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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Rambo III , uscita: 24-05-1988. Budget: $63,000,000. Regista: Peter MacDonald.

Dossier | Rambo Saga: col terzo film del 1988 arrivano i primi problemi (Parte III)

26/09/2019 recensione film di Francesco Chello

A tre anni dal secondo capitolo, Sylvester Stallone torna a vestire i panni del veterano per salvare il Colonnello Trautman in Afghanistan, ma la produzione è travagliata e il risultato ne risente

Sylvester Stallone e Richard Crenna in Rambo III (1988)

Per ogni saga, serie o franchise, arriva prima o poi inevitabilmente il momento della frenata, è fisiologico. Non necessariamente un passo falso, ma c’è sempre il capitolo meno riuscito. È quello che succede con Rambo III, uscito il 25 maggio 1988 (mentre in Italia si opta, per la terza volta consecutiva, per una release a dicembre), accompagnato da un’attesa spasmodica e grosse aspettative, sia economiche che di pubblico – e quando un film crea troppe aspettative la cosa più semplice da fare è deluderle.

Al botteghino, in realtà, Rambo III non è propriamente quello che si definirebbe un flop, ma il rapporto tra i 63 milioni di dollari di budget (il più cospicuo della serie, che include un Gulfstream Jet da 12 milioni per Sylvester Stallone) e l’incasso complessivo in tutto il mondo di 189 milioni, è lontano dai risultati pazzeschi ottenuti dal secondo capitolo (il nostro approfondimento) e certamente non in linea con le previsioni.

A dirla tutta, non siamo nemmeno al cospetto di un film brutto, ad avercene di film d’azione “brutti” come questo. Rambo III ha il torto di essere il capitolo più debole della quadrilogia, di non riuscire a lasciare il segno come gli altri, per svariati motivi. Innanzitutto, rispetto ai suoi predecessori (arrivati nel giro di sei anni e per questo ancora freschissimi nella mente dello spettatore) non ha lo stesso impatto fragoroso su pubblico e mercato cinematografico; i due episodi precedenti erano riusciti, per ragioni differenti di cui abbiamo parlato abbondantemente in precedenza, ad irrompere sulla scena con qualcosa di nuovo, emergevano all’interno del loro genere di appartenenza di cui ribaltavano le regole scrivendone delle nuove, mettevano le basi per un personaggio e la sua mitologia.

Il terzo Rambo questo non lo fa, sceglie di percorrere una strada sicura e già battuta (quella del secondo) mantenendone la struttura ed aggiornando giusto qualche elemento. Stesso canovaccio, con la missione di recupero suicida in territorio ostile in cui solo John Rambo può farcela, ancora una volta prigione, torture e russi cattivoni comandati dall’ufficiale / villain senza scrupoli di turno, col francese Marc De Jonge che però perde il confronto con Steven Berkoff.

Rambo III film posterAutocitazioni tra le minacce via radio, le frasi a sensazione di Samuel Trautman (Richard Crenna) ed un altro sgherro che viene fatto a brandelli da un’esplosione. C’è pure una nuova spalla locale, il personaggio di Masoud (interpretato da Spykos Fokas), omaggio ad Ahmad Shan Masoud, vero leader della resistenza afgana, popolazione (quella afgana) a cui viene dedicato il film sui titoli di coda – o meglio, in un primo momento la dedica testuale era per i Mujaheddin, cambiata negli anni (per ovvi motivi) a favore del valoroso popolo afgano.

La trama quindi scricchiola ed anche l’aspetto contenutistico ne risente; i primi due film toccavano temi delicati come il disagio sociale dei reduci del Vietnam o il dramma dei soldati missing in action, mentre stavolta si tenta di portare l’attenzione sull’invasione russa in Afghanistan, che alcuni definivano il ‘Vietnam dei sovietici’, un argomento probabilmente meno caro agli americani e che sembra troppo mirato a mettere in luce la controparte a stelle e strisce, oltre che sfortunato nel suo tempismo, visto che il film arriva in sala in un periodo in cui i russi avevano già iniziato a ritirare le truppe dal suolo afgano. Resta così quell’aspetto patriottico / propagandista un po’ sfacciato (e bidimensionale), con gli americani pronti a sculacciare per l’ennesima volta i russi sul grande schermo.

Ed è per queste ragioni che, come ammetterà lo stesso Sylvester Stallone negli anni successivi, Rambo III pecca in un coinvolgimento emotivo più debole rispetto agli altri titoli della serie. Oltre che avere, sul piano della messa in scena, un’impostazione meno fluida, un ingranaggio meno oliato; mi riferisco, in particolare, al primo atto, una fase preparatoria di circa 40 minuti, che tende ad allungarsi eccessivamente frammentando la presa sullo spettatore.

Un progetto che vive una fase di pre-produzione burrascosa. Sylvester Stallone è gasatissimo, si sente dannatamente sicuro di sé, col senno di poi anche troppo. Ha pieni poteri produttivi, così sceglie personalmente sceneggiatore e regista, licenziandoli poi entrambi. Per la sceneggiatura ingaggia inizialmente l’esperto Harry Kleiner (autore di titoli come Bullit o Ricercati Ufficialmente Morti e che lo stesso anno firma Danko), ma lo script non convince per niente Sly, che congeda Kleiner e, ancora una volta, decide di occuparsi in prima persona della fase di scrittura, facendosi aiutare stavolta da Sheldon Lettich, che in seguito legherà il proprio nome ad alcuni dei film più famosi di Jean-Claude Van Damme.

La regia viene affidata, in un primo momento, all’australiano Russell Mulcahy, reduce dal successo di Highlander; tra Mulcahy e Stallone nascono tuttavia dei dissapori e dopo 15 giorni di riprese arriva la separazione (alcune riprese di Mulcahy sono comunque nel film), col timone che viene affidato all’inglese Peter MacDonald, al debutto da regista dopo una lunga esperienza come cameraman/direttore della fotografia/second unit director, che aveva già diretto le sequenze in elicottero di Rambo II – La Vendetta e che si trovava già sul set in qualità di regista della seconda unità.

Randy Raney in Rambo III (1988)Detto dei problemi di Rambo III, bisogna aggiungere che, pur perdendo il confronto con gli altri capitoli della serie, nella sua imperfezione resta una visione piacevole con diverse frecce al suo arco. Per quanto riguarda il personaggio e la sua evoluzione c’è comunque una coerenza narrativa che porta ad incentrare il terzo capitolo sul rapporto tra Rambo ed il suo mentore Trautman.

E si tratta di un’evoluzione naturale, la giusta conclusione di una storia (nella storia) che aveva messo le basi nel primo film e si era arricchita nel secondo – non a caso, il titolo di lavorazione era Full Circle: First Blood part III. Trautman diventa il motivo della missione, la vittima da salvare, e sul finale c’è anche tempo per vedere, finalmente, i due commilitoni combattere fianco a fianco.

Il ruolo del Colonnello riprende un aspetto metaforico: se in First Blood sembra il genitore che viene in soccorso del figlio adesso i ruoli si invertono, come accade nella vita, col figlio ormai adulto che corre in aiuto del genitore in difficoltà. Il giusto commiato dalla saga per il sempre convincente Richard Crenna, che morirà nel 2003, qualche anno prima del grande ritorno col quarto capitolo. Il personaggio di John Rambo porta i segni delle ultime esperienze, sia fisicamente che emotivamente, dalla cicatrice sul volto ad opera dei russi nel suo Vietnam più recente al ciondolo di Co-Bao.

Sylvester Stallone in Rambo III (1988)Lo troviamo in un monastero buddista in Thailandia dove sembra aver trovato la sua dimensione, anche se non rinuncia alla sua dose di violenza partecipando ad incontri di lotta clandestina – un corpo a corpo iniziale tutto da vedere. Alla nuova chiamata alle armi di Trautman, inizialmente Rambo rifiuta, afferma che la sua guerra è finita, che in quel monastero si sente finalmente parte di un luogo, ricollegandosi evidentemente al problematico reinserimento del primo film.

L’azione, fulcro di un prodotto di questo tipo, resta su livelli piuttosto alti ed è l’aspetto in cui Rambo III riesce meglio. In pratica, dall’attacco russo durante la pittoresca partita a cavallo il film è tutto in discesa, il ritmo si fa finalmente incalzante, l’ingolfarsi iniziale resta un ricordo. L’assortimento è completo, sparatorie serrate con esplosioni a scandirne le pause, una fuga turbolenta, fino ad una indovinata battaglia finale con decine di comparse e Rambo che abbatte elicotteri prima a mitragliate ed infine con un poderoso scontro frontale alla guida di un carrarmato. Il bodycount fa segnare 162 morti, di cui 115 ad opera di Rambo. Sullo sfondo una nuova location, l’indovinato territorio arido e roccioso israeliano scelto per riprodurre l’Afghanistan.

Nulla da dire al Sylvester Stallone sullo schermo, che si presenta nuovamente al top della forma (e con un coltello più grande, opera stavolta del designer Gil Hibben), ci mette la solita intensità e dedizione oltre a lanciarsi in un’altra serie di stunt complicati, come correre su un cavallo impugnando una molotov oppure aggrapparsi alla parte inferiore di un carrarmato, con la gente sul set che si meravigliava del realismo del sangue senza rendersi conto che quel sangue era realmente di Stallone, mentre il reparto trucco (del quale fa parte anche il nostro Giannetto De Rossi) regala momenti da ricordare come la cauterizzazione della ferita con la polvere da sparo.

I risultati al botteghino e l’accoglienza tiepida convincono la star a mettere in stand-by la sua creatura. Negli anni ’90, svariati studios si fanno avanti per la produzione di un quarto capitolo, ma Sly puntualmente rifiuta, sente di non avere tra le mani una storia che valga la pena di essere raccontata e nel rispetto del personaggio e del suo pubblico preferisce non andare avanti tanto per farlo.

Di seguito i primi 3 minuti di Rambo III: