La recente scomparsa del mago del make-up e degli effetti speciali ci offre l’occasione per riscoprire il semplice ma efficace dittico nostrano del 1989/1990
Nei giorni scorsi vi abbiamo parlato della scomparsa di Giannetto De Rossi, mago del make-up e degli effetti speciali artigianali, orgoglio del cinema italiano – con un occhio (magari quello di Zombi 2 …) di riguardo per quel cinema di genere che da queste parti amiamo tanto. L’idea, quindi, è quella di rendergli omaggio attraverso uno – anzi due – dei suoi molti lavori. Un curriculum come il suo offre l’imbarazzo della scelta, sono molti i titoli universalmente (ri)conosciuti, col rischio di fare torto agli esclusi. Motivo per cui avrei pensato di andare su qualcosa di meno celebrato, ma che in qualche modo racchiude lo spirito dell’artista romano.
Ho optato per Killer Crocodile 1 e 2, per svariate ragioni. Perché non so resistere al fascino di un enorme coccodrillo assassino (e quello creato da Giannetto De Rossi è adorabile), ho un debole per il creature feature e per il suo sottofilone ‘coccodrillesco’ – ma questo credo di avervelo già detto nell’approfondimento dello scorso anno. Ma, soprattutto, perché il dittico dei Killer Crocodile vive e si nutre del suo lavoro, basando tutto o quasi sulla presenza di un coccodrillone costruito con talento e ingegno, oltre al fatto che il secondo capitolo lo vede impegnato persino alla regia, una delle pochissime (seconda di tre) in carriera.
In fin dei conti, Lo Squalo di Steven Spielberg, capostipite e pietra miliare del creature feature, era lontano 14 anni, così come Alligator (la recensione) – che aveva lasciato il segno nella categoria coccodrilli / alligatori, risaliva ormai a 9 anni prima.
De Angelis e Sacchetti scrivono una storia semplice ma funzionale allo scopo, dal pur sempre apprezzabile spirito ecologista che include argomenti come inquinamento doloso, sversamento di rifiuti tossici, compromissione di flora e fauna, tante belle cosette ad opera di industriali senza scrupoli spalleggiati da autorità colluse e corrotte. L’ambientazione è rigorosamente esotica come da tradizione dell’epoca, che vedeva molte produzioni spostarsi in luoghi economicamente convenienti e visivamente accattivanti, da quelle per i ‘cannibalici’ fino agli action militareschi.
Per Killer Crocodile si va nella Repubblica Dominicana, di cui vengono sfruttate le acque dei canali paludosi che ospitano buona parte del film e che con la loro colorazione torbida accentuano il senso di pericolo ad esse sottostante. Al centro della vicenda, un team di giovani ecologisti capitanato da Richard Anthony Crenna, che deve provvedere al proprio guardaroba e sul set (naturale) becca pure la dissenteria; figlio di quel Richard Crenna che in tanti ricordiamo come Colonnello Trautman della saga di Rambo (ma non solo), nella quale poco tempo prima aveva incrociato proprio Giannetto De Rossi (fu special make-up effects artist su Rambo III), il nome di battesimo è l’unica cosa che Crenna junior ha preso dal padre, di cui certamente non ha carisma o presenza scenica, anche se contestualizzato (ed aiutato dal doppiatore nella versione italiana) riesce a non stonare, mentre Pietro Genuardi (scritturato senza un provino) gli fa da braccio destro.
Il cast giovanile ha però bisogno di qualche ‘chioccia’, nella fattispecie lo statunitense Van Johnson a cui viene affidato il ruolo di un giudice corrotto che l’attore interpreta quasi sempre da seduto, probabilmente a causa di qualche acciacco, ma a dare colore alla situazione ci pensa soprattutto il nostro Enio Girolami, uno che un certo cinema ce l’aveva nel DNA di una famiglia che includeva personaggi come Marino Girolami, Romolo Guerrieri ed Enzo G. Castellari.
