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Voto: 6.5/10 Titolo originale: はたらく細胞 , uscita: 13-12-2024. Regista: Hideki Takeuchi.

Cells at work!, la recensione del film live-action di Hideki Takeuchi (su Netflix)

13/06/2025 recensione film di William Maga

Un'opera che riesce a sorprendere nel panorama degli adatamenti con una storia umana, visivamente brillante e sorprendentemente toccante

Cells at Work! (2024) film

Nel contesto saturo e spesso fallimentare dei live-action tratti da anime e manga, Cells at Work! si impone come un’eccezione rara e preziosa, un’opera capace non solo di tradurre in immagini reali la vivacità del manga di Akane Shimizu, ma anche di rielaborarne l’impianto con originalità e coerenza cinematografica.

A differenza di adattamenti come Bleach, che si riduce a un prologo tronco, The Promised Neverland, tagliato all’osso al punto da perdere ogni tensione narrativa, o Dragonball Evolution, ormai simbolo dell’errore culturale e creativo, il film diretto da Hideki Takeuchi – che ricorda inevitabilmente Esplorando il corpo umano – riesce a restituire l’universo cellulare con ironia, pathos e un sorprendente senso della misura.

La scelta di non limitarsi a trasporre fedelmente una singola serie, ma di fondere Cells at Work! con il suo spin-off maturo Code Black, arricchita da un intreccio umano completamente inedito, si rivela una strategia narrativa vincente.

I protagonisti umani Niko e Shigeru Urushizaki, figlia adolescente e padre in decadenza fisica, non sono solo ospiti passivi delle cellule, ma diventano il vero cuore pulsante dell’opera, incarnazioni viventi delle conseguenze di uno stile di vita sano o autodistruttivo.

Cells at Work! (2024) film posterQuesta doppia rappresentazione corporea consente una riflessione metaforica e visiva sul tema della responsabilità, dell’eredità familiare e del destino biologico. Mentre il corpo di Niko è un regno colorato e armonico, quello di Shigeru è una distopia fumosa, popolata da cellule esauste, malattie croniche e degenerazioni visive che richiamano tanto la fantascienza cyberpunk quanto il realismo sociale giapponese.

Tuttavia, nonostante la brillante umanizzazione dei contesti, il film mantiene intatta una struttura ideologica latente presente sin dal manga: una società dove ogni individuo — ogni cellula — esiste solo in funzione del lavoro. L’identità è determinata dalla funzione assegnata alla nascita, ogni deviazione è sospetta e chi non è utile viene eliminato per il bene collettivo.

Questo modello totalizzante, apparentemente nobile e ordinato, è in realtà una metafora inquietante del capitalismo iperfunzionale contemporaneo, dove il valore dell’individuo si misura esclusivamente attraverso la produttività. Il film, pur sfiorando in alcuni momenti questa consapevolezza, non riesce mai a portarla in primo piano: le crisi di identità delle cellule vengono risolte con rapidità e retorica motivazionale, ogni tensione tra individualità e funzione viene riassorbita nella logica della cooperazione.

Il parallelismo con teorie come quelle di Foucault sulla biopolitica, di Althusser sull’interpellazione ideologica, o di Byung-Chul Han sull’alienazione da prestazione, potrebbe arricchire la lettura critica del film, anche se rimane implicito.

Ciò non toglie che Cells at Work! riesca ad andare oltre il semplice intrattenimento educativo: le battaglie cellulari, rappresentate con estetica tokusatsu e coreografie dinamiche, si caricano di reale tensione emotiva perché in gioco non c’è più solo la metafora della salute, ma la sopravvivenza di due persone che impariamo ad amare.

A livello tecnico, la regia di Takeuchi dimostra una rara padronanza dell’equilibrio tra artifizio fumettistico e verosimiglianza visiva: le scenografie corporee, tra CGI e effetti pratici, non scadono mai nel grottesco da cosplay, ma restituiscono un mondo coerente e surreale, sostenuto da performance attoriali convincenti.

Mei Nagano (AE3803), Takeru Satō (U-1146), Mana Ashida (Niko) e Sadawo Abe (Shigeru) riescono a incarnare archetipi cellulari e personaggi emotivamente autentici, mantenendo sempre la leggerezza necessaria per un pubblico allargato ma senza rinunciare alla profondità nei momenti drammatici.

Persino gli eccessi comici — come i batteri villain in stile Power Rangers, le feste neuronali o i disastri intestinali — sono bilanciati da sequenze intense che trattano malattie gravi, come la leucemia, con delicatezza e rispetto.

Nonostante ciò, resta un’ombra: il film, come l’anime, non supera del tutto la contraddizione di fondo tra la spettacolarizzazione della biologia e la negazione dell’autonomia individuale delle cellule. Il lavoro, anche se nobilitato, rimane fine a se stesso.

Ad ogni modo, questa ambiguità non inficia l’efficacia complessiva del progetto, anzi, lo rende più stratificato e stimolante, specie per uno spettatore adulto in grado di cogliere questi sottotesti. In definitiva, Cells at Work! è un caso raro in cui un adattamento live-action non solo funziona, ma migliora alcuni aspetti del materiale d’origine, integrando dramma umano, divulgazione scientifica, spettacolo e riflessione sociale.

Un piccolo miracolo cellulare che merita attenzione anche oltre il fandom.

Il trailer internazionale di Cells at work!, su Netflix dal 13 giugno: