Voto: 5/10 Titolo originale: American Carnage , uscita: 15-07-2022. Regista: Diego Hallivis.
American Carnage: la recensione della horror satirico di Diego Hallivis
07/10/2025 recensione film American Carnage di Gioia Majuna
Jenna Ortega è tra i protagonisti di un'opera che tenta di unire satira politica e horror sociale, ma la sua denuncia sull’immigrazione e l’America di Trump si smarrisce presto

American Carnage parte con un’idea potente e attuale: trasformare l’isteria politica dell’era dei decreti anti-immigrazione in una favola nera su identità, potere e sfruttamento. L’apertura, tra montaggi mediatici e un governatore che criminalizza perfino i figli dei migranti, promette una satira tagliente.
Ma, appena il racconto sposta i giovani protagonisti in una casa di riposo “modello”, la tensione civile si sfilaccia: la storia devia verso esperimenti segreti, contorsioni da incubo, iniezioni al collo e perfino accenni di antropofagia. Il bersaglio politico, nitido all’inizio, si diluisce in una giostra di colpi di scena che riduce l’urgenza morale a puro pretesto per un accumulo di trovate macabre.
Diego Hallivis dirige con buone intenzioni ma mano incerta. Il film oscilla tra denuncia e spettacolo grottesco senza trovare una misura: i tempi si allungano, l’indagine dei ragazzi procede per indizi didascalici, l’allegoria si fa spiegone. Laddove un racconto di reclusione e abuso avrebbe richiesto sguardo, sottrazione e precisione, arrivano gag scomposte e figure stereotipate (il buffone seduttore, il paranoico, la militante) che alleggeriscono nel punto sbagliato. Il trucco e gli effetti, pur inventivi a tratti, tradiscono il budget nella mezz’ora finale: la messinscena chiede il perturbante, ottiene il ridicolo involontario.
Eppure non tutto affonda. Jorge Lendeborg Jr. regge l’asse emotivo con naturalezza; Jenna Ortega, pur penalizzata da dialoghi schematici, scolpisce la presenza più solida del gruppo; Eric Dane offre un direttore carismatico e viscido quanto basta.
La fotografia e la scenografia costruiscono corridoi e sale dall’aria insieme accogliente e minacciosa; alcune immagini restano (il “passo di ragno” di un degente, un corridoio illuminato a impulsi) e la tessitura culturale ispano-latina dona al contesto un’identità non di maniera. Ma sono lampi in un impianto che confonde bersaglio e mezzo: invece di incalzare la politica della paura, la replica con un eccesso di mostri, finendo per anestetizzare l’indignazione.
Il confronto nasce spontaneo con il cinema che ha saputo piegare il fantastico alla critica sociale: lì il meccanismo metaforico restava stretto al tema; qui l’allegoria si slabbra. La stessa idea centrale – corpi giovani usati come materia prima da un sistema che si finge benefico – avrebbe potuto sostenere un racconto compatto, claustrofobico, senza scivolare in svolte strampalate.
Il risultato è un prodotto che evita l’equidistanza opportunista (non “bilancia” la xenofobia con caricature progressiste), ma spreca la sua chiarezza etica in una struttura dispersiva: quando dovrebbe stringere, divaga; quando dovrebbe colpire, ammicca; quando finalmente osa, è tardi.
American Carnage resta così un’occasione mancata: forte nelle premesse, debole nel passo, stimolante a tratti ma incapace di far convergere satira, terrore e melodramma in un disegno coerente. Si guarda senza noia grazie al cast e a qualche intuizione visiva, ma lascia la sensazione di un film che ha detto di più nei primi dieci minuti che nell’intero secondo atto. Consigliato ai curiosi del cinema politico recente e agli appassionati di Jenna Ortega; per tutti gli altri, un promemoria: la paura si combatte con lucidità, non con l’iperbole.
Di seguito trovate il trailer internazionale di American Carnage:
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