Dossier | Film horror: perché ne siamo attratti? La parola agli esperti
10/02/2019 news di Redazione Il Cineocchio
Fantasmi, mostri, serial killer, pupazzi assassini e alieni con bellicose intenzioni dovrebbero tenerci lontani dai cinema, eppure non possiamo fare a meno di sederci in sala al buio e morire di paura ogni volta. Da cosa deriva questo 'masochismo' intrinseco di una gran fetta di popolazione?
Come saprete bene se siete già nostri affezionati lettori, qui al Cineocchio siamo strenui sostenitori e grandi estimatori del cinema horror, in tutte le sue declinazioni. Dai thriller psicologici al filone paranormale e demoniaco, dagli slasher classici ai monster movie con creature bestiali, amiamo tutti i sottogeneri, senza preferenze. Sangue, esorcismi, accoltellamenti o allucinazioni perverse, siamo irrimediabilmente attratti dal macabro e dal cruento, tanto non solo da non essere spaventati e/o disturbati dalle immagini più scioccanti, ma da esserne in qualche modo incredibilmente incantati.
Sarà il fascino dell’orrido? Sarà che non siamo ‘normali’? Sarà masochismo?
Ci siamo quindi trovati a interrogarci sulle origini e sulla natura di questa nostra perversa attrazione, di questa catarsi che proviamo nel provare la paura e l’ansia trasmesseci attraverso il piccolo o il grande schermo. Forse vale il principio aristotelico dell’empatia provata dagli spettatori durante gli spettacoli teatrali nell’Atene classica, in cui attraverso le vicissitudini dei personaggi tragici erano purificati il corpo e l’anima. La filmica ‘liberazione’ del maligno, nel caso nostro. Oppure, probabilmente, la filmografia horror meno risente della lacrimevole e posticcia retorica dei buoni sentimenti che affligge gli altri generi.
Comunque sia, in uno slancio introspettivo, abbiamo deciso di approfondire questa passione e per farlo ci siamo rivolti all’unica fonte in grado di comprendere e spiegare le oscure forze che dominano la nostra mente. Vi chiederete quale sia … Ebbene, in nostro soccorso è giunta la psicologia! Anzitutto, ad approcciare l’incognita è stato il Dottor Jeffrey Goldstein, attivo nel dipartimento di Psicologia Sociale e Organizzativa presso la Università di Utrecht. Secondo quanto affermato dallo studioso in un’intervista del 2013:
La gente va a vedere un horror perché desidera essere spaventata, o non tornerebbe una seconda volta. Scegliamo la tal forma di intrattenimento perché desideriamo che questa ci coinvolga. Ciò è indubbiamente vero per coloro che si accostano a prodotti di intrattenimento come i film dell’orrore, che hanno un grande impatto [emotivo]. Desiderano questo impatto. [I film horror devono] garantire un’adeguata risoluzione nel finale. Il cattivo impara la lezione. Anche se decidono consapevolmente di vedere questo tipo di lungometraggi, le immagini risultano comunque disturbanti per molti. Tuttavia, il pubblico è capace di prestare attenzione tanto oppure tanto poco quanto empatizza, così da controllare l’effetto che [quello che stanno vedendo] ha su di loro, in termini di emozioni e non solo.
Se il Dott. Goldstein ha approfondito dunque il meccanismo mentale per il quale ci avviciniamo all’horror, un altro accademico, il Dottor Glenn Walters, ha descritto in un articolo del 2004 pubblicato sul Journal of Media Psychology i 3 fattori primari che nel cinema del terrore attirano gli spettatori: la tensione (generata da suspense, mistero, terrore, shock e gore), la rilevanza (può essere correlata all’importanza personale conferitagli, la pregnanza culturale, la paura della morte, ecc.) e l’irrealismo (che è, paradossalmente, l’opposto del precedente termine). A supporto della sua teoria, il Dott. Walters fa riferimento a un nutrito insieme di studi in psicologia, affermando:
Haidt, McCauley e Rozin (1994), mentre conducevano una ricerca sul concetto di disgusto, mostrarono ai loro studenti tre video-documentari, incentrati sui real-life horror. Una clip inquadrava una mucca, stordita, uccisa e macellata in un mattatoio; la seconda clip raffigurava una scimmia viva, che veniva colpita in testa con un martello, col cranio che veniva poi aperto e servito come dessert; la terza clip mostrava infine la pelle della faccia di un bambino mentre veniva asportata in preparazione per un intervento chirurgico. Il 90% degli studenti spense il filmato prima della fine. Anche la maggioranza di coloro che videro tutto il filmato trovò che le immagini fossero disturbanti. Eppure, la gran parte di questi individui non trovava strano il fatto di pagare dei soldi per presenziare in sala alla visione dell’ultimo film horror uscito, con assai più sangue e gore di quanto non fosse presente nei documentari che molti di loro trovavano ripugnanti. McCauley (1998) pose il logico interrogativo sul perché questi studenti trovassero il documentario così sgradevole, mentre molti di loro avevano assistito a pellicole del terrore che erano decisamente più sanguinolente e violente. La risposta proposta da McCauley era che la natura fittizia dei film horror offrisse agli spettatori una sensazione di controllo, ponendo distanza psicologica tra loro e gli atti violenti a cui avevano assistito. La gran parte delle persone che vede film horror è consapevole che gli eventi filmati non siano reali, così si assicura una distanza psicologica dagli orrori rappresentati nel film stesso. Infatti, esiste evidenza scientifica che gli spettatori più giovani, i quali percepiscono gli horror come più reali, siano influenzati più negativamente dall’esposizione agli stessi rispetto a coloro che li percepiscono come ‘non reali’ (Hoekstra, Harris e Helmick, 1999).
Stando invece alla tesi sostenuta nel 1995 dal Dottor Deirdre Johnston su Human Communication Research esistono 4 principali ragioni per cui noi (o perlomeno un campione di 220 adolescenti americani che ha preso parte allo studio) amiamo guardare gli horror: la ‘visione gore‘, la ‘visione del brivido’, la ‘visione indipendente’ e la ‘visione problematica’. Queste quattro categorie sono state anche discusse in relazione ad alcuni caratteri della disposizione del soggetto come la sua paurosità, l’empatia e la ricerca di sensazioni forti. Lo studioso ha notato che “è stato trovato un collegamento tra le quattro motivazioni che portano a vedere gli horror e le risposte cognitive ed emotive degli spettatori a tali film, così come la tendenza degli stessi a identificarsi con la vittima o con il carnefice di turno“. Più nello specifico, è stato verificato che gli spettatori del (i) ‘gore’ hanno un basso livello di empatia, un’alta propensione a ricercare emozioni forti e [solo tra gli uomini] un alto tasso di identificazione con il killer: quelli (ii) ‘del brivido’ hanno di norma un alto tasso sia di empatia che di ricerca di emozioni, si identificano più con le vittime e amano la suspense del film; (iii) quelli ‘dell’indipendente’ hanno un’elevata empatia per le vittime, così come un’elevata sensazione positiva per il generarsi della paura; (iv) quelli del ‘problematico’ hanno tipicamente un’alta empatia verso le vittime, ma sono caratterizzati da un effetto negativo della visione (in particolare nella sensazione di impotenza).
Un ottimo articolo sulla psicologia dei film horror comparso su Filmmaker IQ e scritto John Hess asserisce che esistono molte teorie sul perché amiamo gli horror. Non è possibile controllare tutte le fonti utilizzate (non essendoci note o una bibliografia), ma le idee esposte sono comunque estremamente affascinanti e non c’è particolare motivo di dubitare della loro attendibilità. Certo, una voce eminente emerge subito, quella di uno dei padri della psicologia, Carl Jung, del quale è riportato l’affascinante contributo. Secondo il luminare, i film horror sono “collegati ad archetipi primordiali sepolti nel profondo del nostro subconscio collettivo – immagini come l’ombra e la madre giocano un ruolo essenziale nel genere horror”. Tuttavia, come buona parte delle teorie nate in ambito psicanalitico, è difficile che possano essere testate a livello empirico. Proprio in questo contesto viene menzionata la già citata (in apertura) teoria aristotelica della catarsi, per cui immagini filmiche violente o spaventose in realtà epurerebbero l’animo e la mente dello spettatore dalle emozioni negative e sarebbero una via per esprimere rabbia repressa. In tempi più recenti, la teoria del ‘Transfer di Eccitamento’ proposta dal Dottor Dolf Zillman rielabora l’intuizione del filosofo greco sulla funzione catartica degli spettacoli visivi, sostenendo:
Le sensazioni negative suscitate dai film horror invero intensificano le sensazioni positive, quando l’eroe trionfa alla fine. Ma nei film in cui l’eroe non trionfa? Comunque, alcuni studi minori hanno dimostrato che l’appagamento delle persone è in realtà più alto durante le parti spaventose di un horror rispetto alle altre.
Procedendo con la sua disamina, John Hess si ricollega poi a una serie di precedenti riflessioni teoriche, ipotizzando che i film horror siano una forma di evasione dai normali comportamenti tenuti dall’individuo nella quotidianità e implichino una combinazione di curiosità e fascinazione:
Studi di [ricercatori come Zillman] hanno mostrato come ci sia una significativa correlazione nei soggetti che accettano comportamenti sovversivi e l’interesse per i film del terrore. Ciò tuttavia non spiega perché alcuni spettatori rispondano positivamente quando i trasgressori [di una convenzione sociali], quali coppie di adolescenti sessualmente promiscue, il criminale o l’adultero, vengono uccisi dal boogeyman del film. Questo appagamento legato alla punizione di coloro che lo meritano compensa la Teoria dell’Allineamento Disposizionale. Ci piacciono gli horror perché i personaggi sullo schermo che vengono uccisi lo meritano. Ciò può darci un’idea di chi l’audience voglia veder divorato, ma non è una chiara immagine del perché gli horror siano stati da subito popolari. Un’altra teoria di Marvin Zuckerman risalente al 1979 ipotizza che persone che ricoprono un’alta posizione nella Scala della Ricerca di Sensazioni sovente dichiarino un maggior interesse in esperienze eccitanti come montagne russe, il bungee jumping e le pellicole dell’orrore. Esistono studi che hanno trovato una correlazione, ma non sembra significativa. Lo stesso Zuckerman ha rilevato che prendere in esame una sola variabile fa perdere di vista il fatto che ci siano molti fattori che attirano la gente verso i film horror.
D’altra parte, il sopracitato Dolf Zillmann (insieme a James Weaver, Norbert Mundorf e Charles Aust) ha avanzato in un articolo comparso su Journal of Personality and Social Psychology nel 1996 la teoria della Socializzazione di Genere. Il ricercatore e la sua equipe hanno messo su un gruppo di studio composto da 36 adolescenti di sesso maschile e 36 di sesso femminile, a cui veniva mostrato un film horror insieme a un compagno della loro stessa età e di genere opposto di basso o alto appeal iniziale, che manifestasse autocontrollo, indifferenza emotiva o angoscia. E’ stato osservato come i maschi apprezzassero di più la visione del film in compagnia di una spettatrice spaventata e meno in compagnia di una che si controllasse. Le donne, invece, avevano apprezzato maggiormente la visione in compagnia di un uomo che avesse autocontrollo e meno in compagnia di uno spaventato. Hess ha anche aggiunto che ciò però non spiegherebbe perché alcuni vadano al cinema da soli, o che cosa succeda in situazioni simili ma in età successiva all’adolescenza.
In ultimo John Hess ha menzionato la posizione di David Skal, che sostiene come i film horror riflettano semplicemente le paure inespresse insite nella nostra società:
Guardando alla storia del cinema horror, si ha un proliferare di mostri mutanti negli anni ’50 dalle paure dell’uomo nero nucleare, degli zombie negli anni ’60 con la guerra in Vietnam, di Nightmare dal profondo della notte quale segno di sfiducia verso l’autorità esplosa dopo lo scandalo Watergate e ancora di zombie nei 2000 come riflesso della paura di una pandemia virale. Tuttavia, per quanti cicli di horror rientrino nella teoria, ce ne sono altrettanti che non lo fanno. E gli horror lavorano a un livello universale, superando confini nazionali e funzionando in diversi contesti culturali.
Insomma, nessuna delle teorie esplorate fino ad oggi riesce a spiegare del tutto l’innata fascinazione di milioni di spettatori per i film dell’orrore, probabilmente poiché ciascun individuo è attratto dal suddetto genere per motivi differenti. Dunque, siamo giunti a un’unica conclusione: qualsiasi sia il vero motivo, non conta poi così tanto. L’importante è sederci in sala con il nostro sacchetto di pop-corn e goderci il prossimo spavento.
Di seguito una scena cult da Shining di Stanley Kubrick:
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Fonte: PT