Tra una Alessandra Mastronardi madrina senza allure e Netflix e Realtà Virtuale in ritirata, l'edizione 2019 del Festival più vecchio del mondo appare tutta in salita
Nell’imminenza dell’apertura della settantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia, che avverrà stasera con la proiezione di La Vérité del giapponese Hirokazu Kore’eda, è morto a ottantatré anni Carlo Delle Piane, per il quale il Festival costituì gran delizia e piccola croce. Dopo una giovinezza trascorsa a ricoprire ruoli di caratterista, per cui lo rendevano perfetto gli occhi sbarrati e il naso rimasto schiacciato da una pallonata subita a dieci anni, proprio quando sembrava essersi arreso a commediacce di terza categoria incontrò Pupi Avati e fu da questi dirottato nelle parti di protagonista. Il resto del cinema non lo amò mai (ripeteva spesso di aver avuto il solo Aldo Fabrizi come amico), forse per la fama di personaggio difficile che si portava dietro, così pieno di manie e tanto fissato con l’igiene da non stringere mai la mano a nessuno. Come faceva a lavorare un tipo così? Semplice: non appena iniziava a interpretare un personaggio entrava a tal punto nel ruolo da perdere queste caratteristiche che nella finzione non erano previste. L’avesse saputo Konstantin Sergeevič Stanislavskij, in omaggio a questa sua insuperabile applicazione gli avrebbe ceduto l’intitolazione del suo famoso “metodo” di recitazione basato sull’immedesimazione tra attore e personaggio.
Se all’epoca i fotografi si rifiutarono di scattare, quest’anno invece staranno attenti a non mollare un secondo le macchine, dato l’ingente numero di superstar attese al Lido. I film di questa edizione prevedono infatti all’interno dei vari cast tutti o quasi i più grandi divi del cinema mondiale. Come sempre si vedrà poi di giorno in giorno se la presenza su schermo sarà accompagnata da quella fisica degli artisti. Chi mancherà di certo è Roman Polanski il quale, per via di una vecchia accusa consistente nell’aver compiuto atti sessuali in America nel 1977 con una ragazzina all’epoca minorenne (che, per inciso, da tempo dichiara di averlo perdonato e di desiderare che il regista non subisca ulteriori conseguenze) non può entrare in alcun paese che, come il nostro, preveda l’estradizione negli USA, pena l’arresto immediato. Dato che a pensar male si fa peccato, ma di solito ci si azzecca, è facile prevedere che la scelta d’invitare un suo film comporterà polemiche provenienti dalle femministe militanti contro il direttore Alberto Barbera, già ingiustamente accusato dalle stesse di selezionare un numero troppo esiguo di film girati da registe donne. Polemiche alle quali egli inevitabilmente risponde che sono pochissimi in senso assoluto i film realizzati da donne e lui non può invitare ciò che non esiste. Quel che ci sentiamo invece di contestare noi a Barbera sono le scelte compiute circa la madrina e la giuria principale.
Ad ogni modo queste sono soltanto impressioni (quasi di settembre, ma ancora di agosto) e saremmo felici di essere smentiti dai fatti e veder sfoggiare a “Cesarina” un fascino inarrivabile. A suo sostegno bisogna peraltro riconoscere che ben poche volte negli ultimi anni per il ruolo di madrina sono state designate figure di spicco. Se il giudizio sulla madrina resta sospeso, quello sulla scelta di Lucrecia Martel come Presidente della Giuria del Concorso è indubbiamente da pollice verso. Argentina, classe 1966, ha al suo attivo appena quattro lungometraggi. Dato l’esiguo numero vale la pena citarli tutti: La ciénaga (2001), La niña santa (2004), La mujer sin cabeza (2008) e Zama (2017), presentato proprio a Venezia. Alzi la mano chi ne ha visto uno. Ciononostante è stata definita da Alberto Barbera “la più importante regista donna dell’America Latina” e da qualcun altro “la Terrence Malick del cinema latinoamericano“, anche se nessuna delle due descrizioni ci pare un particolare complimento, vista la carenza di registe sudamericane e soprattutto visti gli ultimi film di Malick. In realtà, alla Presidente manca invece del tutto l’autorevolezza necessaria a svolgere il ruolo di mediazione e sintesi rispetto alle opinioni dei suoi colleghi, essendo questi in buona parte più carismatici di lei.
Anche quest’anno sull’isola del Lazzaretto Vecchio si terrà la rassegna denominata Virtual Reality. Ma pur senza conoscere le statistiche relative all’affluenza di pubblico per questa manifestazione, nell’assistere alle reazioni della gente al momento delle premiazioni pare che questa rassegna al momento interessi ben poco e che al di là delle dichiarazioni ufficiali la stessa direzione artistica della Mostra lo consideri già quasi un esperimento poco riuscito, non avendo incrementato il numero di proiezioni rispetto alla scorsa edizione, che era la prima vera dopo un anno di rodaggio. Anche a proposito del rapporto finora privilegiato della Mostra con Netflix bisogna registrare una piccola battuta d’arresto. Lo scorso anno i film presentati al Lido dalla multinazionale erano stati sei: tre in Concorso (uno, Roma, vinse il Leone d’oro), uno in Orizzonti (l’apprezzatissimo Sulla mia pelle su Stefano Cucchi), oltre alla conclusione postuma dell’ultimo film di Orson Welles The other side of the wind, nonché il documentario sulla lavorazione del medesimo. Quest’anno il numero complessivo è tre, due dei quali in concorso (Marriage story di Noah Baumbach e The Laundromat di Steven Soderbergh) e uno fuori (The King / Il Re di David Michôd). Per una realtà che dovrebbe essere in espansione costante, sembra un notevole passo indietro.
Di seguito il teaser trailer ufficiale di The King / Il Re: