C'è il regista di Devilman Crybaby dietro alla trasposizione - aggiornata - del romanzo catastrofico Sakyo Komatsu pubblicato nel 1973, un'opera quanto mai attuale, in grado di far riflettere e commuovere
Curiosamente, la gente sembra amare l’idea di fine del mondo. Forse si prova un qualche tipo di conforto nel fuggire verso uno scenario di apocalisse ‘alternativo’ quando il mondo reale ci sembra che stia ruotando fuori dal suo asse. Una delle tendenze più in voga nel sottogenere è vedere alcuni sopravvissuti incontrarsi, formare una famiglia e sopravvivere insieme, sia che si tratti di film, anime o videogiochi. La serie Japan Sinks: 2020 – da poco nel catalogo di Netflix – si sforza di essere diverso per il suo ricorrere a prospettive mutevoli e per la quantità di terreno che copre.
Basato su un romanzo dello scrittore Sakyo Komatsu del 1973, Japan Sinks: 2020 dipinge un’immagine vivida di una nazione in grande pericolo mentre il terreno su cui si distende inizia letteralmente a cedere. La serie si prende brillantemente il suo tempo per mostrare lentamente come i primi segni di questo disastro colpiscano in modo univoco le persone in tutto il Giappone. È un ritmo confortevole e pacato, consentito dal fatto che si tratta di un prodotto seriale e non di un film. È facile capire perché Masaaki Yuasa fosse interessato a questo progetto destinato alla televisione. C’è un’autentica tensione che nasce dall’ingenuità iniziale di tutti quanti verso l’ennesimo disastro e per come la triste realtà della loro situazione sprofondi gradualmente e infetti ciascuno dei personaggi come un virus.
È anche davvero spaventosa quando le persone iniziano finalmente a percepire la devastazione di questo incidente. Masaaki Yuasa ha raccontato alcune storie fantastiche in passato, ma parte di ciò che rende Japan Sinks: 2020 così potente è che non sembra molto lontano dalla nostra realtà. L’idea alla base è piuttosto credibile e, di conseguenza, ne esce fuori una delle storie di ‘disastro’ più riuscite ed emotive della storia recente. Sembra quasi un’opera di Stephen King in termini di portata e di numerosità del cast di attori coinvolti. Japan Sinks: 2020 dimostra che non esiste un mostro più spaventoso del pianeta Terra stesso e nessuna forza più potente dello spirito umano.
Allo stesso tempo, è affascinante vedere il livello di stress inasprirsi all’interno della famiglia Mutoh fino a consumarne i membri in modi contrastanti mentre il gruppetto affronta vari cambiamenti. L’episodio più bello di tutta la serie rallenta le cose e permette ad Ayumu e Go di connettersi davvero come fratelli e di ricordare momenti più ‘semplici’ dopo tutto quello che hanno vissuto. È brutale vedere questi legami sfilacciarsi, ma sono tutti momenti profondamente onesti e mostrano il dolore del dispiacere. Japan Sinks: 2020 parla decisamente dell’idea che la bellezza possa nascere dalla distruzione.
La serie rimbalza tra l’ottimismo e il traumatico, ma evidenzia anche quanto sottile sia la linea tra questi due estremi. Sembra incredibilmente appropriata per questi tempi che viviamo, anche se deve guadare del materiale deprimente e straziante per poter raggiungere i suoi momenti più luminosi. Oltre alle dinamiche famigliari, i Mutoh accolgono un numero variabile di persone all’interno del loro gruppo intanto che si spostano attraverso il Giappone in rovine. Questi ‘ospiti’ che vanno e vengono aggiungono varietà e suspense al mix, mentre la famiglia Mutoh viene messa in posizioni talvolta complicate.
Masaaki Yuasa è noto per aver infranto le convenzioni e abbracciato spesso il surreale, ma è davvero efficace vedere queste aree raffigurate in una straordinaria gloria prima che vengano rovinate dalla devastazione. Aiuta il pubblico ad apprezzare ciò che si perde a un livello più profondo rispetto ai meri momenti della storia e alla sensazionale premessa. Se Japan Sinks: 2020 è sicuramente una delle opere più ‘controllate’ del regista in termini di stile artistico, abbiamo però alcune piccole esplosioni stilistiche in certi punti chiave, come il modo in cui la vicenda assuma occasionalmente l’estetica di un videogioco quando l’immaginazione di Go prende la meglio su lui.
Comunque sia, Japan Sinks: 2020 non dimentica che si tratta di una ‘disaster series’. Ci sono molti punti che sembrano usciti da un horror, mentre le minacce iniziano a crescere e diventare più intense. Quasi come un ‘effetto domino dei catastrofi’ o una sorta di maledizione biblica. Subito dopo che tutti si mostrano grati di essere scampati a un evento catastrofico, i suoi effetti causali ambientali scateneranno un altro incidente che li metterà ulteriormente alla prova. Rende davvero esplicitò quanto sia terrificante che il nostro pianeta possa essere tanto fragile e imprevedibile.
In definitiva, Japan Sink: 2020 è un viaggio assolutamente soddisfacente sia preso come opera ‘disaster’ che come racconto drammatico delle disavventure di una famiglia. Lungo la strada trova anche modi per usare elementi come il freestyle o il codice Morse come strumenti catartici e arriva a una conclusione in cui è difficile non trovarsi commossi. Forse non è il miglior lavoro di Masaaki Yuasa, ma di questi tempi sembra un progetto incredibilmente appropriato. È pieno di cuore e innovazione, senza contare che affronta domande che in molti si staranno facendo in questo momento storico.
Di seguito il trailer internazionale (con sottotitoli italiani) di Japan Sinks: 2020, nel catalogo di Netflix dal 9 luglio: