Dossier | Bruce Lee e il suo coinvolgimento nell’omicidio di Sharon Tate
23/03/2019 news di Redazione Il Cineocchio
Ripercorriamo l'incredibile vicenda che portò il 'piccolo drago' ad essere sospettato per qualche tempo da Roman Polanski dell'assassinio della moglie e dei suoi amici
Una delle parti più deliziose del trailer di C’era una volta a Hollywood (Once Upon a Time in Hollywood) di Quentin Tarantino, diffuso nei giorni scorsi, è senza dubbio la presenza di Bruce Lee, interpretato nel film da Mike Moh, dalla notevole somiglianza fisica e in grado di sfoggiare le sue abilità in un combattimento ‘finto’ contro lo stuntman Cliff Booth, il personaggio incarnato da Brad Pitt.
In ogni caso, in molti probabilmente si saranno domandati il motivo della presenza del ‘piccolo drago’. Certo, il lungometraggio è ambientato nel 1969 a Los Angeles, proprio il periodo in cui si trovava nei paraggi, ma quale parte interpreta nella storia? Ebbene, c’è una risposta precisa e non è affatto banale. E ha radici nel rapporto tra Bruce Lee, Roman Polanski e Sharon Tate.
L’artista marziale e attore ha in realtà giocato un piccolo e bizzarro ruolo nella tristemente famigerata vicenda degli omicidi della ‘Famiglia’ collegata da Charles Manson. Secondo Matthew Polly, autore del libro Bruce Lee: A Life del 2003, il regista di Rosemary’s Baby a un certo punto pensò addirittura che fosse stato proprio Bruce Lee a compiere il tremendo omicidio della moglie!
Lo scrittore ha ricordato la connessione in un episodio del podcast “Shoot This Now”:
Nel 1965, Bruce Lee incontrò Jay Sebring, che in seguito avrebbe fornito l’ispirazione per il personaggio di Warren Beatty in “Shampoo” [1975]. A quel tempo, Sebring usciva con Sharon Tate … Lee si ritrovò presto in frustranti ruoli da spalla (vedi: “Il Calabrone Verde”), coreografando combattimenti per i film hollywoodiani e cercando di fare il botto in ruoli da protagonista che di solito erano negati a attori non bianchi. Divenne un “sifu delle star”, colui che addestrava attori del calibro di Steve McQueen alle arti marziali.
Comunque, nell’estate del 1968, la produzione del film Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm [The Wrecking Crew] pagò Bruce Lee ben 11.000 dollari per insegnare a Sharon Tate e ad altre attrici come combattere. A quel tempo, la Tate aveva già sposato Roman Polanski. Così, da lì a poco la donna invitò a cena Bruce Lee, dicendo al marito: “Voi due andrete d’accordo in un lampo!”.
In breve tempo, Roman Polanski divenne uno dei clienti regolari delle lezioni di arti marziali di Bruce Lee. Divennero così amici che Polanski invitò Lee nel suo chalet a Gstaad, in Svizzera, e in quel viaggio Lee acquistò la mitica tuta gialla che indossò per combattere contro Kareem Abdul Jabbar in L’ultimo combattimento di Chen [Game of Death].
Il 9 agosto 1969, Sharon Tate e Jay Sebring morirono per mano della Famiglia di Charles Manson nella casa di Cielo Drive. Con loro, anche il bambino che la donna portava in grembo, l’aspirante sceneggiatore Wojciech Frykowski e Abigail Folger, ereditiera della dinastia del caffè, e il diciottenne Steven Parent.
In una imprevedibile successione di eventi, prima che si scoprissero i veri colpevoli, Roman Polanski arrivò a sospettare per qualche tempo addirittura Bruce Lee degli omicidi. Il killer – o i killer – avevano infatti dimenticato un paio di occhiali da vista nella casa di Cielo Drive, e una mattina, Bruce Lee casualmente accennò a Roman Polanski: “Ho perso i miei occhiali“.
Matthew Polly prosegue poi spiegando che cosa accadde dopo che Roman Polanski ebbe valutato la possibilità che Bruce Lee avesse assassinato sua moglie e i loro amici:
Il cuore di Polanski correva all’impazzata. Bruce faceva parte della sua cerchia di amici, ma era anche, in quanto l’unico asiatico, un estraneo. Sapeva come usare una pistola ed era un esperto di armi con la lama. Aveva la forza e l’abilità per sopraffare più vittime. Forse Jay Sebring lo aveva invitato e qualcosa era andato terribilmente storto. Forse era segretamente innamorato di Sharon Tate e aveva dato di matto.
Naturalmente, Roman Polanski aveva torto, ma, dopo quello che era successo a sua moglie e a i suoi amici, è facile immaginare che la sua mente stesse percorrendo ogni tipo di scenario (tranne quello più assurdo che mai che poi si rivelò essere quello vero). Una vicenda che in qualche modo ricorda la reazione – recentemente balzata agli onori delle cronache – di Liam Neeson di fronte alla violenza sessuale subita da una sua amica (con conseguenti frasi razziste subito stigmatizzate dalla stampa americana). Resta tutto da capire invece come Quentin Tarantino abbia deciso di gestire la faccenda nel suo nono film.
Di seguito la gustosa scena con Bruce Lee da C’era una volta a Hollywood:
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Fonte: STN