Voto: 8/10 Titolo originale: Moon , uscita: 12-06-2009. Budget: $5,000,000. Regista: Duncan Jones.
Un oscuro scrutare: Moon di Duncan Jones, la solitudine della Luna
19/09/2017 recensione film Moon di Lorenzo Di Giuseppe
L'opera prima del figlio di David Bowie lascia il segno e si imprime con eleganza nell'immaginario fantascientifico moderno
Moon (2009) rappresenta l’esordio dietro la macchina da presa di Duncan Jones, figlio del musicista e attore David Bowie. Il lungometraggio, dal budget limitato (5 milioni di dollari), è una produzione indipendente ed è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival. Vincitore di numerosi premi in giro per il mondo, è un omaggio ad alcuni dei film amati dal regista, come 2002: la seconda odissea (Silent running, 1972, orrenda la storpiatura italiana per sfruttare la scia di successo del noto film di Stanley Kubrick) e Atmosfera zero (Outland, 1981).
Moon racconta la storia di Sam Bell (Sam Rockwell), ingegnere prossimo alla conclusione di un contratto triennale con la Lunar Industries, società che estrae sulla luna un minerale utilizzato come fonte energetica sulla Terra. Sam è l’unico residente della base mineraria e la sua sola compagnia è l’intelligenza artificiale GERTY, che gestisce molte delle funzioni della base. Le comunicazioni problematiche limitano il protagonista a scambiare messaggi registrati con la sua famiglia, formata da sua moglie Tess (Dominique McElligot) e da sua figlia Eve (Kaya Scodelario), nata dopo la sua partenza.
Due settimane prima della data prevista per il suo ritorno a casa, Sam comincia ad avere delle allucinazioni e a soffrire di mal di testa, forti e frequenti. La perdita di lucidità lo porta a compiere un errore, che causa un grave incidente all’esterno della base: ferito all’interno del veicolo che stava guidando, riesce a indossare il casco prima di perdere conoscenza. Si risveglia in infermeria, con una lieve amnesia, notando però qualcosa di strano. Da questo momento si susseguiranno vari colpi di scena, fino al finale rivelatore e liberatorio.
Seguono SPOILER. Moon si mette subito in mostra per la regia quadratissima e la fotografia rarefatta, mostrando paesaggi lunari spettrali e desertici, contaminati solo dalle macchine scavatrici in movimento, e da sequenze che si prendono i loro tempi, senza però indugiare troppo, lasciando allo spettatore il gusto di qualche interpretazione, come ogni buon film di fantascienza dovrebbe fare, evitando spiegoni prolissi e antiscientifici.
I colpi di scena sono ben piazzati, a dimostrazione dell’importanza di una solida sceneggiatura alla base di tutto. Uno è quello che avviene quando Sam si sveglia e smaschera GERTY in comunicazione live con la Terra, cosa che lui pensava impossibile. Riesce a uscire dalla base con un inganno e giunto sul luogo dell’infortunio, scopre che dentro la tuta nel Rover c’è una persona uguale a lui.
Una volta curato, l’altro Sam si chiede se l’uomo che vede sia un’illusione provocata dalla sua mente (come la donna che vedeva in precedenza, evidente riferimento a Solaris di Andrej Tarkovskij), ma capito che è reale, si comincia a fare domande, chiedendosi chi sia il clone e chi sia quello vero. I due rinvengono le prove che le trasmissioni sono bloccate da antenne che emettono disturbi, mentre la salute del Sam più vecchio continua a peggiorare. Proprio lui, grazie a GERTY, trova nel database della base che i cloni precedenti, alla fine dei tre anni, venivano inceneriti dentro una capsula, facendo credere loro di essere rimandati sulla Terra.
A questo punto i due, sapendo dell’arrivo di una missione per eliminarli, elaborano un piano, risvegliando un terzo clone ignaro di tutto e riavviano l’Intelligenza Artificiale, cancellando così la sua memoria dei giorni precedenti. Stupenda la scena in cui entrambi, arrivando dentro alla stanza segreta dove sono in stasi tutti i cloni, che praticamente si estende per tutta la struttura e di cui il corridoio principale sembra non avere fine, rimangono senza parole, segno di stupefazione anche dello spettatore, incantato di fronte alla potenza visiva della scena.
Menzione particolare per GERTY (doppiata da Kevin Spacey nella versione originale), una I.A. capace di assecondare sempre l’uomo, sentendosi forse quasi “in colpa” per aver inizialmente mentito al protagonista e quindi poi redimendosi sul finale, aiutando in tutti i modi i cloni a organizzare il loro progetto di fuga.
Il paragone con l’Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio (1968) è naturale farlo, visto i tratti in comune, ma secondo me scorrono inevitabilmente su due binari paralleli, essendo la prima visione positiva e salvifica della tecnologia, mentre la seconda visione distruttiva e dannosa, potenzialmente fatale. GERTY tiene nascosti alcuni fatti solamente a causa della sua programmazione, senza alcun secondo fine, e quando Sam pone le giuste domande sulla propria condizione, il robot sa fornirgli le risposte adeguate.
Prima di parlare del finale e del suo significato, mi concentrerei sull’analisi dei costumi utilizzati nella pellicola. Jane Petrie, costume designer in Star Wars la minaccia fantasma (1999) e più recentemente nella serie TV Black Mirror, cerca di evitare gli elementi più esuberanti del genere sci-fi, rendendo il tutto più vicino al reale (è aiutata dalla scelta furba del regista di non datare la storia, mettendola in quel limbo di “futuro non troppo distante”).
Pesca a piene mani dai film di genere tra gli anni ’70/’80, in particolare il già citato Silent Running e Alien (1979). Un esempio che si può fare è quello della tuta spaziale indossata da Sam, con uno stile che rende la pesantezza dell’equipaggiamento, molto simile a quella indossata da Ripley nel suo scontro con lo Xenomorfo (restando in tema Alien, anche il design del Rover e della base sono stati creati da un team di designer che avevano già collaborato nel film di Scott).
Altra caratteristica è quella di connotare i due Sam attraverso l’abbigliamento: il più vecchio è vestito in modo casual/sportivo, i suoi capi sono larghi, essendo dimagrito nel corso della sua permanenza, e consumati, visti i tre anni passati (interessante notare il continuo deterioramento degli abiti con il peggioramento della salute); il più giovane invece indossa spesso la “tuta di volo”, se così si può chiamare, che si adatta perfettamente al suo corpo sano e in forma, oppure maglia e pantaloni nuovi e puliti, simboli della suo recente risveglio dal sonno.
Dopo la prima proposta bocciata di uccidere il terzo clone per fingere che fosse tutto normale nel veicolo, mentre il Sam vecchio sarebbe stato mandato sulla Terra, lui stesso si oppone e, ormai morente, viene riportato sul luogo dell’incidente in modo che non venga a galla nulla su quanto accaduto. Così è il secondo Sam a tornare sul
pianeta d’origine e il terzo clone, ignaro di tutto, dirige la base.
Prima di partire imposta uno degli estrattori per dirigersi sulle coordinate di un’antenna, distruggendola nello scontro, così da sbloccare le comunicazioni. Il film termina con l’audio di notiziari di tutto il mondo, grazie ai quali si apprende che l’operato della compagnia, ormai reso noto, è sotto inchiesta.
La pellicola quindi si chiude con la diffusione della verità, un messaggio politico e sociale forte, una presa di posizione importante da parte di Jones, che nonostante non sottolinei la cosa durante il lungometraggio, la esalta comunque nel finale. In primo piano anche lo sfruttamento perpetrato dalle multinazionali, alle quali interessa solo il profitto, fregandosene tranquillamente di produrre in serie corpi e creare in essi anime fasulle, con ricordi innestati ed emozioni controllate.
Il tema della solitudine è poi gestito alla perfezione, sia quando il vecchio Sam è completamente isolato e non vede l’ora di poter tornare a casa finito il contratto, lavorando, allenandosi e facendo altre attività solo per non deprimersi troppo, sia quando i protagonisti sono due e, se all’inizio sono un po’ straniti e nervosi, successivamente faranno squadra per raggiungere l’obiettivo comune.
In conclusione, Moon si inserisce nel filone della fantascienza di Kubrick e Tarkovskij, portando originalità nonostante la trama semplice, soprattutto nella messa in scena, e inserendosi tra i cult della fantascienza post 2000.
Di seguito il trailer italiano:
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