Lo show proveniente dal paese del Sud-est asiatico ha ben poco di 'originale': l'entusiasmo è apprezzabile, ma la resa è frustrante
Prima di addentrarci nel commento della stagione 1 di The Stranded, va fatta una doverosa premessa. Per quanto a molti probabilmente piacerebbe ricreare – a quasi 10 anni dalla sua conclusione – un fenomeno televisivo seriale come Lost, è quasi sicuro che ciò non avverrà mai. Netflix ci ha provato – malamente – con la recente The I-Land (la nostra recensione) e ora, non paga, raddoppia con questa serie ‘originale’ (mai definizione è stata più inappropriata …) thailandese che cerca di stuzzicare l’immaginazione dei fan nostalgici provando a farli appassionare alle disavventure di nuovi personaggi scaraventati su un’isola deserta dove accadono cose apparentemente inspiegabili e soprannaturali.
La storia generale ruota attorno a un gruppo di integerrimi studenti thailandesi il giorno della laurea, pronti a lasciare l’isola appartata su cui si trovano, dove è presente un unico istituto e ben poco altro nell’area circostante. Tuttavia, quando uno tsunami si abbatte sulle coste alla vigilia della loro partenza, ciò che ne segue è un racconto che salta avanti nel tempo di un mese, mentre i sopravvissuti fanno gruppo e si rendono conto che sono da soli e che non sta arrivando nessuno a soccorrerli.
Con un’anomala nebbia nella giungla, un arrivo misterioso che appare nel terzo episodio (The Code), esplosioni soniche e uno strano sistema di caverne che potrebbe celare la chiave di tutto, The Stranded getta un po’ di tutto nella mischia, incluso un lavello, per provare a far breccia negli abbonati curiosi. Ma se da una parte vanno lodati gli sforzi di mettere in piedi uno show di questo tipo in Thailandia, dall’altra a questo enorme entusiasmo produttivo fa da contraltare una mancanza di coerenza eccessiva, che in definitiva non fa che danneggiare l’integrità della serie.
Visivamente, The Stranded è assolutamente sorprendente. L’isola thailandese su cui si sono svolte le riprese è perfetta e la fotografia ne sfrutta adeguatamente i punti di forza. Il montaggio e l’uso dei flashback nel corso dei 7 episodi è invece uno egli altri aspetti mutuati sfacciatamente da Lost, come pure gli effetti sonori adottati.
I protagonisti sono investiti di archi narrativi sostanzialmente decenti, che si lasciano seguire fino al finale, anche se alcune delle decisioni illogiche, prese in particolare da Anan (Chutawut Phatrakampol) e Arisa (Chaleeda Gilbert), rischiano di rovinare tutto. Senza rivelare molto di ciò che accade, basti dire che i personaggi sono vittime di follie di scrittura che li portano a compiere azioni completamente irrazionali e insensate. In un episodio un certo personaggio è sano e perfettamente felice, nel successivo ‘impazzisce’ e si unisce alla folla inferocita. Questo tipo di comportamenti repentini, illogici e incoerenti lasciano quindi attoniti, e non è d’altronde d’aiuto il fatto che non agli spettatori non venga offerta alcuna risposta alle domande poste durante la serie.
Seppure coi dovuti distinguo, il rischio qui – non bastasse già l’essere molti spettatori restii a prodotti asiatici – è che un passaparola che evidenzi tali limiti porti a distruggere l’interesse per la probabile seconda stagione.
Concludendo, con un uso talvolta approssimativo della CGI, quasi nessuna costruzione della tensione, una fretta immotivata di gettarci nel grande mistero dell’isola e – soprattutto – una frustrante mancanza di risposte, The Stranded è un prodotto difficile da raccomandare, specie a chi, a fronte di un’offerta massiccia di contenuti, non abbia intere giornate per bighellonare dietro a ogni nuovo titolo con un trailer intrigante che venga messo a catalogo.
Di seguito il trailer internazionale (con sottotitoli italiani) di The Stranded, nel catalogo di Netflix dal 15 novembre: