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Diario da Venezia 76 | Giorno 0: mestizia è la parola d’ordine della Mostra del Cinema

28/08/2019 news di Giovanni Mottola

Tra una Alessandra Mastronardi madrina senza allure e Netflix e Realtà Virtuale in ritirata, l'edizione 2019 del Festival più vecchio del mondo appare tutta in salita

alessandra mastronardi venezia 76

Nell’imminenza dell’apertura della settantaseiesima Mostra del Cinema di Venezia, che avverrà stasera con la proiezione di La Vérité del giapponese Hirokazu Kore’eda, è morto a ottantatré anni Carlo Delle Piane, per il quale il Festival costituì gran delizia e piccola croce. Dopo una giovinezza trascorsa a ricoprire ruoli di caratterista, per cui lo rendevano perfetto gli occhi sbarrati e il naso rimasto schiacciato da una pallonata subita a dieci anni, proprio quando sembrava essersi arreso a commediacce di terza categoria incontrò Pupi Avati e fu da questi dirottato nelle parti di protagonista. Il resto del cinema non lo amò mai (ripeteva spesso di aver avuto il solo Aldo Fabrizi come amico), forse per la fama di personaggio difficile che si portava dietro, così pieno di manie e tanto fissato con l’igiene da non stringere mai la mano a nessuno. Come faceva a lavorare un tipo così? Semplice: non appena iniziava a interpretare un personaggio entrava a tal punto nel ruolo da perdere queste caratteristiche che nella finzione non erano previste. L’avesse saputo Konstantin Sergeevič Stanislavskij, in omaggio a questa sua insuperabile applicazione gli avrebbe ceduto l’intitolazione del suo famoso “metodo” di recitazione basato sull’immedesimazione tra attore e personaggio.

Venezia 74 locandinaTornando al suo rapporto con il Festival di Venezia, grazie a Pupi Avati Carlo Delle Piane conquistò il Premio Pasinetti nel 1983 per Una gita scolastica (forse il suo film più importante) e la Coppa Volpi come miglior attore nel 1986 per Regalo di Natale. Proprio a questo premio è legata la “croce”, del tutto indipendente da colpe dell’attore. Quell’anno il favoritissimo era infatti Walter Chiari, protagonista del film Romance di Massimo Mazzucco. Walter era caduto in disgrazia da tempo e in quel premio confidava molto, ma entrò papa nel conclave dell’ultima sera per uscirne cardinale all’indomani al momento della premiazione, in favore di delle Piane. Alcuni scrissero che vi furono pressioni politiche da parte della Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita in testa, che volle favorire il cattolico Pupi Avati; altri vociferarono di una personale antipatia per Walter Chiari da parte del Presidente di Giuria Alberto Lattuada per fatti risalenti a molti anni prima. Tutti tifavano per il simpaticissimo e sfortunato Walter e la decisione della giuria sorprese e indispettì a tal punto che i fotografi al momento d’immortalare il vincitore deposero a terra le macchine rifiutandosi di fotografare Carlo Delle Piane, a loro parere beneficiario di uno scippo. Questa vicenda dovette colpire molto anche lo stesso Avati dal momento che dieci anni dopo girò un’altro film proprio su di essa, dall’inequivocabile titolo Festival. Non ebbe successo, forse per la scelta di un Massimo Boldi del tutto fuori parte nel ruolo del dolente Walter Chiari.

Se all’epoca i fotografi si rifiutarono di scattare, quest’anno invece staranno attenti a non mollare un secondo le macchine, dato l’ingente numero di superstar attese al Lido. I film di questa edizione prevedono infatti all’interno dei vari cast tutti o quasi i più grandi divi del cinema mondiale. Come sempre si vedrà poi di giorno in giorno se la presenza su schermo sarà accompagnata da quella fisica degli artisti. Chi mancherà di certo è Roman Polanski il quale, per via di una vecchia accusa consistente nell’aver compiuto atti sessuali in America nel 1977 con una ragazzina all’epoca minorenne (che, per inciso, da tempo dichiara di averlo perdonato e di desiderare che il regista non subisca ulteriori conseguenze) non può entrare in alcun paese che, come il nostro, preveda l’estradizione negli USA, pena l’arresto immediato. Dato che a pensar male si fa peccato, ma di solito ci si azzecca, è facile prevedere che la scelta d’invitare un suo film comporterà polemiche provenienti dalle femministe militanti contro il direttore Alberto Barbera, già ingiustamente accusato dalle stesse di selezionare un numero troppo esiguo di film girati da registe donne. Polemiche alle quali egli inevitabilmente risponde che sono pochissimi in senso assoluto i film realizzati da donne e lui non può invitare ciò che non esiste. Quel che ci sentiamo invece di contestare noi a Barbera sono le scelte compiute circa la madrina e la giuria principale.

la verite filmRiguardo al primo punto, bisogna sì dargli atto di aver operato, dopo le dimenticabili esperienze degli ultimi due anni con Alessandro Borghi e Michele Riondino (bocciato dal suo stesso anagramma: “Che Lido in minore!“) in veste di padrini, un drastico miglioramento ritornando alla consuetudine della madrina e designando per il ruolo Alessandra Mastronardi. Ma, a dir la verità, anche questa scelta appare non del tutto convincente. La Mastronardi deve infatti la sua popolarità principalmente alla serie televisiva “I Cesaroni”, andata in onda tra il 2006 e il 2012. Il che non significa che si sia fermata lì: di recente, tra le altre cose, ha preso anche parte a cinque episodi della seconda stagione della fortunata serie televisiva americana Master of None. Ma al cinema ha lavorato ben poco e soltanto in ruoli minori, anche se talvolta in film prestigiosi come To Rome With Love di Woody Allen, quindi non sembra la persona più indicata per prestare il volto ufficiale a un Festival del cinema. Probabilmente il suo aspetto fisico, pur indubbiamente grazioso nei tratti e nei modi, appare più adatto a una dimensione televisiva, da tinello, che non a quella cinematografica dove per riempire il grande schermo è richiesta una presenza di maggior carisma. In questo senso, anche con riferimento al suo primo e tuttora più grande successo, questa rubrica la ribattezzerà d’ora in poi “Cesarina”, come venivano chiamate un tempo le massaie romagnole regine di tutti i segreti della buona tavola, ma di certo prive di phisique du role da grande schermo.

Ad ogni modo queste sono soltanto impressioni (quasi di settembre, ma ancora di agosto) e saremmo felici di essere smentiti dai fatti e veder sfoggiare a “Cesarina” un fascino inarrivabile. A suo sostegno bisogna peraltro riconoscere che ben poche volte negli ultimi anni per il ruolo di madrina sono state designate figure di spicco. Se il giudizio sulla madrina resta sospeso, quello sulla scelta di Lucrecia Martel come Presidente della Giuria del Concorso è indubbiamente da pollice verso. Argentina, classe 1966, ha al suo attivo appena quattro lungometraggi. Dato l’esiguo numero vale la pena citarli tutti: La ciénaga (2001), La niña santa (2004), La mujer sin cabeza (2008) e Zama (2017), presentato proprio a Venezia. Alzi la mano chi ne ha visto uno. Ciononostante è stata definita da Alberto Barbera “la più importante regista donna dell’America Latina” e da qualcun altro “la Terrence Malick del cinema latinoamericano“, anche se nessuna delle due descrizioni ci pare un particolare complimento, vista la carenza di registe sudamericane e soprattutto visti gli ultimi film di Malick. In realtà, alla Presidente manca invece del tutto l’autorevolezza necessaria a svolgere il ruolo di mediazione e sintesi rispetto alle opinioni dei suoi colleghi, essendo questi in buona parte più carismatici di lei.

marriage story filmTra essi vanno conteggiati almeno il nostro Paolo Virzì, il regista e attore giapponese Shinya Tsukamoto e il direttore della fotografia messicano Rodrigo Prieto, che ha lavorato in film di grande valore. A completare l’organigramma: la regista canadese Mary Harron, della quale si ricorda la regia di American Psycho e un flirt con Tony Blair negli anni universitari; la giovane attrice Stacy Martin, che a differenza di quanto indicato sul sito della Biennale è francese e non inglese ed è stata lanciata dal ruolo di protagonista in Nynphomaniac di Lars Von Trier; il canadese Piers Handling, amministratore delegato e direttore esecutivo del Toronto Film Festival nonché storico del cinema. Bisogna segnalare che la Harron è stata costretta all’ultimo momento a traslocare dalla giuria del Concorso Orizzonti a quella del Concorso principale a seguito della defezione di Jennifer Kent, qui in gara lo scorso anno con The Nightingale (la nostra recensione) e bersaglio di irripetibili accuse da parte di un imbecille che si faceva passare per cronista. A parte Handling che non è un artista, tutti sono già stati a vario titolo presenti con loro opere qui a Venezia. Nel complesso, comunque, sembra mancare un nome di spicco. Per una pre-presentazione si potrebbe chiudere qui, dunque ci limitiamo a un’ultima breve considerazione riguardante lo spazio dedicato a quelle che sono considerate le nuove frontiere del cinema: la realtà virtuale e la distribuzione dei film a mezzo streaming.

Anche quest’anno sull’isola del Lazzaretto Vecchio si terrà la rassegna denominata Virtual Reality. Ma pur senza conoscere le statistiche relative all’affluenza di pubblico per questa manifestazione, nell’assistere alle reazioni della gente al momento delle premiazioni pare che questa rassegna al momento interessi ben poco e che al di là delle dichiarazioni ufficiali la stessa direzione artistica della Mostra lo consideri già quasi un esperimento poco riuscito, non avendo incrementato il numero di proiezioni rispetto alla scorsa edizione, che era la prima vera dopo un anno di rodaggio. Anche a proposito del rapporto finora privilegiato della Mostra con Netflix bisogna registrare una piccola battuta d’arresto. Lo scorso anno i film presentati al Lido dalla multinazionale erano stati sei: tre in Concorso (uno, Roma, vinse il Leone d’oro), uno in Orizzonti (l’apprezzatissimo Sulla mia pelle su Stefano Cucchi), oltre alla conclusione postuma dell’ultimo film di Orson Welles The other side of the wind, nonché il documentario sulla lavorazione del medesimo. Quest’anno il numero complessivo è tre, due dei quali in concorso (Marriage story di Noah Baumbach e The Laundromat di Steven Soderbergh) e uno fuori (The King / Il Re di David Michôd). Per una realtà che dovrebbe essere in espansione costante, sembra un notevole passo indietro.

Di seguito il teaser trailer ufficiale di The King / Il Re: