Voto: 8/10 Titolo originale: もののけ姫 , uscita: 12-07-1997. Budget: $23,500,000. Regista: Hayao Miyazaki.
Dossier: Principessa Mononoke di Hayao Miyazaki, l’impossibile convivenza tra Industria e Natura
13/07/2022 recensione film Principessa Mononoke di Gioia Majuna
Nel 1997 il maestro giapponese tornava sulle scene con un'opera matura e ambiziosa, un monito severo all'umanità
Ispirato – e frustrato – dalla guerra in Jugoslavia, e ormai completamente disilluso sulla capacità dell’umanità di imparare dai propri errori, Hayao Miyazaki realizzava nel 1997 per lo Studio Ghibli Principessa Mononoke (Mononoke-hime), quello che in molti considerano uno dei suoi film migliori (e forse il più personale e sentito), divenuto addirittura un blockbuster capace di fare registrare il maggior incasso in Giappone di quell’anno e detenendo poi il record al botteghino interno (per i lungometraggi nazionali) fino al 2001, quando uscì La Città Incantata (la recensione).
La storia si svolge in una versione immaginaria del Giappone del periodo Muromachi e ruota attorno ad Ashitaka, l’ultimo principe Emishi, che, dopo un attacco da parte di un Dio-Cinghiale indemoniato, si ritrova infettato da una malattia sconosciuta. Nel tentativo di scoprire le ragioni della ‘demonizzazione’ della creatura e di cercare una cura per il morbo, lascia il suo villaggio a bordo del suo alce rosso, Yakul, iniziando la sua odissea in una serie di territori sconosciuti.
Vagando per quelle terre, assiste in prima persona alla guerra che si svolge ovunque e alle conseguenze che gli sforzi delle persone per sostenere la loro ‘eccellenza militare’ hanno sulla Natura, in particolare sulle foreste. Durante il suo errabondare, incontra prima Jigo, un uomo piuttosto losco che si finge monaco, poi la signora Eboshi, a capo della Città del Ferro e donna che sembrerebbe portare dentro di sé il Bene e il Male in egual misura, e infine San, una ragazza che è stata allevata dal Dio-Lupo e si comporta come un animale tanto quanto un essere umano.
Mentre la signora Eboshi deve affrontare un daimyo locale, si scontra anche con la rabbia degli abitanti della foresta, tra cui San, infuriati per il fatto che la loro costante ricerca di ferro sta riducendo il loro territorio. Jigo soffia sul conflitto per i propri personali scopi, che includono anche lo Spirito della Foresta, un’entità piuttosto misteriosa con enormi capacità soprannaturali, mentre Ashitaka cerca disperatamente di mantenere la pace.
In uno stile non distante da quello di Nausicaä della Valle del vento (1984), ma molto più ricco per contesto, Hayao Miyazaki riesce in Principessa Mononoke a intessere una serie di osservazioni differenti, per lo più aventi a che fare con il lato oscuro della natura umana, attraverso un approccio che potrebbe essere descritto come indugiante tra la mitologia, il western e il road movie.
Il percorso che conduce Ashitaka al villaggio segue infatti molte delle regole tipiche del road movie, mente le varie scene d’azione strizzano apertamente l’occhio al genere western (filtrato alla maniera di Akira Kurosawa, se vogliamo), come parrebbero confermare l’ampio utilizzo da parte dei personaggi di armi da sparo e di animali da cavalcare. Proprio in questo contesto, il montaggio di Takeshi Seyama e le musiche del fedelissimo Joe Hisaishi trovano il loro apice, in particolare nel lunghissimo terzo atto, che può essere descritto solo come maestoso.
La stupidità delle persone che sono zavorrate da nozioni ridicole come avidità, vendetta e odio restano la principale fonte di critica di Principessa Mononoke, con il regista che sottolinea come anche chi è fondamentalmente buono può provare tali sentimenti nell’anima e ricorrere ad atti spregevoli a causa di essi.
La signora Eboshi, forse il personaggio più interessante del film, incarna efficacemente questa contraddizione: ha fondato un villaggio in cui sono accolti gli emarginati sociali, tra cui ex prostitute e lebbrosi che sembrano amarla ed esserle assolutamente fedeli, ma allo stesso tempo li usa per raggiungere i propri scopi, tra cui distruggere la foresta per produrre armi.
