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Voto: 6.5/10 Titolo originale: 2010 , uscita: 06-12-1984. Budget: $28,000,000. Regista: Peter Hyams.

Dossier: 2010 – L’anno del contatto di Peter Hyams, vivere all’ombra di un classico

20/01/2021 recensione film di William Maga

Nel 1984, Helen Mirren e Roy Scheider erano i protagonisti di un film che ambiziosamente intendeva seguire le orme di 2001: Odissea nello spazio, rifacendosi al secondo romanzo di Arthur C. Clarke

2010 l'anno del contatto film 1984

Quando nel febbraio del 1985 venne presentato come titolo di apertura, fuori competizione, del XXXV Film Festival di Berlino (nell’ambito di una grandiosa retrospettiva dedicata agli effetti speciali nel cinema), nessuno pretendeva che 2010 – L’anno del contatto ripetesse la magia del 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che si potesse ritrovare qualcosa da mettere alla pari con quel capitolo isolato della fantascienza cinematografica esaltato da un’affascinante dimensione umana e filosofica.

Dal film diretto dall’esperto Peter Hyams, basato sul secondo romanzo di Arthur C. Clarke (pubblicato nel 1983 in Italia col titolo 2010: Odissea due) che riprendeva il motivo del misterioso monolito nero ‘ambasciatore’ dell’intelligenza nel cosmo, certo non ci si poteva aspettare la stessa genialità di stile del lontano capolavoro del 1968.

Si poteva comunque supporre che Peter Hyams — non nuovo alla fantascienza, nel cui ambito aveva già operato proficuamente con Capricorn One e il curioso Atmosfera Zero, che prolungava in un contesto avveniristico motivi del cinema western e poliziesco — avesse conferito a 2010 – L’anno del contatto, da lui stesso sceneggiato e realizzato anche in veste di direttore della fotografia, un solido impianto che conciliasse in qualche modo – e con qualche incongruenza rispetto a romanzo e film precedente – il gusto dell’avventura spaziale con gli sgomenti davanti ai misteri dell’universo che il testo letterario in primo luogo suggeriva.

2010 l'annio del contatto film posterIl film rimane invece puro intreccio, teso a rompere quei tanti silenzi del cosmo che Stanley Kubrick aveva invece saputo superbamente nobilitare. In sostanza, Peter Hyams ha puntato sulle implicazioni ‘pacifiste’ della trama, per cui si assiste all’impresa congiunta di Stati Uniti e Unione Sovietica per scoprire la causa del fallimento della missione Discovery di nove anni prima e sondare il mistero del gigantesco monolito che gravita intorno al pianeta Giove, vicino all’astronave abbandonata a suo tempo dal comandante David Bowman.

È una nuova astronave russa, la Leonov, comandata da una donna (Helen Mirren), che riesce a raggiungere la meta. A bordo ci sono anche i tre americani, tra cui il Dott. Heywood Floyd (Roy Scheider) dell’Agenzia Spaziale USA, diversamente responsabili della precedente missione, i quali penetrano nella Discovery e scoprono che il computer HAL 9000 era stato misteriosamente programmato per effettuare da solo l’impresa dopo aver eliminato l’intero equipaggio ad eccezione del comandante Bowman che, come si ricorderà, si era disperso nello spazio.

D’altro canto, uno dei russi tenta di avvicinarsi al monolito, ma viene ridotto in polvere da quella enigmatica presenza intangibile.

Intanto sulla Terra le cose si mettono male tra americani e sovietici. C’è una minaccia di guerra e dalla Casa Bianca e Floyd riceve l’ordine di rientrare. «Ma noi siamo degli scienziati e non possiamo dipendere dai politicanti psicopatici» era già stata la sua risposta quando il Pentagono, a causa delle tensioni tra le due potenze, chiedeva che la missione fosse mantenuta segreta.

Tantomeno ora i tre americani (tra cui John Lithgow) abbandoneranno gli amici sovietici, perché a Floyd appare improvvisamente David Bowman (Keir Dullea) in tre diversi stadi della sua vita (lo stato fetale, la giovinezza, la vecchiaia), il quale gli annuncia che tra due giorni “assisterà a una cosa meravigliosa“, purché le due astronavi si discostino da Giove.

Accade infatti che una grande macchia nera, formata da una moltiplicazione di monoliti, oscuri progressivamente il pianeta fino a divorarlo con una esplosione spaventosa. Dopo di che, Giove si trasforma in un nuovo Sole per la Terra e la nostra umanità irrequieta riceve il seguente messaggio: “Tutti questi mondi vi appartengono, tranne Europa. Non cercate di accedervi, ma approfittatene assieme e in pace”.

2010 – L’anno del contatto deve una dose di nobiltà al trasferimento – semplificato – dal libro allo schermo di questa metafora ottimista, ma anche ammonitrice, sui nostri destini di fronte al grande mistero dell’universo. Bisogna aggiungere che vi si arriva dopo essere stati distratti dai macchinosi espedienti spettacolari creati da Richard Edlund (non a casa candidati anche agli Oscar l’anno seguente), su cui si innestano a forza, e talora in maniera aleatoria, le pretese concettuali e gli interrogativi inquietanti che avevano costituito la mirabile portata espressiva e metaforica dell’ ‘0dissea’ kubrikiana.

Anche i personaggi, nonostante i bravi interpreti, mancano di spessore, sacrificati come sono da un tripudio di effetti speciali (pur tenuto conto che in quest’ambito non c’è poi molto di nuovo da inventare) quale impegno precipuo di Peter Hyams (il film costò circa 28 milioni di dollari, incassandone una quarantina negli Stati Uniti).

Insomma, timori iniziali rivelatisi fondati, con la lambiccatissima vicenda dei controversi rapporti tra cosmonauti americani e sovietici indotti a convivere nello spazio dalla necessità di salvarsi e di chiarire (invano) il mistero del celebre monolito, che non riesce ad approdare, dopo prolungate giravolte nelle quasi 2 ore di durata, che ad un ‘volemose bene’ posticcio quanto venato di consolatori slanci trascendenti.

Di seguito trovate il trailer internazionale di 2010 – L’anno del contatto:

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