Voto: 6.5/10 Titolo originale: Gerald's Game , uscita: 29-09-2017. Regista: Mike Flanagan.
Il Gioco di Gerald (2017): la recensione del film diretto da Mike Flanagan
30/09/2017 recensione film Il gioco di Gerald di William Maga
Carla Gugino e Bruce Greenwood sono i protagonisti dell'adattamento di Netflix che riesce nel difficile compito di omaggiare e al tempo stesso elevarsi dal materiale orrorifico di partenza scritto da Stephen King
L’esperienza dovrebbe insegnare che ogni adattamento di un’opera di Stephen King è decisamente complicato, nonostante la sua prosa sia di lapalissiana chiarezza. È uno scrittore la cui visione del mondo spesso si scontra con le sue intenzioni idealistiche, ma la purezza di tale intento può essere trasformata in qualcosa di appagante nelle giuste mani cinematografiche.
E si dà il caso che questo capiti con Il Gioco di Gerald (Gerald’s Game), thriller da camera del 1992 diretto ora per conto di Netflix dal regista Mike Flanagan (già al lavoro con il colosso dello streaming per il ben poco riuscito slasher Hush). Combinando molti dei feticci gutturali del romanziere (e andando persino a inserire un riferimento a La Torre Nera), Flanagan non solo riesce qui nell’intento di imprigionare in una pellicola minimalista la quintessenza del Re del brivido, ma anche a interrogarsi sulle conseguenze morali di una violenza sessuale.
Jessie (Carla Gugino) e suo marito Gerald (Bruce Greenwood) si dirigono verso la loro isolata baita vicina a un lago nel Maine, per cercare di riaccendere la fiamma della passione nel loro matrimonio allo sbando. Un’ora dopo il loro arrivo, Jessie scivola dentro una sottoveste di seta comprata per l’occasione, mentre l’uomo ingurgita una pillola di Viagra poco prima di ammanettarla saldamente al letto e stringerle una mano intorno alla gola.
A quanto pare i due non erano riusciti ad avere rapporti per lungo tempo, fino a quando l’uomo non ha ritrovato vigore per caso, intuendo che sesso violento e fantasie di stupro erano in grado di aiutarlo meglio di qualsiasi farmaco.
Jessie però gli resiste, e mentre i due discutono del possibile divorzio, Gerald si tocca il petto e si contorce in una smorfia per un attacco di cuore improvviso, lasciando la novella vedova legata alla testata. Non sembra esserci possibilità di fuga e non c’è anima viva per chilometri intorno, salvo un cane randagio che ben presto fa capolino nella stanza attirato dall’odore del sangue di Gerald.
Chi ha letto il libro saprà già tutto, ma per gli altri è importante sottolineare ancora che il fulcro attorno cui ruota tutta la vicenda è proprio la violenza sessuale e il dover fare i conti con i suoi postumi. Alla maniera di Stephen King. Lo scrittore non è mai stato un narratore particolarmente sottile e Flanagan abbraccia il suo direttissimo approccio all’argomento mentre Jessie sprofonda lentamente nella follia allucinatoria, con la sua propria psiche che prende vita per interrogarla non soltanto sulla sua relazione con Gerald, ma anche su un traumatico avvenimento del passato che ha visto coinvolto suo padre (Henry Thomas, già al lavoro col regista in Ouija – L’origine del male ma qui in un ruolo decisamente sovversivo per lui).
Una volta che anche Gerald si rialza dal mondo dei morti e i tre (la Jessie ancora viva, la Jessie immaginaria e il redivivo Gerald) iniziano una requisitoria morale sulla natura stessa del concetto di consenso, sulle difficoltà matrimoniali e sugli shock del passato in grado di instradare le scelte attuali dei partner, la pellicola non molla mai lo scabroso materiale cartaceo di partenza.
Ed è proprio questo il segnale che attesta Il Gioco di Gerald tra i migliori adattamenti di King mai fatti: permette ai personaggi di prendere vita come il Re li ha immaginati, ma riconosce al contempo anche che quanto alcune delle sue scelte fossero testardamente troppo strane tranciandole dal copione, lasciando che gli attori prendano quelle problematiche scelte personali e le trasmutino nelle sfumature etiche tendenti al grigio che ogni essere umano possiede.
È un gran bell’esempio di cinema che trascende saggiamente la pagina inchiostrata, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal differente medium per attuare una metamorfosi in qualcosa di più alto e immanente (in questo caso, bastino le trasformazioni di Carla Gugino e Bruce Greenwood sotto la guida di un regista in totale controllo delle sue capacità).
Nel frattempo, Mike Flanagan non dimentica mai di star girando una pellicola dal sapore horror, sconvolgendo lo spettatore con un cane – additato addirittura come Cujo da Gerald – che non disdegna il sapore della carne umana e da una vivida manifestazione della Morte stessa (il famigerato “Space Cowboy” del romanzo, qui Moonlight Man, interpretato dal gigante di Twin Peaks Carel Struycken), che viene a far visita a Jessie invitandola ad entrare nell’Aldilà. Si tratta di un delicato equilibrio tra critica riflessiva e fedeltà, senza sacrificare però mai l’una per l’altra.
C’è naturalmente una certa teatralità nel modo in cui Flanagan mette in scena questa sceneggiatura ambientata – per lo più – in una sola location, dove angeli e demoni si fronteggiano proprio davanti agli occhi provati di Jessie. Il direttore della fotografia Michael Fimognari (Oculus) gestisce al meglio questo spazio, mantenendolo intimo senza mai renderlo visivamente oppressivo. Anche grazie all’accorto lavoro di montaggio non sembra mai di assistere a una pièce, ma piuttosto al preciso lavoro di un artigiano del genere, quale Flanagan ormai è a tutti gli effetti (anche qui il budget è stato molto contenuto).
Quando nella mischia vengono infine gettati i trasognanti flashback (che si svolgono durante un’eclisse solare rosso fuoco, che riporta alla mente Dolores Claiborne, pubblicato a distanza ravvicinata, nel 1993) e l’unica sequenza davvero gore, Il Gioco di Gerald si realizza pienamente come gioiellino del terrore misurato, che si prende il tempo necessario per far sì che gli attori possano lavorare al meglio per definire i rispettivi complicati individui.
Chi non ha letto il romanzo potrà forse avere qualche problema con il bizzarro finale – raccontato praticamente parola per parola senza particolari distinzioni dal romanzo -, che sposta decisamente il focus su qualcosa di inaspettato e che stride pure con il resto della vicenda raccontata fino a lì. Come i suoi fan sanno bene però, King raramente riesce a concludere le sue storie in modo soddisfacente e Il gioco di Gerald non fa eccezione.
L’epilogo scritto a mano tuttavia è una buca perdonabile sulla strada lunga 103′ del film, perché il messaggio trasmesso è sia tematicamente squillante che teneramente soffocante. E’ un’opera sul confronto personale verso il proprio dolore e gli abusi e sul trarre forza psicologica dalle ferite che quelli hanno lasciato dentro, mentre si cerca di raggiungere altri individui che hanno subìto simili traumi facendo sapere loro che non sono soli. Con le sue immagini graficamente crude, i monologhi ai limiti del razionale e le ferite auto-inflitte, Il Gioco di Gerald è alla fine una storia sulla speranza – la speranza che non tutto sia perduto in seguito a un abuso indimenticabile. Jessie in questo senso è la manifestazione del recupero della femminilità, un manifesto contro il rifiuto del silenzio forzato in nome dell’amore e della devozione ciechi.
Non si trattava certo della trasposizione più semplice tra gli scritti di Stephen King a disposizione, ma Mike Flanagan è riuscito nella rara operazioni di realizzare un film dell’orrore che funziona sia a livello psicologico che a livello viscerale. Qualcosa che filmamker ben più affermati di lui non sono riusciti a fare.
Di seguito il trailer di Il Gioco di Gerald, a catalogo dal 29 settembre:
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