Questo commento si pone in diretto parallelismo con il perenne dilemma tra l’avere un lavoro e il tipo di lavoro che si ha, che si applica in particolare alle persone che operano nell’industria delle armi.
Il secondo ‘attacco’ di Principessa Mononoke ruota attorno al dispiacere e alla spregevolezza della guerra, con Hayao Miyazaki che evidenzia come ci siano individui che approfittano dei suddetti elementi della natura umana per spingerli al conflitto, con Jigo che rispecchia questo concetto in modo abbastanza eloquente.
Quando vediamo il Dio-Cinghiale, cieco e sull’orlo della morte, combattere contro lebbrosi, ex-prostitute e uomini che altrimenti sarebbero dei semplici contadini, non si può fare a meno di provare una sensazione di grande tristezza, che il regista giapponese esalta in diversi momenti del film. L’animazione della demonizzazione, la violenza cruenta che a volte sfiora il gore e le numerose morti disseminate lungo la vicenda vanno tutte in questa direzione.
Un altro concetto cardine di Principessa Mononoke, ancora oggi molto attuale (e sempre lo sarà, del resto), è che alla fine la Natura si vendica per il trattamento che riceve dagli esseri umani, e lo Spirito della Foresta incarna questa osservazione in modo piuttosto esplicito. Siamo con entrambe le scarpe in ‘territorio Miyazaki’ dal punto di vista tematico.
Si tratta, in effetti, di un film dal messaggio piuttosto insistente – ai limiti del didascalico – quando si va al sodo, un messaggio che si ripete fin dai tempi della serie animata Conan il ragazzo del futuro del 1978 (il nostro approfondimento): il costo ambientale dell’avanzamento tecnologico è terribile e probabilmente non vale la pena di pagarlo, ma d’altro canto non si può nemmeno premere un interruttore e fermare il progresso.
Ciò detto, Principessa Mononoke è anche una ricca – spaventosamente ricca! – avventura fantastica, anche se gli elementi fantasy sono in qualche modo attenuati dal fatto che si tratta anche di un’epopea storica (con i suoi 134 minuti, è comodamente il film di Hayao Miyzaki più lungo), ambientato in un passato mitico in cui la linea di demarcazione tra Storia e folklore inizia a confondersi, e ciò che potremmo chiamare ‘magia’ in Occidente è in realtà più che altro la tradizione animista delle credenze shintoiste, liberata dalla distanza della storia per essere parte attiva del mondo quotidiano di quei luoghi.
Dal punto di vista prettamente visivo, Principessa Mononoke è invece ai limiti dello stupefacente – probabilmente il più ‘bello’ di tutti i lavoro di Hayao Miyazaki, in termini di pura grandiosità, testimonianza diretta di come il filmmaker tenesse alla sua realizzazione. C’è un uso significativo del colore per definire i momenti narrativi (ogni volta che si vede il rosso, la depravazione umana è nei paraggi), un uso molto deliberato degli effetti di luce per suggerire le sottigliezze delle emozioni e un’attenta alternanza tra inquadrature larghe e primi piani stretti che impedisce alla scala epica del mondo di mettere in ombra i personaggi umani.
Raccontando storie come quella di Principessa Mononoke, Hayao Miyazaki cerca di far riconciliare l’umanità e la Natura infiltrandosi nel cinema e infondendovi temi che articolano la necessità di un equilibrio tra le due parti. Soprattutto, però, è un’opera che si oppone all’intolleranza in tutte le sue forme, politiche o sociali, e chiede al suo pubblico coesistenza e comprensione.
Un’impresa coraggiosa – e ambiziosa – per quello che sarebbe, nella sua definizione più semplice e popolare, un cartone animato ‘per ragazzini’. Con un concentrato ineguagliabile di intuizione autoriale e di controllo artistico, il regista trascende qui i limiti dell’anime, del cartoon e della moderna denominazione di ‘film d’animazione’ per creare un classico capace di parlare al cuore di tutti anche a distanza di anni. Un monito severo e, purtroppo, ancora lontano dall’essere ascoltato.
Di seguito trovate il trailer italiano di Principessa Mononoke, di nuovo nei nostri cinema dal 14 al 20 luglio nell’ambito della rassegna Un Mondo di Sogni Animati di Lucky Red:
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