Voto: 6.5/10 Titolo originale: Cabin Fever , uscita: 15-08-2003. Budget: $1,500,000. Regista: Eli Roth.
Dossier | Cabin Fever di Eli Roth: una raccapricciante favola ammonitrice
30/03/2020 recensione film Cabin Fever di William Maga
Cerchiamo di capire come il film d'esordio del regista del 2002 in realtà nasconda, al di là delle apparenze da body horror, un prezioso insegnamento sulla natura umana
Dire che il cinema del terrore si è ritrovato a vagare in posti strani durante il primo decennio degli anni 2000 è un eufemismo. Gli slasher erano tornati in voga e altrettanto rapidamente erano di nuovo scomparsi, il meta-horror aveva guadagnato popolarità e tutti quanti stavano facendo del loro meglio per essere taglienti e scioccanti senza però riuscire a realizzare dei buoni film. Insomma, non è stato in generale un grande momento storico per il genere, anche se ci sono ovviamente delle eccezioni. Tra queste c’è il film d’esordio di Eli Roth, Cabin Fever (2002).
Come regista debuttante e amante dell’horror, Eli Roth non voleva reinventare nulla con il suo primo lavoro per il cinema. In apparenza, Cabin Fever è generico quanto innumerevoli altri titoli, con un gruppo di giovani sui vent’anni che vanno a fare festa in una baita sperduta in mezzo ai boschi, ignari del letale pericolo che si nasconde in quella zona. Questa volta, si tratta di un virus che mangia letteralmente la carne di chi lo contrae, oltre che gli abitanti del posto impazziti che li vedono come estranei da scacciare con le cattive. È la stessa configurazione di base di un milione di altri film dell’orrore, ma anche se definire Cabin Fever ‘eccezionale’ è probabilmente fuori luogo, presenta una serie di stranezze e peculiarità che lo distinguono dal resto del mucchio.
In primo luogo c’è il bizzarro umorismo che lo pervade. Prendere, ad esempio, la famigerata scena dei “Pancake! Pancake!”. Arriva durante il terzo atto del film, con Bert (il classico ‘cazzone’, interpretato da James DeBello) che va in cerca di aiuto poiché la maggior parte delle altre persone nello chalet sono malate. Il proprietario di un negozio di alimentari gli dice che chiamerà un medico e che di rimanere dove si trova. Quindi, il ragazzino (presumibilmente chiamato Dennis, se dobbiamo credere al cartello che dice “NON SEDERSI VICINO A DENNIS“) si avvicina facendo delle insensate mosse di karate, scalciando in aria al rallentatore prima di mordere Bert sulla mano.
Il padre del bambino inizia a inveire contro Bert, dicendo che ora – dopo il morso – suo figlio potrebbe esser stato infettato, una situazione che equivarrebbe all’omicidio. Gli punta anche il fucile, ma alla fine non spara. Il fatto è che Bert è colui che ha accidentalmente sparato a un escursionista infetto all’inizio del film e poi Paul (Rider Strong) lo ha ucciso con il fuoco. Un gesto piuttosto orribile anche se è stato accidentale, ma questa è la seconda volta che Bert viene accusato di aver ucciso qualcuno.
Cabin Fever sicuramente gioca con gli stereotipi, con ogni personaggio che ricopre il ruolo ‘da slasher’ designato, ed è carico di violenza, momenti ‘schifosi’ e di sesso non troppo convenzionale. La cosa interessante, tuttavia, è che mentre molti dei protagonisti possono risultare insopportabili (proprio il già citato Bert è in cima alla lista …), sono comunque coerenti e per lo meno dotati di una qualche forma di sviluppo così che lo spettatore possa capirli. Anche il modo in cui vengono tratteggiati i redneck segue una traiettoria abbastanza classica , ma qui hanno un certo senso. Tuttavia, come ogni altra cosa nel film, viene portata all’estremo.
Dopotutto, il gruppo di amici non si fa molti problemi a dare alle fiamme un uomo che ha chiaramente bisogno di aiuto. Riflette il modo in cui sono cresciuti il fatto che cerchino di coprire l’omicidio colposo e che la loro prima reazione alla sua apparizione sia stata la cieca ostilità. Bert gli ha sparato qualche ora prima e, piuttosto che farlo entrare in casa, gli chiude la porta in faccia.
Quindi, mentre la rappresentazione degli abitanti del luogo come ottusi, ostili bifolchi è stata portata sul grande schermo almeno un milione di volte prima, in Cabin Fever, questi individui hanno un po’ ragione a comportarsi in un certo modo. La gran parte dei protagonisti è superficiale, non sono esseri umani esattamente fantastici, e non hanno assolutamente torto a diffidare di loro.
Ovviamente, i ragazzi non intendevano necessariamente ucciderlo, ma la situazione precipita rovinosamente fino a quando non si arriva alla violenza, e questo si riflette nel modo in cui i locali prendono le armi durante il terzo atto. Sebbene non siano persone particolarmente nobili, Bert stava davvero cercando aiuto per il suo amico contagiato, e loro lo hanno immediatamente evitato. Per quanto grottesco possa suonare per un film in cui un personaggio descrive una sessione di masturbazione che coinvolge il suo cane, Cabin Fever è una specie di favola ammonitrice su quando si permette ai pregiudizi di prendere il sopravvento.
Come molti film sugli zombi, il film di Eli Roth – da lui stesso scritto con Randy Pearlstein – parla meno del virus che scatena l’epidemia e molto di più di come le persone reagiscano ad esso. L’escursionista era certamente sfigurato e terribile da guardare, ma voleva davvero solamente aiuto e ricevere cure mediche. A causa del modo in cui il virus ha orribilmente alterato il suo aspetto fisico però, i protagonisti reagiscono al suo arrivo con ostilità, che alla fine sfocia in brutalità. Quindi, più tardi, poiché i cittadini hanno un’intrinseca sfiducia nei confronti degli estranei, scelgono immediatamente l’opzione violenta invece di aiutare le persone bisognose.
Tutto questo dona al film un’atmosfera quasi fiabesca. Le favole – specie nelle loro versioni originali – han sempre avuto come obiettivo primario l’impartire dure lezioni di vita ai bambini in modi che loro possano capire, ovvero attraverso storie ricche di elementi fantastici in grado di attirare la loro attenzione e archi narrativi dei personaggi che dimostrassero il punto. Cabin Fever è, per molti versi, una fiaba moderna destinata ai maggiori di 18 anni sul non essere degli stronzi egoisti e insensibili.
A ulteriore riprova, quando Paul cerca per l’ennesima volta aiuto e si imbatte nello smemorato vice sceriffo Winston (Giuseppe Andrews) che sta facendo baldoria con alcuni ragazzi sul ciglio della strada, questi, vedendolo imbrattato di sangue e sentendo lo sceriffo che per radio dice di sparare a vista agli infetti, vogliono soltanto scacciarlo con le cattive, senza provare minimamente a soccorrerlo.
Soltanto un camionista di passaggio, senza volto e del tutto ignaro della sua condizione, lo scarica davanti all’ospedale (dopo averlo investito …). Significative infine l’immagine conclusiva, con la gente in paese che festeggia sulle note dei banjo e la telecamera di Eli Roth che sorniona va a scovare il cadavere infetto da cui è partito tutto il contagio, che giace ancora tranquillamente nelle acque del lago senza che nessuno di preoccupi di indagare oltre, mentre un’autocisterna del locale acquedotto parte carica di liquido infetto alla volta dell’America. E tutto perché le persone coinvolte per prime nell’epidemia non sono riuscite a superare le proprie nozioni preconcette sulle altre parti in gioco.
Sia chiaro, nessuno sta provando a dimostrare che Cabin Fever sia un’opera incredibilmente stratificata, perché ha sicuramente i suoi problemi, su tutti i protagonisti per niente simpatici. Eppure, ricorre al suo strano senso dell’umorismo e al ribaltamento dei cliché del genere per narrare un divertente e raccapricciante racconto morale che suggerisce come andrebbero trattati i nostri simili, andando oltre le apparenza.
Fu un debutto molto promettente da parte di Eli Roth, che in seguito avrebbe continuato a plasmare il resto del decennio horror con i ‘torture porn’ Hostel (2005) e Hostel: Part II (2007). Se non altro, è affascinante ripensare a un’epoca in cui un grande studio hollywoodiano distribuiva body horror di questo tipo con protagonista una delle star della serie per ragazzi Crescere, che fatica!, girato da un regista al debutto.
Di seguito la scena col ragazzino mordace di Cabin Fever:
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