Voto: 5/10 Titolo originale: El refugio atómico , uscita: 19-09-2025. Stagioni: 1.
Il Rifugio Atomico: la recensione degli 8 episodi della serie spagnola di Netflix
20/09/2025 recensione serie tv El refugio atómico di Gioia Majuna
Un prodotto teso e spettacolare, che affascina con ambientazioni claustrofobiche e colpi di scena, ma resta prigioniero di cliché e melodramma

Il Rifugio Atomico (El refugio atómico) promette(va) molto e mantiene solo in parte. La nuova serie Netflix di Álex Pina ed Esther Martínez Lobato racconta la vicenda di Max Varela (Pau Simón), giovane erede di una famiglia benestante che, dopo aver causato un incidente stradale in cui muore la fidanzata Ane, finisce in carcere. Uscito dopo tre anni, scopre che lo attende un’altra prigione: il “Kimera Underground Park”, rifugio sotterraneo di lusso costruito a centinaia di metri di profondità per proteggere miliardari e politici da una presunta guerra nucleare.
La serie apre come dramma carcerario, deraglia presto nell’apocalisse annunciata, si rifugia nel melodramma familiare e infine tenta l’affondo satirico sulla lotta di classe.
Il risultato è un racconto camaleontico ma diseguale, in cui la continua mutazione di tono non coincide con profondità tematica: le sottotrame tornano a formule consumate, i colpi di scena si prevedono da lontano e i finali sospesi funzionano più come esche che come passi avanti del senso.
L’arco di Max Varela è la spina dorsale: rampollo privilegiato, colpevole di un incidente mortale, espia nel carcere tra abusi e umiliazioni fino alla “rinascita” fisica e morale. È la parte più coerente e credibile della serie, perché fa vibrare un conflitto classico – colpa, punizione, riscatto – senza orpelli. Una volta entrato nel “Kimera Underground Park”, il racconto assume però un respiro claustrofobico interessante: ambienti ipertecnologici, uniformi cromaticamente codificate, controllo capillare del tempo e dei corpi, regole spietate. La messa in scena è ricca e persuasiva; si vede il denaro speso e, spesso, la regia lo usa con efficacia.
Il problema è che il congegno drammaturgico, una volta chiuse le porte del rifugio, preferisce l’urlo al sussurro. I dialoghi scivolano nel feuilleton, i conflitti si accumulano per quantità più che per necessità, la musica “spiega” le emozioni invece di farle nascere. La grande rivelazione sul panico nucleare orchestrato – che vorrebbe tenere insieme esperimento sociale e intrigo – toglie ossigeno all’intuizione migliore della serie: osservare con pazienza come il potere, il denaro e la paura deformino i legami quando il mondo là fuori sembra finito. Una volta svelato il trucco, il racconto rinuncia al gelo dell’incertezza e imbocca il corridoio del già visto.
Sul piano dei personaggi, la scrittura cade nella trappola del “mangiare i ricchi” senza davvero masticarli. I privilegiati sono spesso caricature: arroganti, autocompiaciuti, pronti a comprare tutto. Eppure la serie chiede allo spettatore di empatizzare proprio con loro, mentre i presunti antagonisti – i gestori del rifugio e il loro disegno – restano tratteggiati a grandi linee, con motivazioni più enunciate che indagate. Ne nasce uno sbilanciamento etico: l’odio di classe è scenografico, la critica sociale resta in superficie e il racconto finisce per consolare chi dovrebbe mettere in discussione.
Non mancano comunque i meriti. Il ritmo, pur altalenante, tiene agganciati grazie a una catena fitta di sorprese; alcune dinamiche tra Asia (Alicia Falcó) e Max hanno una tensione sincera; l’interpretazione di Joaquín Furriel dà spessore a un dolore paterno altrimenti schematico; Miren Ibarguren scolpisce una direttrice di rifugio che unisce rigore e facciata di servizio, figura volutamente antipatica ma magnetica. Tuttavia, la durata di 8 episodi dilata ciò che poteva brillare in meno tempo: l’aria, là sotto, si fa presto stantia, e la ripetizione di litigi e ricatti logora la credibilità della minaccia.
Sul versante tematico, Il Rifugio Atomico flirta con questioni enormi – manipolazione di massa, disinformazione, tecnologia che piega la verità, responsabilità del privilegio – ma spesso le riduce a detonatori narrativi. L’Intelligenza Artificiale e il gioco meta “cinema nel cinema” funzionano come specchi deformanti: abbelliscono l’apparenza più di quanto illuminino il cuore politico della storia. E quando arriva la spiegazione finale, invece di spalancare il senso, lo restringe a una morale fin troppo umana e poco memorabile.
Non va dimenticato che Álex Pina ed Esther Martínez Lobato hanno costruito la loro fama internazionale con La casa di carta e poi con Sky Rojo, serie che hanno saputo unire intrattenimento popolare e tensione sociale. Le loro storie nascono spesso da contesti estremi – una rapina, la fuga di tre donne, ora un bunker sotterraneo – per esplorare i rapporti di potere, la fragilità dei legami e il lato oscuro del privilegio. Il Rifugio Atomico si inserisce in questa traiettoria, ma mentre nei lavori precedenti la miscela di adrenalina, critica sociale e personaggi larger than life risultava esplosiva, qui la formula appare più convenzionale e meno incisiva, come se l’ambizione autoriale si fosse piegata al meccanismo del melodramma.
Insomma, se cercate una serie spagnola ad alta tensione, visivamente curata, con ambientazione claustrofobica e colpi di scena a raffica, questa proposta Netflix saprà intrattenervi. Se invece desiderate un vero laboratorio di idee su potere, colpa e disuguaglianza, capace di mordere dove fa male, la scrittura non affonda i denti.
Il Rifugio Atomico resta sospesa tra ambizione e compiacimento: ha la confezione scintillante del grande intrattenimento e la tentazione della parabola sociale, ma rinuncia troppo presto alla complessità. È un rifugio sicuro per emozioni immediate; lo è molto meno per chi cerca un’esplorazione profonda del nostro tempo.
Di seguito trovate il full trailer italiano di Il Rifugio Atomico, su Netflix dal 19 settembre:
© Riproduzione riservata