Girolami non ha un ruolo da protagonista, ma garantisce un eccentrico supporto, vestendo i panni del personaggio più pittoresco, in pratica una sorta di via di mezzo tra il Quint de Lo Squalo e quel Mr. Crocodile Dundee che tra il 1986 ed il 1988 aveva ottenuto grande successo; ovviamente parliamo di una versione casareccia ben distante dai modelli di partenza, ma l’influenza è evidente, col suo Joe che parla per frasi a sensazione e chiude Killer Crocodile prima sparendo sott’acqua sul dorso del coccodrillo e poi riemergendo stoicamente ricoperto di sangue.
Coccodrillo che porta a casa un discreto bodycount di una decina di vittime (e qualche dettaglio di make-up truculento), arrotondando la prestazione con un cagnolino e un lungo attacco al pontile che si rivela una delle sequenze migliori del film, con due malcapitati divorati nel corso di un concitato salvataggio di una bambina col bestione che si allontana con un cadavere tra le fauci in un’immagine decisamente suggestiva.
Ritmo accettabile, uccisioni distribuite con regolarità, la regia di Fabrizio De Angelis non è particolarmente elaborata, include l’utilizzo di qualche ralenti e l’idea sfiziosa del POV della creatura a pelo d’acqua col cameraman immerso che si muove a nuoto. Il tutto accompagnato dal ficcante tema musicale di Riz Ortolani, più che derivativo direi un plagio vero e proprio del celebre main theme di Lo Squalo firmato da John Williams.
Killer Crocodile arriva sul mercato italiano nel luglio del 1989, un anno prima del suo sequel – che in realtà era stato girato praticamente back-to-back. Se il primo capitolo doveva il grosso della sua riuscita alla presenza del mega coccodrillo assassino, il passo naturale per un seguito era affidare la regia proprio a chi aveva dato vita a quella bestia. Arriva così il momento della seconda regia in carriera per Giannetto De Rossi, che per gratitudine e amicizia non se la sente di rifiutare l’offerta di Fabrizio De Angelis, con cui firma anche la sceneggiatura (insieme al confermato Dardano Sacchetti).
Partiamo dal presupposto che l’idea di questo back-to-back ha una valenza esclusivamente commerciale, chiaramente non dettata da esigenze di arco narrativo da sviluppare su due film, quanto piuttosto di incuriosire (sfruttando il potenziale migliore) con un primo titolo che possa poi portare gli spettatori a dare un’occhiata anche al suo seguito.
Qualche minuto dopo si ripresenta anche il cacciatore di Enio Girolami, pochi momenti, il tempo di fare una fine ingloriosa che svilisce la miracolosa sopravvivenza della volta precedente. È probabile che i due avessero ancora pochi giorni di lavoro (e di riprese) da portare a casa, motivo per cui si è dovuto capitalizzare la loro presenza alla meglio, con Crenna che, nonostante l’ingresso tardivo, almeno resta in scena fino alla fine.
Anni dopo, Giannetto De Rossi definirà il suo film “brutto”, seppur contento di un’esperienza che ricordava senza grossi rimpianti. In realtà, al netto di un risultato complessivo non esente da difetti, l’artista romano era stato più severo del dovuto con sé stesso. Guardando Killer Crocodile 2, la sensazione è che non si sia dato per vinto, quanto piuttosto abbia provato a sfruttare al meglio il materiale a disposizione.
A cominciare dal sapere come valorizzare al massimo la sua creatura, con inquadrature e movimenti che si fanno ulteriormente strategici, riducendo il retrogusto pupazzoso. Così come si riducono i dialoghi e si aumenta il bodycount, che addirittura raddoppia considerato che un paio di attacchi sono multipli – vedi sequenza dell’imbarcazione affondata, con donne e bambini tra le vittime, o quella della baracca devastata.
Insomma, i due Killer Crocodile hanno saputo ritagliarsi il loro posticino nel filone, un double bill divertente, grezzo ma onesto, dal forte sapore artigianale. Quello di un artista come Giannetto De Rossi che con pochi mezzi e molto ingegno era capace di portare sullo schermo il suo talento creativo, riuscendo a rendere orrore e fantasia percepibili, veri e tangibili.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Killer Crocodile 2: