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Titolo originale: I vampiri , uscita: 05-04-1957. Regista: Riccardo Freda.

Dossier | I Vampiri di Riccardo Freda: alle radici dell’horror italiano

08/02/2021 recensione film di Edoardo Saldarini

Il 1957 è l'anno in cui gli spettatori del Belpaese scoprono per la prima volta cosa vuol dire entrare al cinema e uscirne terrorizzati

i vampiri freda 1957 horror

Il cinema dell’orrore, noto in Italia fin da tempi non sospetti anche con il corrispettivo termine in inglese horror, è senza dubbio uno dei generi cinematografici più amati dal grande pubblico. Lo spettatore ama stimolare le paure ancestrali recondite nel suo animo, cancellando di fatto durante il breve lasso di tempo della visione del film qualunque teoria sull’evoluzione della specie e ricongiungendosi idealmente con l’antenato preistorico che si rifugiava in caverne buie e infestate da belve pericolose e affamate durante le notti di tempesta. Difatti l’emozione che l’uomo moderno e il suo antenato provano in quelle due distinte occasioni è la medesima: paure antiche che ci si porta dietro da quelle epoche remote riaffiorano in pochi istanti una volta che il film comincia, e in certi casi possono permanere anche dopo la visione.

Ovviamente anche agli albori del cinema, accanto ai musical, ai film comici, polizieschi e a quelli storici, l’esigenza dei primi cineasti di mostrare storie che stimolino l’orrore nello spettatore non manca. Diversi esperti fanno risalire la nascita del prolifico filone del cinema horror con il film muto “Le manoir du diable” (1896), del regista francese George Méliès, indiscusso pioniere della settima arte assieme ai fratelli Lumière e autore dell’acclamato film fantascientifico “Viaggio nella luna” (1902), tra l’altro considerato in assoluto il primo film di fantascienza. Successivamente, dopo pellicole di genere fantastico contenenti non solamente elementi paurosi ma anche drammatici e tipici della commedia, il cinema espressionista tedesco degli anni Dieci e Venti determinò una volta per tutte le regole di base del genere (ambientazioni cupe e tenebrose, personaggi ambigui, confine inesistente tra reale e irreale, …), con opere come gli ormai celebri “Il gabinetto del dottor Caligari” (1920) di Robert Wiene e “Nosferatu il vampiro” (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau.

i vampiri freda film posterTuttavia fino ad allora le storie erano ancora legate a doppio filo al genere del romanzo gotico, che fondeva insieme narrazioni romantiche ad elementi paurosi e soprannaturali, tipico di opere come “Il castello di Otranto” di Horace Walpole (1764), “Frankenstein, o il moderno Prometeo” di Mary Shelley (1818) o “Dracula” di Bram Stoker (1897). Il genere gotico è infatti da considerarsi progenitore del moderno cinema dell’orrore, in quanto quest’ultimo ne rappresenta una branca e al contempo un’evoluzione.

Intanto il cinema americano più “blasonato” proveniente da Hollywood, all’epoca in piena età dell’oro, non si fece attendere, e diede alla luce uno dei primi “blockbuster” dell’orrore come “Il fantasma dell’opera” di Rupert Julian (1925), che ebbe un buon riscontro in Patria; nel decennio successivo la casa di distribuzione statunitense Universal Pictures consacrò attori come Boris Karloff e Bela Lugosi, negli iconici ruoli di antagonisti nelle parti, rispettivamente, del Mostro di Frankenstein e del Conte Dracula, negli omonimi film (entrambi del 1931).

L’ORRORE IN ITALIA

A differenza degli Stati Uniti e dei maggiori Paesi europei, in Italia l’horror approdò tardi, nel 1957, anche se in passato furono molti i film di genere fantastico contenenti elementi paurosi o macabri realizzati nel Belpaese, tuttavia limitati a favore di storie prevalentemente tendenti a narrazioni rassicuranti e senza particolari sbalzi d’emozione. Grazie al prezioso lavoro di ricerca contenuto nel libro “Il cinema dimenticato: fantastico e horror nei film italiani dal 1895 al 1960” (Profondo Rosso, 2014) di Luigi Cozzi, regista e sceneggiatore, è oggi possibile elencare i (pochi) film realizzati in Italia (molti di essi purtroppo mai arrivati ai giorni nostri) che strizzano l’occhio al genere prima della sua definitiva affermazione.

I primi accenni a narrazioni meno rassicuranti del solito si possono infatti scorgere risalendo ai tempi del cinema muto, con opere come “Maschera tragica” di Arrigo Frusta (ispirato al celebre racconto “La maschera della morte rossa” di Edgar Allan Poe, 1911), “La vampira indiana” di Roberto Roberti (alias Vincenzo Leone, padre del noto regista Sergio, 1913), “La beffa di Satana” di Telemaco Ruggeri (1915), “Rapsodia satanica” di Nino Oxilia (1915), “Malombra” di Carmine Gallone (1917), “Il mostro di Frankenstein” di Eugenio Testa (1920), “La bambola vivente” di Luigi Maggi (1925) e “Maciste all’inferno” di Guido Brignone (1925). Dell’epoca del sonoro si possono invece citare “L’uomo dall’artiglio” di Nunzio Malasomma (1930), “L’albergo degli assenti” di Raffaello Matarazzo (1939), “Malombra” di Mario Soldati (rifacimento sonoro dell’omonimo muto, 1942), “Il cappello da prete” di Ferdinando Maria Poggioli (1942) e “Il medium” di Gian Carlo Menotti (1951).

Se “Il mostro di Frankenstein” è ritenuto da alcuni il primo film horror italico (ipotesi mai comprovata in quanto il film è ad oggi introvabile), il lungometraggio “Il mostro dell’isola” di Roberto Bianchi Montero (1954), è da considerarsi un primo tentativo andato a vuoto: il film in questione infatti, con protagonista – non a caso – il grande Boris Karloff, doveva essere, nelle originali intenzioni del produttore Fortunato Misiano, un film dell’orrore a tutti gli effetti, sulla scia dei film horror americani che iniziavano proprio in quel periodo a conoscere un timido successo anche in Italia. Purtroppo gli sceneggiatori e lo stesso regista Montero, poco avvezzi al genere, diedero luce ad un film anomalo, totalmente affrancato dall’idea iniziale di Misiano.

In ogni caso non bisogna scordarsi che nessuno di questi titoli apparteneva propriamente al genere, e gran parte di essi erano solamente film “fantastici”, contenenti solo alcune scene spiccatamente horror.

i vampiri film freda 1957LE PRIME IDEE

Nel 1956 Riccardo Freda era tra i registi italiani più ricercati e apprezzati del periodo. Attivo come regista sin dal 1942, quattordici anni dopo aveva già all’attivo ben diciotto lungometraggi, tra cui alcuni successi come il film d’esordio “Don Cesare di Bazan” (1942), “Aquila nera” (1946), “I miserabili” (1948), “Spartaco” (1953), “Teodora” (1954) e “Beatrice Cenci” (1956).

A differenza di colleghi come Mario Bava (all’epoca suo stretto collaboratore) o Antonio Margheriti, maestri della prima “ondata horror” italica, per i suoi film Freda disponeva abitualmente di consistenti budget. Inoltre, pur essendo autore di pellicole colte e raffinate – caratterizzate da un’estrema cura per i dettagli, quasi un suo marchio di fabbrica – riuscì quasi sempre a ottenere ottimi riscontri di pubblico.

Ma proprio in quel 1956 avvenne una svolta: Freda sottopose a Goffredo Lombardo, proprietario della celebre casa di distribuzione cinematografica Titanus, il soggetto di un film a cui stava lavorando, in formato audio: Freda infatti registrò su un nastro magnetico la sua voce che narrava la vicenda, completa di effetti sonori. Il suo intento era di realizzare un film che prendesse spunto dagli horror statunitensi che tanto piacevano al pubblico italiano dell’epoca. Lombardo accettò, quindi il regista iniziò la lavorazione del film, garantendo al produttore una spesa minima e che le riprese non si sarebbero protratte per più di 12 giorni. Assicurò inoltre che avrebbe evitato in tutti i modi eventuali interventi della censura.

La nuova sfida per Riccardo Freda era creare qualcosa di diverso, di mai visto fino a quel momento sul grande schermo dal pubblico italiano. Il fatto di dover lavorare con pochi mezzi a sua disposizione probabilmente fu uno stimolo per la sua creatività, e un modo per mettersi nuovamente alla prova dopo quindici anni dall’esordio alla regia.

In controtendenza rispetto a molti horror dell’epoca, il film non sarebbe stato ambientato in epoche remote ma proprio nel 1957, anno in cui sarebbe poi uscito nelle sale. Il titolo scelto fu I vampiri, forse ispirato ad una serie di film surrealisti francesi, molto amati dal regista, intitolata appunto “Les vampires” di Louis Feuillade (1915). In ogni caso occorre ricordare che la pellicola non ha assolutamente nulla in comune con film coevi come “Dracula il vampiro” di Terence Fisher (della Hammer Film, con Cristopher Lee nei panni del celebre conte, 1958). Come molti sapranno, infatti, nel film di Riccardo Freda non sono presenti “vampiri” come vengono intesi comunemente, la parola è in questo caso utilizzata nel titolo più che altro in senso figurativo, come si vedrà più avanti.

i vampiri freda 1957 fredaGLI ATTORI

La scelta di Riccardo Freda per il ruolo del protagonista di I Vampiri ricadde su Dario Michaelis, giovane attore di origine argentina e protagonista, tra l’altro, anche del primo film di fantascienza italiano, “La morte viene dallo spazio” di Paolo Eusch (1958).

Per il ruolo della co-protagonista venne invece scelta Gianna Maria Canale, icona assoluta di bellezza femminile dell’epoca (nonché vincitrice di diversi prestigiosi concorsi, tra i quali Miss Italia 1948, dove però arrivo seconda, dietro a Lucia Bosè), musa ispiratrice di Freda nonché sua compagna di vita e spesso attrice principale di molte sue pellicole. La coppia si separerà poco tempo dopo le riprese.

Da ricordare anche Paul Muller, attore svizzero in attività in Italia dalla fine degli anni ’40, spesso in ruoli da “cattivo”. Anni dopo interpreterà il celebre personaggio del visconte Cobram nel film “Fantozzi contro tutti” di Neri Parenti (1980).

LA STORIA

I Vampiri comincia mostrando allo spettatore fin dai titoli di testa l’ambientazione di questo insolito film, Parigi. Subito dopo un’inquadratura della Torre Eiffel, la telecamera si sposta lungo le rive della Senna, mostrando il cadavere di una ragazza, trovata annegata da alcuni operai di un cantiere vicino. Si tratta della quarta vittima uccisa in sei mesi da un presunto killer, chiamato comunemente “il Vampiro”, dato che tutte le sue vittime sono state ritrovate senza ferite sul corpo ma completamente dissanguate.
Lo zelante giornalista Pierre Lantin (Michaelis) segue il caso già da svariato tempo, convinto di riuscire prima o poi a catturare personalmente il sedicente assassino e avere così l’esclusiva della notizia.

Dopo l’assassinio di una quinta ragazza, attrice teatrale, Pierre, convinto di poter trovare prove che lo aiuteranno nel caso, si dovrà scontrare con l’ispettore Chantal (Carlo D’Angelo), che lo caccia via in malo modo dalla scena del crimine e il cui aiuto non interessa minimamente.

Lantin, nonostante la strigliata dell’ispettore, non si arrende e ormai assorbito completamente dal caso si disinteressa di qualunque altro fatto che accade nella capitale, ignorando le ripetute attenzioni della bella Giselle du Grand (Canale), nipote della duchessa Margherita du Grand, un’anziana nobildonna del luogo proprietaria di un antico castello, e arrivata da poco in città. Giselle, usando come scusa un servizio promessole da Pierre sul castello dell’anziana zia, gli sta alle calcagna, tormentandolo continuamente. Pierre confessa ad un collega di non amare particolarmente la presenza di Giselle, a causa di una vecchia storia di famiglia.

Tuttavia si scoprirà che la duchessa du Grand è in qualche modo coinvolta negli assassinii avvenuti di recente assieme al cugino, il professor Julien du Grand (Antoine Balpêtré), noto scienziato. Visto lo scetticismo della Polizia, toccherà a Pierre risolvere il caso coi pochi mezzi a sua disposizione e con il solo intelletto dalla sua.

i vampiri film fredaSPOILER

I DELITTI

I Vampiri si distacca dopo pochi minuti dall’inizio dal classico schema del giallo in cui l’assassino agisce a volto coperto: infatti un elemento decisamente particolare per un film dell’epoca è la scelta di mostrare subito la faccia, riflessa in uno specchio, del killer in azione, quasi come se il regista avesse voluto fingere di soddisfare per un attimo l’interrogativo che già tormentava lo spettatore a pochi minuti dall’inizio del film su chi potesse essere questo “vampiro” di cui parlavano i giornali, per poi far crollare nuovamente tutte le certezze e rivelando il vero scopo dell’aver mostrato quel volto: l’assassino, un tossicodipendente, si scoprirà infatti essere solamente una pedina nelle mani dei du Grand. Egli ha infatti la sola funzione di procurare periodicamente a questi ultimi corpi di giovani donne per i loro nefasti scopi. I ricattatori infatti lo tengono in scacco promettendogli, ogni qualvolta egli porterà a termine un loro ordine, di fornirgli una dose di eroina.

La vecchia duchessa infatti, non accettando lo scorrere degli anni, si avvale dell’aiuto del cugino Julien, stimato scienziato, per trovare un “elisir di lunga vita”, o, per meglio dire, “di lunga giovinezza”. Infatti l’unico scopo dei rapimenti delle ragazze è estrarre loro fino all’ultima goccia di sangue (da qui il titolo del film) per farlo fluire, tramite complessi procedimenti, nelle vene della duchessa e donarle nuovamente un aspetto giovane e piacente. Nasce così il personaggio di Giselle, con cui lo spettatore è portato a empatizzare fino alla prima metà del film, in quanto potrebbe inizialmente passare per un’innocente donna attratta dal giornalista Pierre e perennemente respinta da quest’ultimo per il semplice motivo che lei gli ricorda – a ragion veduta! – la vecchia “zia”, che tormentava il padre di Pierre e che, secondo le sue parole, rese molto difficile la vita alla madre a causa di questa sua continua voglia di attenzioni.

Il professor Julien, a quanto accennato da diversi presenti durante il suo (finto) funerale, ha in realtà sempre amato la cugina Margherita, che però non lo ha mai ricambiato, come sappiamo, avendo passato tutta la vita a tormentare la famiglia Lantin. Così, pur di starle accanto, la aiuta in questo suo nefasto piano.

Si scoprirà però che l’effetto della trasfusione di sangue non dura in eterno, infatti basta una forte emozione per annullarlo totalmente e far tornare la giovane e bellissima Giselle nella vecchia megera Margherita. Per la prima volta, il pubblico italiano poteva assistere ad un (verosimilissimo) progressivo invecchiamento di un personaggio davanti ai loro occhi (un pionieristico trucco ideato dal direttore della fotografia Mario Bava), realizzato senza bisogno di stacchi per nascondere l’artificialità dell’effetto ma mostrandolo dall’inizio alla fine, inframezzato da due brevi campo-controcampo, usati per mostrare, durante la trasformazione, l’espressione attonita del fotografo Ronald Fontaine, collega di Pierre invaghitosi della giovane Giselle, mentre assiste impaurito al macabro spettacolo che gli si para davanti.

i vampiri freda 1957 film horrorDa qui si evince la chiara critica a chi crede di poter far durare la propria giovinezza in eterno, ma soprattutto una più sottile e ugualmente importante, che riguarda le persone che ci stanno intorno tutti i giorni: nel volume “Riccardo Freda, L’esteta dell’emozione” del critico Antonio Fabio Familiari (Profondo Rosso, 2004), il regista dichiara “[…] i nostri incubi, in cui si “materializzano” le nostre angosce e i nostri terrori, sono i mostri di oggi: nulla a che vedere con la rappresentazione oggettiva […]. I terrori e gli orrori atavici si accompagnano oggi ai mostri che sono fra noi, che siamo noi […]. Ai vampiri che ci succhiano idee e sentimenti, ai mostri che, insospettabili, si annidano nei nostri amici e nei nostri conoscenti, in chi ci sfiora soltanto.” L’orrore che interessa a Riccardo Freda non è quello immaginario, bensì quello che molta gente nasconde nel proprio subconscio, difficilmente sondabile persino da loro stessi.

Pensieri e sentimenti repressi, indicibili, indecifrabili, spaventosi. A volte passano veloci per la mente, quasi per scherzo, a volte diventano delle terribili realtà. A chi non è mai capitato, almeno una volta nella vita, di provare sensazioni del genere?

NOVITA´

I Vampiri ha ispirato – e praticamente spianato la strada – a un certo tipo di narrazione fino ad allora mai nemmeno immaginata da nessun altro cineasta italiano. Di lì a poco un gran numero di registi si butterà infatti nel genere, fino all’esplosione definitiva dell’horror/thriller made in Italy nel corso degli anni ’70.

Sarà infatti possibile allo spettatore più avvezzo al genere notare come certe trovate narrative e filmiche verranno poi “prese in prestito” da un gran numero di altre pellicole realizzate nel corso degli anni ’60. Un chiaro esempio è la presenza del doppio, o meglio di una doppia identità, tema ripreso più volte in altri horror del periodo e spesso caratterizzato dal volto dell’attrice britannica Barbara Steele, che non a caso interpreterà in film come “La maschera del demonio”, “I lunghi capelli della morte”, “Amanti d’oltretomba”, “Un angelo per Statana” e “Il lago di Satana” praticamente il ruolo della Canale ne I vampiri, ogni volta con qualche piccola “variazione sul tema”.

GLI EFFETTI SPECIALI

Oltre al già citato effetto dell’invecchiamento della duchessa du Grand, ripreso senza avvalersi di particolari stacchi di macchina per mostrarne la progressione, Mario Bava (qui direttore della fotografia, scenografo assieme al costumista Beni Montresor e addetto agli effetti speciali, e che qualche anno dopo esordirà ufficialmente come regista, affermandosi come maestro assoluto del genere) ricreò il quartiere parigino di Montmartre (con l’aiuto di Freda) nel cortile dei teatri di posa romani dove il film venne girato.

i vampiri freda 1957 horror filmI TAGLI

I produttori Ermanno Donati e Luigi Carpentieri, che garantirono la distribuzione di I Vampiri con la Titanus di Goffredo Lombardo, erano poco convinti degli elementi fantastici presenti nella trama. Così, dopo l’abbandono temporaneo del progetto da parte di Freda a causa di alcuni diverbi con la produzione, Mario Bava venne incaricato di ultimare il film e di aggiungere elementi “tangibili” come la sottotrama che riguarda le indagini della Polizia e il lieto fine che oggi tutti conoscono, probabilmente per rendere più “digeribile” il film anche ai non appassionati dell’horror puro. Infatti, nonostante la trama “mitigata” a volte si ha l’impressione che il film soffra di qualche piccolo buco di sceneggiatura (di cui si darà spiegazione poco più avanti), anche se, a conti fatti, la narrazione non può che risultare ugualmente scorrevole e piacevole anche ad un pubblico poco avvezzo al genere.

Però, come si può apprendere da un’intervista del 1990 rilasciata da Riccardo Freda a Luigi Cozzi, regista e sceneggiatore, sempre tratta dal libro di quest’ultimo “Il cinema dimenticato: fantastico e horror nei film italiani dal 1895 al 1960” (Profondo Rosso, 2014), il film subì diversi tagli, proprio per evitare eventuali critiche: “[…] Donati e Carpentieri mi hanno costretto a eliminare da I vampiri due scene già girate e montate che secondo me erano tra le migliori del film. Le avevo inserite nella versione definitiva ma […] me le fecero togliere… e fu per questo che litigai con loro.”

Da quello che si apprende da quest’intervista, i tagli riguardarono una sequenza di apertura, dove il personaggio interpretato dall’attore Paul Muller veniva ghigliottinato, e la sua testa veniva presa dal professor du Grand che, portandola nel suo laboratorio, la applica ad un altro corpo, stile Mostro di Frankenstein, ridandogli nuova vita. Questo spiega la scena in cui si nota chiaramente una vistosa cicatrice intorno al collo dell’uomo, elemento che nella versione finale non viene spiegato né minimamente preso in considerazione dai personaggi. Il secondo taglio riguarda sempre l’uomo che, catturato dalla Polizia, si sente come perduto e non riesce ad articolare alcuna frase. In preda alla disperazione si getta a terra e la testa si stacca dal corpo, come se lo rigettasse in quanto non suo. Riprendendo le parole del regista “[…] anche questa scena, che era davvero una grossa sorpresa, è stata tolta dal film.” Questo spiega la scena, mantenuta nella versione finale, in cui l’uomo appare visibilmente confuso e alterato.

i vampiri freda 1957 film horrorCitando nuovamente Riccardo Freda: “Secondo me con quelle due scene invece il film avrebbe guadagnato molto, poiché costituivano davvero un grande colpo di scena. E in più facevano capire esattamente chi è veramente il personaggio interpretato da Paul Muller: un mostro, un uomo resuscitato! Una sorta di implacabile, spietato robot umano…”

Nella versione finale di I Vampiri invece, viene lasciato intendere che il personaggio si tratti di un “tossicomane” perennemente alle prese con l’implacabile vizio, e che i suoi ricattatori usano a loro favore per fargli compiere atti tremendi.

In ogni caso, questi tagli non hanno impedito al film di Riccardo Freda di entrare nella storia dell’horror made in Italy, essendo I vampiri stato progressivamente riscoperto in tempi recenti. Nonostante questo, all’uscita il film venne accolto freddamente in Patria. Il regista dichiarerà in proposito “[…] il nostro pubblico seguiva abbastanza quel genere di film solo se era americano. Ricordo che ero presente alla prima di “I vampiri”, che si tenne a Sanremo. […] [Molti spettatori] Parevano interessati ad acquistare il biglietto, ma quando la loro lettura dei nomi sui manifesti arrivava al mio, […] se ne andavano via quasi di corsa. Allora, infatti, il genere dell’orrore non si accettava che fosse un italiano a farlo. […] qualche anno dopo per il mio successivo film dello stesso tipo [horror, N.d.R.], “L’orribile segreto del dottor Hichcock”, mi cambiai nome e ne assunsi uno straniero, quello di “Robert Hampton”. [Il film] andò bene, perché la gente pensò che fosse un film inglese o americano e questa volta comprarono il biglietto […]”

Molti autori coevi di Riccardo Freda infatti, dopo la “lezione” di quest’ultimo, firmeranno inizialmente i propri film con pseudonimi anglosassoni, spesso traduzioni letterali dei propri nomi e cognomi (sic!) (basti pensare a Mario Bava (John Foam), Antonio Margheriti (Anthony Dawson) Massimo Pupillo (Ralph Zucker), oppure al film “I lunghi capelli della morte”, sempre di Margheriti (1964), in cui addirittura tutto il personale tecnico, oltre al regista, adottò per l’occasione “nomi d’arte” anglofoni!)

i vampiri freda horror 1957 filmL’INIZIO DI UN’EPOCA

Fortunatamente, I Vampiri non rimarrà l’unica incursione nell’horror del nostro: il regista firmerà infatti altri capolavori del genere negli anni successivi come “Caltiki il mostro immortale” (altra co-regia con Mario Bava, 1959 ispirato al famoso film “Fluido mortale”), “L’orribile segreto del dottor Hichcock” (1962), “Lo spettro” (1963), “L’iguana dalla lingua di fuoco” (1970), “Estratto dagli archivi segreti della polizia di una capitale europea” (1972) e “Murder obsession (Follia omicida) (1981).

La tipica frase che si usa in questi casi è la celebre e ormai abusata “Da qualche parte si doveva pur cominciare”, e I Vampiri è decisamente il film che serviva a sfondare le barriere dei pregiudizi dell’epoca e a far esplodere definitivamente il cinema horror anche nel Belpaese. Infatti, dopo qualche anno dall’uscita del film, sarà Mario Bava, nel frattempo al suo esordio ufficiale come regista con “La maschera del Demonio” (1960), a dare lo scossone necessario per far capire anche agli altri cineasti dell’epoca che un altro cinema era possibile. I piccoli pregi e difetti, tipici in ogni caso di qualunque opera prima di un filone, fanno di questo strano film a metà strada tra un giallo, un poliziesco e un racconto gotico un piccolo capolavoro che non può assolutamente mancare nella videoteca di ogni amante del genere horror.

Di seguito trovate il trailer internazionale di I Vampiri: