Titolo originale: The Rain , uscita: 04-05-2018. Stagioni: 3.
Recensione (stagione 1) | The Rain di J. T. Mosholt, E. T. Jacobsen e C. Potalivo
07/05/2018 recensione serie tv The Rain di Sabrina Crivelli
La show danese originale di Netflix si fa apprezzare per alcuni momenti interessanti e anche insoliti sparsi nei suoi 8 episodi, ma non trova adeguata protezione da una pioggia virulenta di cliché e situazioni derivative e assurde
Era il 2002 quando un manipolo di infetti ipercinetici e rabbiosi faceva la propria comparsa in 28 giorni dopo (28 Days Later) di Danny Boyle e una schiera di violenti zombi (assai dissimili dai predecessori romeriani) aggrediva Milla Jovovich e soci nei corridoi sotterranei dell’Alveare in Resident Evil di Paul W. S. Anderson, lasciando una traccia indelebile nell’immaginario collettivo. Certo, in precedenza si era già paventata sul grande schermo l’estinzione della razza umana per il diffondersi di morbi letali, basti pensare a L’ultimo uomo della Terra (The Last Man on Earth, 1964) di Ubaldo Ragona / Sidney Salkow o alla miniserie TV L’ombra dello scorpione (The Stand) di Mick Garris, ambedue tratti da originali cartacei, rispettivamente Io sono leggenda di Richard Matheson del 1954 e il best seller di Stephen King pubblicato del 1978.
Tuttavia, dai primi anni 2000 lo scenario post apocalittico da pandemia – con o senza zombie – ha avuto un seguito sempre più nutrito sul grande e piccolo schermo passando il testimone a un nutrito stuolo di successori, primo tra tutti The Walking Dead. Così, a distanza di più di 15 anni, quando molto è già stato esplorato in termini di possibili sviluppi narrativi e tematici, arriva The Rain (dopo la nebbia di The Fog, anche la pioggia doveva pur arrivare ad avere un giorno o l’altro una connotazione angosciante), serie originale Netflix danese in 8 episodi che ha debutta sulla piattaforma di streaming il 4 maggio ed è allora comprensibile chiedersi cosa possa dire di nuovo l’ennesima filiazione del survival horror fantascientifico (senza non morti in questo caso).
Non facile è dare un giudizio netto della serie che, senza dubbio, è affetta da un’incisiva propensione ai cliché, che mette in campo in ogni loro possibile declinazione, risultando in molti passaggi fastidiosamente scontata nell’evoluzione degli eventi e nella descrizione dei personaggi. L’epicentro della narrazione, va concesso, è un’idea quantomeno interessante: non più il morso di un infetto, ma una pioggia letale traghetta da uno sventurato all’altro un misterioso virus, che uccide sul colpo in maniera purulenta e viene trasmesso anche dagli animali, i quali ne sono portatori sani. L’incipit è subito ad effetto; Simone (Alba August) è con alcuni coetanei e si appresta a iniziare un ripasso collettivo quando in preda all’angoscia il padre, Frederik (Lars Simonsen), irrompe, la prende per il braccio, la trascina in macchina urlando che non c’è tempo per le spiegazioni e si lancia verso una direzione ignota a gran velocità.
Per strada s’imbattono in un incidente, sembra (il fatto è un po’ troppo abbozzato) che il panico dilaghi, ma l’uomo tira fuori a viva forza i suoi cari e li conduce tutti in un bunker in mezzo alla boscaglia prima che … inizi a piovere! Messi tutti al sicura, discute agitato con la moglie Ellen (Iben Hjejle), poi indossa una tuta di plastica isolante e ritorna all’esterno asserendo che deve fare una cosa importantissima. Non solo, per una sfortunata concatenazione Simone e il fratellino Rasmus (Lucas Lynggaard Tønnesen), che viene del genitore definito la “chiave di tutto”, rimangono da soli nel rifugio blindato, dove restano per ben sei anni!! Poi le provviste finiscono, un gruppo si sconosciuti non proprio ben intenzionati fa irruzione dentro e sono costretti a tornare nel mondo esterno, che ovviamente sarà assai cambiato, alla ricerca del padre e di risposte…
Il primo episodio di The Rain lascia piuttosto spaesati e dubbiosi. Eminentemente introduttivo, sono più che altro poste le basi per i successivi sviluppi, dall’arrivo nel bunker, alla scoperta di altre simili strutture segnalate su un iPad ad uopo, al mostrarci in maniera decisamente raffazzonata come i due ragazzini siano riusciti tranquillamente a sopravvivere e prendersi cura di sé per più di un lustro, imprigionati sotto terra e lasciati a loro stessi. Molti sono i dettagli che a dir poco perplimono: oltre alle faccende di ordinaria amministrazione, come mantenere pulito il loco, cucinare, gestire un bambino, sarebbero al limite delle possibilità di un’adolescente decisamente scossa. Tuttavia, la giovane dalla preparazione tecnica stupefacente (da dove discenda la conoscenza pari a quella di un ingegnere non c’è dato saperlo), oltre ad ottima educatrice che sa perfettamente come affrontare la depressione infantile, riesce a gestire il complesso funzionamento dell’iper-tecnologico luogo dove si trovano.
Un esempio tra tutti? Il cambio dei filtri dell’avveniristico impianto di purificazione senza esitazione e senza alcuna formazione. A ciò si somma che la reazione emotiva dei due superstiti a plurime gravi perdite e sventure è superficiale e piatta come quella di un pesce rosso alla vista del coabitante di bacinella che finisce a pinne all’aria. Il tutto unito a inserti musicali con balletti e ammiccamenti patetici degni di un pigiama party da teen drama della peggior qualità, in cui peraltro, a coronamento, ci viene mostrata la crescita in flash forward dei due protagonisti. Arrivati a stento alla fine dell’episodio 1, lo spettatore avvezzo a questo tipo serie televisive propende per un immediato abbandono della visione, soprattutto visto che oltre alle molteplici stramberie, in generale pare un mix tra tono lacrimevole e buonista e cliché soliti da fine del mondo. Quindi vale la pena continuare?
A fornire una parziale deroga al durissimo primo impatto è il secondo episodio, in cui si assiste a un qualche vago miglioramento, che, seppur non faccia strabuzzare gli occhi dall’entusiasmo, introduce qualche speranza in più. Certo, alcuni stereotipi sono procrastinati, tra cui i consueti rigurgiti di coscienza in piena crisi sanitaria, come quando un soldato lascia passare una donna macilenta e probabilmente infetta da un posto di blocco per il contenimento dell’epidemia perché tiene in braccio un neonato (solite scenette ad hoc per smuovere gli animi insomma). Oppure, quasi nessuno pare rendersi conto della pericolosità di agire come se il mondo fosse lo stesso di prima, a parte il poco compassionevole, ma saggio, Martin (Mikkel Boe Følsgaard), il quale entra a viva forza nel bunker con il suo gruppo in cerca di viveri causando la forzata uscita di Simone e Rasmus all’esterno.
Insomma, in termini di escamotage ritriti per portare avanti la trama e creare accessi di pathos non ci si risparmia (ma non è possibile indulgere nei particolari per evitare di rivelare troppo). C’è inoltre la peregrinazione del manipolo di sopravvissuti tra mille pericoli, motivo ormai radicato nel filone post apocalittico (TWD docet…) e le dinamiche sono sempre quelle. Tuttavia, comincia a emergere qua e là qualche spunto che potrebbe dar vita a uno sviluppo meno ovvio, o quantomeno un attimo più ritmato. In generale succede qualcosa e grazie a una serie di digressioni e si fa strada uno dei pochi interrogativi sensati: da dove nasce la pioggia virulenta e come faceva Frederik a sapere che cosa sarebbe successo? Cosa c’entra la società per cui lavora? Tutto il mondo è affetto dalla medesima pestilenza di matrice meteorologica? Nel complesso ci viene dato un motivo per proseguire nella visione.
Il terzo episodio, in ultimo (la preview, come detto, si ferma qui), segna una netta e felice evoluzione. I nuovi arrivati, oltre a Martin, il capogruppo, Patric (Lukas Løkken), Lea (Jessica Dinnage), Jean (Sonny Lindberg) e Beatrice (Angela Bundalovic) conferiscono un po’ di auspicabile varietà allo spettro di psicologie e tipi umani messi in scena. Inoltre, sempre grazie a una serie di flashback i suddetti riescono a ricevere un qualche approfondimento, che ne spiega in parte reazioni.
Certo, sussistono alcuni fastidiosi e illogici atteggiamenti, come il fare una merenda con le proprie provviste in un fast food abbandonato giunti nel coacervo d’ogni pericolo, la grande città, oppure il soccorrere un – forse- orfano malandato con profusione di baci e abbracci, incorrendo nel rischio non solo di essere infettati, ma anche di incontrare i suoi genitori affamati … C’è da concedere al trio di creatori, Jannik Tai Mosholt, Esben Toft Jacobsen e Christian Potalivo, che quantomeno, ogni volta che un personaggio fa una palese cavolata, le sue azioni hanno le tragiche conseguenze che ci si aspetta, riuscendo a mantenere qualche barlume di verosimiglianza. E poi ci sono svolte non scontate con tanto di accoltellamenti.
Il quarto episodio di The Rain indulge nei ricordi di uno dei sopravvissuti, Jean, calcando parecchio la mano sul sentimento. Da una parte allora abbiamo il presente in cui, dopo l’attraversamento della città, il gruppo ha necessità di trovare un medico al più presto (non si può specificare oltre per non rovinare le già rare sorprese, vista la previdibilità della trama). Con la solita inspiegabile abilità tecnologica, Simone s’impossessa di un futuristico drone e, secondo un macchinoso e oscuro processo individua la residenza di un dottore, che li aiuta appena lo stretto necessario. Ovviamente per dare un tocco di estro in più quest’ultimo ha dei trascorsi con i nuovi arrivati e cela progetti non proprio pacifici.
Il colpo di scena – o quello che dovrebbe essere tale – è però limpido come l’acqua (piovana). Intanto, tra una discussione e l’altra, si aprono flashback su Jean, su eventi subito successivi alla comparsa dell’apocalittica pioggia, che pesano ovviamente sulla sua coscienza. D’altro canto, a partire da questo episodio, verranno esplorati gli infelici pregressi dei principali personaggi che, a quanto pare, subito prima dell’ecatombe meteorologica, non se la passavano bene … Infine, a partire da questo punto della serie, inizia ad emergere con una certa intensità un intrigo amoroso da teen drama adolescenziale, il cui epicentro è ovviamente Simone, sebbene vista la fastidiosità che la connota non si capisce l’improvvisa infatuazione per lei di uno dei protagonisti, che di conseguenza repentinamente – e stupidamente – inizia a operare da buon samaritano, essendone del tutto soggiogato. Ovviamente, seguono piccole gelosie e scaramucce adolescenziali.
Nel quinto episodio viene rispolverato un altro dei cliché più impiegato nei survival con deriva apocalittica: l’ultima oasi di civiltà che nasconde però un fosco segreto. Nelle sue molteplici declinazioni, la comunità di superstiti che si è efficientemente riorganizzata compare un po’ ovunque, pensate ad Alexandria in The Walking Dead o all’avamposto militare in una villa sperduta in cui si imbattono Cillian Murphy e seguito in 28 giorni dopo. L’estetica più variare notevolmente, gli abitanti possono essere i più disperati, ma chi ha una qualche dimestichezza è consapevole che una cosa accomuna tutti questi luoghi: dietro la promessa di salvezza c’è sempre la fregatura! Non serve nemmeno evidenziarlo, The Rain non è un’eccezione.
Così assistiamo alle dinamiche che SEMPRE si vengono a sviluppare in questi casi, con tutti giulivi e fiduciosi eccetto uno, il “sospettoso impenitente”, che viene trattato un po’ come il folle visionario, ma che si rivela in ultimo l’unico saggio. D’altra parte, se una regola deve essere seguita sempre, e sottolineiamo sempre, è questa: mai fidarsi di nessuno! Tra una discussione, un’indagine e un colpo di scena scontato, anche qui non ci facciamo mancare la nostra dose quotidiana dramma interiore, generosamente regalatoci dalle memorie di Lea, coinvolta subito prima della pioggia in un party con tanto di scabrosi ed erotici sviluppi. Vediamo dunque la ragazza dilagnata da vergogna, rimorso e religiosità.
Nel sesto episodio, il tono adolescenziale in stile Piccoli problemi di cuore durante l’apocalisse danese torna a farsi sentire con impeto. Il gioco dello scambio delle coppie, con alterchi, scenatucole di gelosia e amoreggiamenti clandestini giunge all’apice quando il gruppo si separa in due. In tutto ciò ci concentriamo su Patric, il cattivo non cattivo che si sente escluso e non amato, ma che poi si ravvederà e farà ammenda. Lo seguiamo nei suoi squallidi trascorsi, respinto dal padre, dalla fidanzata e dal datore di lavoro.
Insomma, pressoché un reietto, almeno finché il caos non si diffonde con il morbo e lui finalmente crede di essersi fatto degli amici, ma le incomprensioni non mancheranno … Intanto che assistiamo alle querelle da scolarette isteriche, delle indefinite milizie, con cui i protagonisti avevano avuto uno scontro incombono. Da notarsi una delle immagini più riuscite dell’intera prima stagione di The Rain (peraltro mostrata nel trailer) in cui vediamo sulla spiaggia disseminati centinaia di cadaveri, mentre all’orizzonte un nuvolaglia nera si staglia inquietante.
Giunti quasi al finale, al penultimo settimo episodio, vengono in qualche maniera tirate le somme e finalmente, quanto inaspettatamente, fa la sua comparsa il tanto vagheggiato padre. Siamo in una base medica, quella della funesta Apollon, perfida casa farmaceutica in stile Umbrella direttamente connessa con quanto è successo.
Quivi Rasmus e Simone si ricongiungono finalmente con l’ambiguo e decisamente poco presente Frederik, che gestisce giustamente la struttura e le turpitudini che sono condotte al suo interno. E’ scontato, il genitore degenere avrà i suoi buoni motivi per essersi comportato in tale maniera, combattuto tra paterna premura e forze di causa maggiore impedienti. Giusto per dare un tocco in più di tragedia all’insieme. Ovvio un trabocchetto teso dall’equipe medica ai protagonisti che definirà una svolta nella trama …
In ultimo, l’improbabile ottavo episodio si alterna tra inspiegabili scenate per evitare tamponi salivari, stermini inaspettati e voltafaccia repentini – del tipo faccio di tutto per salvarlo fino a tre minuti prima e poi d’improvviso … -. A ciò si sommano spezzoni presi pari pari dal primo episodio, come se ce ne fossero 100 e lo spettatore smemorato avesse bisogno di un riepilogo / spigone degli sviluppi. Non contenti, a ciò si somma un cliffhanger per attaccare in coda una seconda stagione che lascia del tutto scorati.
In coclusione, se si dovesse dare una definizione alla prima stagione di The Rain, sarebbe su per giù una post-apocalittica fiera delle banalità, in cui di tanto in tanto assistiamo a sorprendenti momenti di estro per nulla scontati, che lasciando trasparire la provenienza danese. E’ particolarmente esaltante i fatto che muoia chi deve morire e, nonostante la petulanza dell’impianto generale, tocchi di auspicabile scabrosità emergano qua e là in superficie. Sarà abbastanza per rivalutare l’insieme? A nostro avviso no, ma chissà, i futuri sviluppi potrebbero farci ravvedere. Sicuramente i trailer lo faranno.
Di seguito intanto trovate il trailer ufficiale in italiano della serie, nel catalogo Netflix dal 4 maggio:
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