Home » Speciali » [dossier] Tokusatsu 2006-2016 (parte I)

[dossier] Tokusatsu 2006-2016 (parte I)

06/04/2017 news di Michele Senesi

Esploriamo l'ultimo decennio di un genere che continua a rinnovarsi ed evolversi rimanendo fedele alle sue origini

ultra_x toku

Cap. 1 Supereroi, creature e contesti del cinema fantastico giapponese

Tokusatsu in fin dei conti significa letteralmente “effetti speciali” ma è anche un lemma che nel tempo ha assunto sfumature esterne alla semantica reale rappresentando una tipologia ben specifica di effetto speciale, quello composto principalmente da modellini degli ambienti in miniatura e da creature gommose cucite addosso al corpo di un attore.

23-ultralion-cavalloLa scuola di pensiero di Eiji Tsuburaya (creatore sia di Godzilla che di Ultraman, tra gli altri) fondamentalmente, uno dei pionieri e maestri della storia degli effetti speciali che si andava a “contrapporre” a quella di altri colleghi d’oltreoceano come Willis H. O’Brien e Ray Harryhausen che invece lavoravano soprattutto tramite animazione di creature in miniatura a passo uno. L’intuizione del genio di Tsuburaya fu infatti quella di scolpire e stampare tute, sia dei super eroi che delle creature (kaiju), in lattice e gomma e di infilare all’interno di cerniere lampo, non sempre così celate e invisibili, degli attori atti a pilotare il personaggio di turno (processo poi denominato “suitmation”) facendolo così muovere in ambienti in miniatura costruiti su misura. I pregi di questo metodo erano quelli di avere movimenti più spontanei e realistici (specie rispetto all’effetto parzialmente “stroboscopico” del passo uno) e l’eventuale presenza degli elementi (in primis, acqua e fuoco) più “fisici”.

Al contempo si palesava però anche un’altro risultato, quello di sciogliere le redini della fantasia e di cercare ogni metodo più o meno prevedibile per costruire attorno a un corpo umano, anatomie di creature che dovessero distanziarsi il più possibile da quella forma percettiva. Il risultato era un’arte che ammiccava ai bambini catturando comunque l’empatia degli adulti e generando un florilegio continuo di creature bizzarre e totalmente uniche nella storia dell’effetto speciale.

matango_1963 tokusatsuQuesta formula che ha ormai 60 anni ha lasciato un’impronta indelebile negli spettatori di allora creando una sorta di fidelizzazione ai character design, praticamente inscalfibile. Anche oggi, anni in cui con gli effetti digitali le creature potrebbero essere riprodotte integralmente al computer, gli effetti “reali” vanno per la maggiore e nei rari casi in cui i mostri o gli eroi siano realizzati digitalmente, la loro forma è comunque ricalcata su quella del personaggio originario. Ecco allora che a differenza dei remake e reboot occidentali in cui ogni volta si impone un aggiornamento dell’estetica dei supereroi (basti vedere i recenti Spiderman, Batman o Superman, e relativi nemici o soci) aggiornato alle mode visive del momento, sia per le forme, che per le texture dei costumi, che per le ombre che ne scolpiscono i corpi, in Giappone, rimettere in scena il primo Ultraman non sarà altro che – anche nel caso di realizzazione di un nuovo costume per semplici esigenze contingenti – riprodurlo identico all’originale includendone quelli che erano allora difetti, oggi, volendo, facilmente eliminabili; quello che era una sorta di rilievo per celare la cerniera lampo da cui l’attore si infilava il costume, è un “difetto” confermato perché facente parte del pioniere, voluto e preteso dagli spettatori che percettibilmente lo giustificano come una sorta di cresta o escrescenza (anche se totalmente consapevoli di cosa sia in realtà).

L’eventuale eliminazione sarebbe percepita come un tradimento e nei nuovi prototipi del personaggio, ovvero nei successivi eroi dotati della stessa forma fisica, quella sorta di rilievo è stato mantenuto, modellato e integrato come parte attiva del personaggio stesso, come sorta di proseguo materiale di un’eventuale “cresta” dinamica posizionata sul casco della tuta. E fedelmente riprodotta anche nei vari gadget e giocattoli a tema.

directing kaiju tokusatsuIl termine tokusatsu così ha subito una mutazione di senso, proprio come il “Categoria III” di Hong Kong che da semplice “classificazione legale” è passato a significare un vero e proprio (sotto) genere. E’ assurto nel gergo comune a definizione di una parte di fantascienza giapponese, quella che lavora con miniature, modellini, creature e tute di gomma indossate da attori, nonostante l’intervento sempre più abbondante e ovvio degli effetti digitali utilizzati comunque nel rispetto e nel mantenimento di una fedeltà della tradizione iconografica.

Perfino l’ultimo straordinario Shin Godzilla del 2016 non fa altro che riprodurre con la magia del digitale un effetto speciale che sembra ancora tradizionale. Il perché è prettamente percettivo e affonda le proprie radici negli sviluppi generici delle arti figurative dei secoli scorsi. E’ quindi un utilizzo dell’effetto speciale “mentale” in cui l’attività percettiva dello spettatore è perennemente attivata onde andare a coprire quelle cesure ed ellissi antinaturalistiche e a interpretare quei simboli visivi non riconoscibili donando loro del senso (un esempio semplice, le linee dinamiche grafiche presenti anche in tanta animazione).

E’ esattamente il contrario del cinema classico americano dove ogni attività intellettiva deve essere sospesa in nome di una diegesi continua e di una fluidità del racconto che non debba mai spezzare il flusso identificativo dello spettatore, in una sorta di ricerca maniacale del realismo in cui un buon effetto è semplicemente l’effetto che riproduce, nella maniera più possibilmente fedele (o verosimile o credibile), la realtà. Anche in questo caso le origini di questa tendenza provengono da percorsi culturali evolutisi nei secoli. Il senso del meraviglioso è così evocato da visioni antitetiche; da un lato (occidente) dalla maniacalità del realismo che mette a confronto lo spettatore con contesti riconoscibili, dall’altra (oriente) la totale visione astratta e inafferrabile, integralmente da esplorare e interpretare e da cui farsi inglobare in maniera del tutto imprevedibile.

tokusatsuIl tokusatsu che – comunque – ha avuto esempi sia prima che dopo Tsuburaya, è così fiorito ininterrottamente fino a oggi, tramite una sovrapproduzione stratificata e quasi impossibile da censire. A fronte degli esemplari più noti e prodotti dalle case di produzione di maggiore pregio si sono diffusi generi, tipologie e visioni in ogni campo della distribuzione audiovisiva locale, dalle versioni parodia pornografiche, alle pubblicità, dai film da sala a piccoli titoli solo per il video o relegati a piccole zone geografiche dimostrando come questo “genere” rappresenti uno degli elementi più iconici e influenti della cultura giapponese contemporanea al pari dell’animazione, delle idol e di altri elementi culturalmente rappresentativi e visivamente vincolanti.

A fronte di tutta questa monumentale produzione va preso atto di come nel resto del mondo arrivi praticamente lo zero per cento del tutto. O quasi. Qualche titolo distribuito a caso senza un progetto coerente dietro, una manciata di serie diffuse alla buona negli Stati Uniti, qualche videocassetta e DVD frutto di scellerate uscite in sala del periodo d’oro degli anni ’70 quando i nostri cinema non erano ancora del tutto colonizzati, il download dalla rete comprensibile grazie ai sottotitoli “autoprodotti” dagli appassionati.
E un grosso, grossissimo fraintendimento culturale complicatissimo da districare e da “evangelizzare”, che si chiama Power Rangers (di cui parleremo successivamente).

tokusatsuVa preso atto di come l’ultimo decennio (2006-2016) abbia visto l’avvicendarsi di numerose rivoluzioni interne al genere che ne hanno scandito il range temporale e che ne hanno rinnovato e riattivato l’interesse generico. Dalla produzione dell’ultimo film di Gamera, all’introduzione di nomi di grandi autori (come Miike Takashi) nelle serie di Ultraman, arrivando al presente con la creazione di un nuovo Godzilla, dopo una pausa di dodici anni e un esemplare americano discutibile del 2014.

In questi appuntamenti tematici del Cineocchio parleremo proprio di questo decennio cercando di dare un senso ai materiali e fare ordine all’interno di questo florilegio produttivo.

continua …