotiva complessa. E proprio grazie a lei il film assume un’identità specifica, che lo distingue da tanti prodotti horror/thriller di largo consumo. Eppure, ciò non basta a trasformarlo in un cult. Il potenziale c’è — e in alcune sequenze si percepisce chiaramente — ma il film sceglie di non spingersi fino in fondo, accontentandosi di essere un thriller d’intrattenimento anziché un’opera radicale.
Di seguito trovate il full trailer internazionale di Till Death: