Voto: 7/10 Titolo originale: 김씨 표류기 , uscita: 14-05-2009. Regista: Lee Hae-jun.
Castaway on the Moon | La recensione del film di Lee Hae-jun
01/04/2020 recensione film Castaway on the Moon di Arianna Screpanti
Nel 2009, Jeong Jae-yeong e Jung Ryeo-won erano i protagonisti di una stralunata e delicata avventura romantica ambientata a Seul
Delle serie “quali film vedere per rallegrare la quarantena”, il mio pensiero vola subito a Castaway on the moon (Kimssi pyoryugi), film coreano del 2009, però, ahimè, molto adatto a questo periodo di standby globale e ideale per spunti di riflessione in un momento in cui tutti stiamo rielaborando il nostro rapporto con il tempo.
Dopo aver scelto il transgenderismo come tematica del suo apprezzato Like a virgin (2006), Lee Hae-jun decide con quest’opera di regalarci un’altra comedy-drama, che in realtà racchiude in sé più generi, riuscendo così a soddisfare anche i gusti più particolari.
Questo vero e proprio gioiello cinematografico made in Sud Corea è stato anche presentato nel 2010 al Far East Film Festival di Udine, dove ha vinto il premio principale, ed è poi arrivato senza passare dai cinema italiani direttamente sul piccolo schermo grazie a Rai 4, che lo ha trasmesso in prima visione.
La trama si snoda attraverso le vicende dei due unici protagonisti e le loro vite, molto diverse ma alla fine accomunate dallo stesso obiettivo, quello di ritrovare un equilibrio con il mondo e un contatto sano con la realtà, che entrambi non hanno mai avuto o hanno perso da tempo.
Jeong Jae-yeong, attore che si è aggiudicato il premio per la migliore interpretazione maschile in Right Here, Wrong Then al Festival di Locarno, si cala perfettamente nel ruolo a tratti bipolare di Kim Seung-geun, descrivendo con la sua recitazione tragicomica il cambiamento radicale di un disperato ragazzo di città in giacca e cravatta in un Robinson Crusoe del ventunesimo secolo.
Castaway on the Moon inizia col tentato suicidio di Kim, che, finito sul lastrico, cerca di porre fine alla sua vita gettandosi da un ponte sul fiume Han, a Seul, come atto estremo per aver perso tutto, tutte le sicurezze che fino al giorno prima gli fanno credere di avere una vita “normale”. Perdere il lavoro e l’amore è vissuto da Kim come perdita della dignità, perdita di quelle certezze che la società contemporanea ci inculca sin da piccoli, con schemi comportamentali e modelli sociali che si ripetono e finiscono poi per essere inglobati nel nostro modo di essere e di vivere, in cui tutto si riduce ad avere successo, che si traduce in avere soldi, che si traduce in potersi permettere una vita e una famiglia perfetta.
Dopo essere approdato su un isolotto disabitato vicino alla capitale sudcoreana, il ragazzo inizialmente si trova in uno stato confusionale, che lo fa cadere in una sorta di ansia scatenata dall’impotenza di non poter fare nulla. Si aggrappa quindi a soluzioni rapide ma altrettanto inefficaci, come usare il suo cellulare, ultimo baluardo di modernità che ha tra le mani, ma che lo abbandona presto scaricandosi e mostrando al povero protagonista la vacua inutilità della tecnologia e la scarsa solidarietà delle persone con cui ha tentato un contatto.
Già dalle prime scene di Castaway on the Moon quindi, il regista cerca di creare un rapporto di immedesimazione tra lo spettatore e il protagonista, poiché è evidente che la dipendenza dalla tecnologia e la relativa perdita di svariate abilità manuali e tecniche siano problematiche che suonano familiari un po’ a tutti.
La storia prosegue e si sviluppa infatti proprio intorno a questa tematica.
Esempio perfetto di essere ormai più urbano che umano, totalmente contaminato dalla metropoli in cui vive, Kim fallisce nel suo tentativo iniziale di raggiungere la città nuotando e rischia quasi di affogare, pericolo che viene descritto da Lee Hae-jun come metafora (non sarà l’unica che utilizza) della sua vita.
Bellissima la scena in cui il regista, grazie alla tecnica del flashback, rievoca l’imbarazzante disperazione già passata da Kim, da bambino e non solo, nel non riuscire a nuotare in varie situazioni. L’attore coreano è da apprezzare soprattutto per il suo modo bizzarro e stravagante di interpretare il processo di rinascita, di crescita e di miglioramento del giovane.
Un nuovo Kim sempre più barbuto, ogni giorno più selvaggio e trasformato anche nell’aspetto, si ingegna a coltivare un orto da lui stesso creato con il guano degli uccelli che sorvolano sulla sua testa. È evidente che anche questa scena crea una specie di filo magico tra l’attore e lo spettatore. Assistere al cambiamento di Kim, infatti, suscita un senso di soddisfazione, poiché ci si rende conto che la mediocrità dell’uomo moderno può essere sconfitta grazie ad una buona dose di volontà e di astuzia.
Altrettanto metaforica la parte in cui Kim, usando semplici maniere di coltivazione, riesce a prepararsi un buonissimo ramen. È impossibile che, vedendo questa scena di Castaway on the Moon, non si resti coinvolti sensorialmente e emotivamente. Il tipico piatto asiatico non solo è bello da vedere, ma pensare che ogni singolo ingrediente sia stato prodotto dall’ingegnoso protagonista non può che strappare allo spettatore un sorriso e un senso di compiacimento, misto a un pizzico di invidia.
Kim, piano piano, quindi, e solo grazie alla sua volontà, ha tutto quello che gli serve per sopravvivere; neanche il contatto con le persone gli manca, poiché si accontenta di parlare con il suo amico spaventapasseri, che ha umanizzato con il suo elegante vestito da riunione. Fin quando, facendo il solito giretto di perlustrazione, non si imbatte in una misteriosa bottiglia di vetro con un semplice messaggio all’interno.
Il mittente è Kim Jung-yeon (Jung Ryeo-won), una giovane ragazza che dalla sua stanza e grazie al suo teleobiettivo con il quale fotografa la Luna, è l’unica persona che si accorge del ragazzo e cerca un contatto con un sistema di comunicazione d’altri tempi. Ho apprezzato molto la scelta del regista di introdurre in un film tendenzialmente comico tematiche sociali molto delicate, come quella della ‘sindrome da hikikomori’, che colpisce persone le quali scelgono consapevolmente di isolarsi e stare in disparte dalla realtà, preferendo a questa la virtualità degli strumenti tecnologici.
Personalmente, consiglierei la visione di Castaway on the Moon a tutti almeno una volta nella vita, sia perché fa bene al cuore e all’anima, ma soprattutto perché lo reputo perfetto in questo periodo di disagio mondiale; 120 minuti che possono aiutare a risollevare gli animi appassiti, a tornare a sognare e soprattutto sorridere.
Di seguito il trailer italiano di Castaway on the Moon:
© Riproduzione riservata